A seguito dell’evoluzione normativa climatica, si ritiene utile fornire una sintesi del processo di riduzione delle emissioni climalteranti in atto in ambito europeo e in merito ad alcune altre iniziative volte a considerare il ruolo strategico degli assorbimenti di carbonio agroforestali.
L’evoluzione del negoziato climatico internazionale e della normativa europea sul clima, infatti, ha portato ad un progressivo aggiornamento degli obiettivi europei e nazionali di riduzione delle emissioni climalteranti. Questi obiettivi sono ripartiti individuando due settori distinti: il cosiddetto settore ETS e quello non-ETS (a cui fanno riferimento le emissioni del settore agricolo).
Per quanto riguarda gli assorbimenti di carbonio, invece, attualmente il settore di riferimento per il comparto agro-forestale è il cosiddetto LULUCF (basato sugli impatti legati ai cambi di destinazione d’uso del suolo) ma è in corso, a livello europeo, un dibattito mirato ad una maggiore integrazione tra le due funzioni (emissiva e di assorbimento) che il settore agroforestale esercita in ambito climatico.
Rispetto all’attuale quadro normativo sugli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, vediamo più in dettaglio la normativa europea basata su una suddivisione settoriale (ETS, Non-ETS e LULUCF).
Il settore ETS è quello che fa riferimento alla direttiva 2003/87/CE “EU Emissions Trading” che ha istituito il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (Emission Trading System – ETS) a partire dal 2005 per alcuni dei settori industriali maggiormente energivori. La citata direttiva è stata successivamente modificata dalla direttiva 2008/101/CE, che ha incluso nel sistema anche il settore dell’aviazione e dalla direttiva 2009/29/UE.
Il settore ETS interessa circa il 40% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE. Sulla base di quanto previsto dalla direttiva, per ogni anno viene fissato un tetto massimo di emissioni consentite per ciascun impianto/attività (quote di emissione) che rientrano in questo settore e attraverso un apposito registro europeo viene garantito lo scambio delle quote tra i diversi partecipanti al sistema. Ogni quota conferisce il diritto ad emettere 1 tonnellata di CO2 eq.. Le quote vengono acquisite tramite un sistema d’asta o assegnate a titolo gratuito, sulla base della tipologia di attività e in considerazione del rischio di carbon leakage (trasferimento della produzione in Paesi al di fuori dell’UE, dove, in assenza di politiche climatiche, i costi industriali possono essere inferiori). Il sistema si basa, quindi, sul fatto che le emissioni prodotte nell’ambito dei settori produttivi coinvolti devono essere compensate da ciascun operatore tramite le quote assegnate o acquisite all’asta. Emissioni superiori alle quote assegnate devono, quindi, essere acquistate sul mercato da quegli operatori che hanno emesso meno delle quote a loro disposizione.
Per i settori interessati dal sistema ETS, l’obiettivo delle più recenti politiche adottate a livello europeo è quello di conseguire entro il 2030 una riduzione delle emissioni pari al 43% rispetto ai livelli raggiunti nel 2005.
L’altro settore interessato dalle politiche europee è il cosiddetto settore non-ETS (che comprende tutti i settori non interessati dal sistema di scambio delle quote di emissione istituito dalla citata direttiva 2003/87/CE “EU Emissions Trading”). Nel settore non-ETS ricadono, quindi, i settori dei trasporti, riscaldamento edifici, parte dell’industria, rifiuti e agricoltura.
La riduzione delle emissioni climalteranti di questi settori è stata disciplinata, per il periodo 2013-2020, attraverso la Decisione 406/2009/CE (Effort Sharing Decision, ESD) e successivamente, per il periodo 2021-2030, attraverso il Regolamento (UE) 2018/842.
Il Regolamento (UE) 2018/842, inoltre, è stato affiancato dal cosiddetto regolamento LULUCF (Regolamento (UE) 2018/841) che si occupa degli impatti climatici relativi ai cambi di destinazione di uso del suolo. Considerando che i calcoli annuali relativi al conseguimento degli obiettivi del regolamento LULUCF, specie nei paesi con una elevata superficie forestale, producono un saldo positivo (gli assorbimenti di carbonio superano le emissioni), tra i due regolamenti sono state previste alcune flessibilità. Più specificatamente, la flessibilità introdotta, destinata a tutti gli Stati membri, prevede la possibilità di utilizzare eventuali crediti generati dagli assorbimenti del settore LULUCF per un ammontare massimo europeo di 280 milioni di tonnellate di CO2 eq. (per l’Italia la quantità massima di crediti utilizzabili è stata fissata a 11,5 milioni di tonnellate per il periodo 2021-2030) per compensare le emissioni del settore non-ETS (Effort sharing) per il quale l’obiettivo europeo di riduzione al 2030 è stato fissato a -30% rispetto ai livelli del 2005.
Va sottolineato che, a seguito della distribuzione tra gli stati membri dell’obiettivo fissato Regolamento (UE) 2018/842, per l’Italia l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 del settore non-ETS (che comprende l’agricoltura) è stato fissato al – 33 % rispetto ai livelli nazionali del 2005.
