Il governo Schifani non sa fronteggiare le emergenze. Rimane irrisolto lo scandalo dei manager delle Asp
Dal sito www.buttanissima.it
ENRICO CIUNI
Mentre la politica si rigira i pollici, in attesa di compilare le liste per le Europee, la Sicilia – quella reale – rischia di rimanere in braghe di tela. Fra le numerose questioni all’ordine del giorno, che esigerebbero una presa di posizione netta da parte della Regione, c’è la sanità. Martoriata su due fronti: il governo Schifani, infatti, non riesce a chiudere la quadra sui direttori generali di Aziende sanitarie e ospedali, tuttora impantanati in una serie di verifiche che si sarebbero dovute (e potute) svolgere ex ante; il governo Meloni applica un taglio sugli investimenti previsti dal Pnc (il programma complementare al Pnrr) a supporto dell’edilizia ospedaliera, che nell’Isola fa già registrare impetuosi ritardi sulla realizzazione di Pronto soccorso e terapie intensive che sarebbero dovuti nascere a seguito della pandemia. C’erano in palio 237 milioni (cofinanziati dallo Stato) e oltre 500 posti letto: la Corte dei Conti ha chiesto le carte per conoscere lo stato d’avanzamento dei lavori. Che è di per sé precario.
Nondimeno, il ministro della Coesione territoriale, Raffaele Fitto, ha tagliato in tutta Italia oltre 1 miliardo e 200 milioni dal programma “Verso un ospedale sostenibile”, che secondo i calcoli della Cgil peserebbe per il 40 per cento sulla Sicilia. A saltare sarebbero numerosi investimenti: dagli 8 milioni destinati al completamento dell’ospedale di Sciacca, ai 16,5 assegnati al ‘Chiello’ di Piazza Armerina, passando per i 7 riservati al Policlinico di Messina. Ma ci sono perdite persino più copiose: all’Umberto I di Siracusa, che la Regione s’è impegnata a sostenere con un finanziamento aggiuntivo da 100 milioni, ne verrebbero a mancare una quindicina. Un’ecatombe. La Conferenza delle Regioni ha posto un aut aut all’esecutivo, chiedendo di ripristinare le voci di spesa iniziali, altrimenti farà ricorso alla Corte Costituzionale. Mentre Fitto, che è dello stesso partito della Meloni (cioè quello che in Sicilia ha fatto eleggere Schifani), replica che “nell’ottica di un uso efficiente delle risorse pubbliche risulta irragionevole stanziare ulteriori risorse quando sono già disponibili fondi destinati alle medesime finalità e non utilizzati”. Appurato che i soldi sono sempre stati spesi con sufficienza, e talvolta neanche tutti, un ministro della Repubblica dovrebbe sapere che quelli riservati alla sanità agonizzante non bastano mai.
Non è un problema di minor conto, anche se potrebbe sembrarlo, la mancata ratifica delle nomine dei direttori generali. In primis, perché dimostra (ove ce ne fosse bisogno) che le scelte di merito e di competenza, di cui si fregiava il presidente della Regione, sono e restano piegate alle logiche della politica. Che alla vigilia del 31 gennaio scorso, in tutta fretta, partoriva una lista di nomi, utili a occupare le 18 poltrone in palio, senza prestare troppa attenzione né al casellario giudiziale, tanto meno alle esperienze pregresse dei nominati. I commissari non diventano (ancora) direttori generali perché su alcuni di loro pende il giudizio di chissà quale organo: la commissione Affari istituzionali dell’Ars, dopo aver chiesto un incartamento poderoso, ha scelto di fare spallucce, avvalendosi del silenzio-assenso; la giunta di governo non ha espresso il proprio apprezzamento rispetto alle decisioni assunte, da sé medesima, un paio di mesi fa. Un dilemma che non si può spiegare al cittadino comune. I commissari, in quanto tali, operano col freno a mano tirato e non possono pianificare alcuna attività sul lungo periodo. Hanno le ali tarpate e a risentirne è l’ordinarietà dei servizi. Così crescono le liste d’attesa, i medici restano pochi, i privati convenzionati sono sul lastrico (per il mancato aggiornamento degli aggregati di spesa e il pagamento degli arretrati) e via discorrendo.