Tuttavia, a seguito dell’adozione del Regolamento (UE) 2021/1119 (Legge europea sul clima) l’Unione ha sancito nella legislazione l’obiettivo vincolante della neutralità climatica in tutti i settori dell’economia, entro il 2050, così da realizzare l’azzeramento delle emissioni nette entro tale data, e l’obiettivo di conseguire successivamente emissioni negative. Tale regolamento stabilisce anche un obiettivo vincolante dell’Unione di riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. A seguito di ciò, quindi, l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2030 stabilito nel regolamento (UE) 2018/842 ha richiesto un aggiornamento al rialzo per ciascuno Stato membro.
Pertanto, il nuovo Regolamento (UE) 2023/857 del 19 aprile 2023, tenendo conto della necessità di incrementare le percentuali di riduzione delle emissioni climalteranti in linea con il Green Deal (pacchetto Fit for 55 %) e con il REPowerEU (nato per superare la grave crisi provocata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia), ha modificato il regolamento (UE) 2018/842, relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra del settore non-ETS, a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030, come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi, aumentando l’indice di riduzione per l’Italia da – 33% a – 43,7%.
È a quest’ultimo obiettivo nazionale (-47% al 2030 rispetto ai livelli emissivi del 2005), da conseguire attraverso sforzi da condividere con gli altri settori non-ETS, che dovrà, quindi, far riferimento il processo di riduzione delle emissioni climalteranti del settore agricolo, dovendo, però, anche tenere presente il rilevante contributo (in termini di assorbimenti di carbonio) del settore agroforestale nell’ambito del citato regolamento LULUCF (Regolamento (UE) 2018/841) e sue successive modifiche (Regolamento (UE) 2023/839).
Il settore agricolo è quello maggiormente esposto agli effetti negativi del cambiamento climatico, specie nell’area mediterranea, e, al tempo stesso, deve essere considerato centrale nell’ambito delle strategie di mitigazione climatica, grazie alla capacità di produrre fonti di energia rinnovabili e di assorbire il carbonio nel suolo e nelle piante.
Le responsabilità emissive dell’agricoltura, quindi, andrebbero sempre viste insieme al ruolo positivo nel campo degli assorbimenti. Questo dualismo è da tempo oggetto di dibattito a livello europeo, ma, attualmente, la normativa europea ha effettuato una separazione netta delle due funzioni.
In termini di emissioni, infatti, quelle del settore agricolo ricadono nell’ambito degli obiettivi di riduzione “condivisi” con altri settori (il cosiddetto settore non-ETS) stabiliti dal regolamento (UE) 2018/842 (e successivamente innalzati dal Regolamento (UE) 2023/857 al -47% al 2030, rispetto ai livelli del 2005), mentre gli assorbimenti vengono inseriti nel calcolo relativo al regolamento LULUCF (Regolamento (UE) 2018/841).
In termini di emissioni, l’ultimo report ISPRA evidenzia come in Italia, nel 2021, le industrie energetiche, manifatturiere, i trasporti ed il residenziale e altri settori siano responsabili, complessivamente, di quasi l’80% delle emissioni totali nazionali, mentre il settore agricoltura è responsabile del 7.8% delle emissioni nazionali totali, seguito dalle categorie emissive dei processi industriali ed uso di altri prodotti (IPPU) con il 7.6%, e dal settore dei rifiuti che contribuisce al restante 4.8%.
Il totale delle emissioni agricole nel 2021 è stato di 32,7 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, caratterizzate da metano (CH4, per il 64,9%), protossido di azoto (N2O, per il 33,7%) e marginalmente da quelle di anidride carbonica (CO2, per l’1,4%). Il settore agricolo italiano, tuttavia, registra un calo delle emissioni di gas serra pari a -13.2% dal 1990, principalmente a causa della riduzione del numero dei capi di bestiame, delle superfici e produzioni agricole, della riduzione dell’uso dei fertilizzanti sintetici e dei cambiamenti nei metodi di gestione delle deiezioni. In ogni caso, è la gestione degli allevamenti a rappresentare il peso maggiore in termini emissivi del settore agricoltura, contribuendo a circa il 75% delle emissioni del settore, generate principalmente dalla fermentazione enterica delle razioni nell’apparato digerente del bestiame, e, in particolare, dei ruminanti, dalla gestione delle deiezioni negli stoccaggi, dallo spandimento e dalla deposizione al pascolo dei reflui zootecnici.
Tuttavia, nell’ambito del settore LULUCF (uso del suolo, cambiamento di uso del suolo e selvicoltura), disciplinato dal reg. Regolamento (UE) 2018/841, il settore agro-forestale ha dimostrato la capacità di generare importanti quote di assorbimenti di carbonio, contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Nel 2021 gli assorbimenti netti del settore LULUCF sono risultati pari a 27.5 Mt CO2 eq., principalmente grazie alle foreste ed ai prati, pascoli ed altre terre boscate. Questi assorbimenti, tuttavia, mostrano un’elevata variabilità influenzata soprattutto dalle superfici percorse annualmente da incendi e dalle relative emissioni di gas serra.
Il divario tra le emissioni climalteranti prodotte dall’agricoltura e gli assorbimenti prodotti in ambito LULUCF (rispettivamente 32,7 Mt CO2 eq. e 27.5 Mt CO2 eq nel 2021) è stato ancora minore negli anni passati, tanto da poter affermare che in Italia, storicamente, gli assorbimenti LULUCF non si discostano mai di molto dalla quota emissiva del settore agricolo.
La compensazione tra i due regolamenti di riferimento, tuttavia, attualmente è molto limitata, con il risultato di non riuscire a considerare il settore agro-forestale nel suo complesso, in ambito climatico.
Se questo elemento venisse considerato, l’agricoltura italiana potrebbe addirittura rappresentare un modello di riferimento in ambito europeo, grazie ad emissioni di settore più basse della media europea e ad un saldo attivo stabile nel campo degli assorbimenti.
La possibilità di riunire gli aspetti emissivi e quelli legati agli assorbimenti del settore agro-forestale in un unico settore, tuttavia, è da tempo oggetto di dibattito a livello europeo, ipotizzando anche una revisione dei citati regolamenti Effort sharing e LULUCF per riunire le performances agroforestali in unico settore, cosiddetto AFOLU (Agriculture, Forestry and Other Land Use). Al momento, tuttavia, questo processo sembra fermo, anche sulla base delle attese indicazioni sul carbon farming e sulla certificazione degli assorbimenti di carbonio, elementi che vedono l’UE impegnata in un attivo processo di normazione.
In assenza di possibilità di compensazioni interne al settore agroforestale, il risultato più evidente è il ritardo accumulato sugli strumenti di sostegno per gli assorbimenti di carbonio che, tra l’altro, risultano essere un obiettivo prioritario in vista del raggiungimento della neutralità climatica al 2050. Sul tema una importante azione a livello nazionale è stata promossa dal Masaf, con la recente istituzione del registro nazionale dei crediti di carbonio agroforestali, ma il sistema, che dovrebbe permettere di assicurare una remunerazione economica alle imprese agroforestali che producono assorbimenti di carbonio certificati, è ancora in attesa dei necessari decreti attuativi.
A complicare un quadro di generale incertezza, per quanto recentemente animato da un certo fermento, merita una segnalazione un’altra iniziativa. La Commissione europea, infatti, è ormai da mesi al lavoro per valutare la creazione di un sistema di scambio di quote di emissione valido per l’agricoltura ed il mondo agricolo (agETS). Si tratterebbe di una sorta di sistema di scambio di quote di emissione/assorbimenti sul modello di quello dell’ETS ma circoscritto agli assorbimenti/emissioni del settore agroforestale.
In questa direzione, lo scorso novembre sono stati pubblicati i risultati dello studio che la DG CLIMA aveva commissionato ad un’agenzia esterna, dal titolo Pricing Agricultural Emissions and Rewarding Climate Action in the Agri-food Value Chain (Determinare il prezzo delle emissioni agricole e ricompensare l’azione per il clima nella catena del valore agroalimentare). L’obiettivo dello studio era quello di valutare possibili metodi per determinare il prezzo per le emissioni di gas serra provenienti dalle attività agricole, accompagnando gli agricoltori con incentivi finanziari, potenzialmente collegabili anche al carbon farming. Successivamente alla pubblicazione di tale studio, la Commissione ha cominciato il confronto con i diversi stakeholder, presentando diverse opzioni (5 diverse ipotesi di scambio di quote di emissioni) oltre ad una analisi su come un futuro agETS potrebbe ricompensare finanziariamente le rimozioni di carbonio derivanti da LULUCF.
L’iniziativa della Commissione si inserisce anche nell’ambito di una Comunicazione (atto non legislativo) dal titolo “2040 climate target”, la cui presentazione è prevista per il 6 febbraio, che, rispetto all’obiettivo già dichiarato di raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, intende promuovere un disegno di legge che fisserà obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti anticipati al 2040, sulla base dei risultati di un approfondito studio di impatto.
Il fermento in atto a livello comunitario per il riconoscimento del servizio ecosistemico legato agli assorbimenti di carbonio da parte delle imprese agroforestali non sembra conciliarsi, invece, con la strada che sembra ormai voler essere perseguita dall’Italia in modo prioritario, visto l’ampio spazio ottenuto sia nella bozza attuale del PNIEC che nel recente cd. “decreto Energia” (D.L. n. 181 del 9 12 23), e cioè quella dello stoccaggio geologico della CO2, soluzione industriale che, se non antitetica, risulta per lo meno concorrente con quella basata “sulla natura” (come i carbon sink agroforestali). La stessa UE, nell’ambito dell’iter di adozione del regolamento sulla certificazione del carbonio, infatti, ha definito le “soluzioni basate sulla natura” (Nature Based solution) di più pronta applicazione, rispetto alle soluzioni industriali, sulla base di una maggiore maturità tecnologica sin qui conseguita.
Fonte: www.federforeste.it
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