Ma non è soltanto la sanità a non funzionare in questa regione. C’è molto altro. Nell’agenda di Schifani, da qualche settimana, è emersa la questione siccità. In Sicilia non piove più e gli invasi si stanno svuotando. Tutte le operazioni connesse sono a rischio. “La giunta regionale – scrive l’assessore Sammartino – ha formalizzato la richiesta di stato di emergenza nazionale per garantire acqua potabile ai cittadini e attenuare le sofferenze degli operatori del comparto agricolo. La situazione è estremamente delicata”. “Per quanto riguarda l’agricoltura, il comparto in Sicilia potrebbe subire un tracollo di reddito e occupazione – continua il vicepresidente regionale -. Rischiamo la compromissione e la perdita definitiva delle colture permanenti (agrumi, frutta, vigne) e la moria diffusa del bestiame, con i conseguenti problemi di ordine sanitario. I danni, stimati dal dipartimento dell’Agricoltura, oscillerebbero tra uno e 2,5 miliardi di euro”. Seconda ecatombe.
Andando più nello specifico, la Protezione civile regionale ha indicato soluzioni a breve e a medio termine che prevedono la riduzione dei consumi delle utenze idropotabili, interventi sugli invasi, campagne di informazione e sensibilizzazione per il risparmio, interventi per reperire risorse alternative (come dissalatori mobili e navi con moduli dissalativi), acquisto di autobotti e silos, utilizzo di pozzi e sorgenti, riparazione di reti idriche, ammodernamento degli impianti di dissalazione nei siti dismessi di Porto Empedocle, Paceco-Trapani ed eventualmente anche Gela. Il costo delle azioni a breve termine è di 130 milioni di euro, mentre di quelle a medio termine è di 590 milioni di euro. Il problema è chi ci mette i soldi.
Ma se l’acqua manca, non può dirsi lo stesso del fuoco. La stagione degli incendi è ripartita coi primi venti di scirocco, e anche a causa dei piromani. Il problema della Sicilia è farsi trovare pronta ed eventualmente capire se, con le proprie forze, si è in grado di garantire una prevenzione degna di questo nome. In attesa della riforma del settore forestale, il solito Sammartino – forte della mancata impugnativa della norma inserita in Finanziaria – ha annunciato che gli operai forestali “settantottisti”, impegnati nella prevenzione e nel contrasto agli incendi, passeranno a 101 giorni (ventitré in più). “Un primo passo per la salvaguardia di un intero comparto”, dice l’assessore. Gli operai saranno impegnati in lavori di pulizia nelle aree private incolte e abbandonate che spesso diventano “veicolo” di propagazione degli incendi verso aree boschive e centri abitati. Toccherà ai Comuni, attraverso proprie ordinanze, individuare le aree oggetto di intervento, dando priorità a quelle più sensibili e a rischio. Ma è ovvio che i forestali in servizio, senza un supplemento di personale e di mezzi, e con l’età che avanza, non bastano.
Per ottemperare alla richiesta di personale senza passare dai concorsi, la Regione s’è inventata un’altra formula: i lavoratori che prima del 31 dicembre 1990 hanno intrattenuto rapporti di lavoro a tempo determinato con l’amministrazione forestale regionale, anche con l’espletamento di un solo turno, e che non hanno mai presentato istanza nei modi e nei termini previsti dalla legge, potranno inoltrare una richiesta di nuovo inserimento nelle graduatorie entro il prossimo 15 maggio. Una mossa che, secondo il capogruppo della DC all’Ars, Carmelo Pace, “ha un duplice effetto positivo: da un lato, si contribuirà a rimpinguare la platea di chi si occupa della salvaguardia dei boschi e del verde e, dall’altro, daremo la possibilità a migliaia di siciliani di poter rientrare a far parte dei forestali”. Ma questo non è un concorso a premi, a cui tutti possono accedere. Come specifica una nota di Nuccia Albano, assessore al Lavoro, “i Centri per l’impiego procederanno all’aggiornamento, nelle relative graduatorie distrettuali, dei punteggi dei singoli lavoratori che ne facciano richiesta, con inserimento prioritario in caso di vacanza di organico, in coda a ciascun contingente fino al successivo aggiornamento”.
Nel frattempo chi ci difenderà dai roghi? Schifani, che ha annunciato l’inizio della campagna anti-incendio il 15 maggio, con qualche giorno d’anticipo rispetto al passato, non ha più rinnovato al ministro Tajani, che è anche il suo segretario di partito, l’invito a reclutare – previo concorso – quelle 3-400 unità di personale che avrebbero potuto dare una mano in fase di prevenzione e spegnimento. Si limita, piuttosto, ad affermare che “abbiamo già aggiudicato la gara per il noleggio di 10 elicotteri leggeri e a breve dovrebbe concludersi anche quella per i mezzi pesanti. Nel frattempo, va avanti anche il progetto di una control room regionale unica per le emergenze, che metta insieme Protezione civile e Corpo forestale, anche con l’utilizzo di sistemi all’avanguardia per il monitoraggio del territorio nella logica della prevenzione”. Ma la domanda è sempre uguale: basterà?
Fonte: www.buttanissima.it
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