L'editoriale del Direttore
di Carlo Alberto Tregua
Il neo presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Micciché, che ritorna sul più alto scranno dell’Ars dopo quasi dieci anni, ha comunicato che intende innovare la linea di conduzione rispetto a quella precedente.
Non possiamo che concordare, perché l’Assemblea regionale siciliana è ancora un contenitore denso di privilegi di ogni livello, primo fra i quali il mantenimento della Legge 44/65, che la equipara al Senato della Repubblica, pur avendo funzioni regionali nettamente inferiori a quelle nazionali.
Fra i privilegi, stona l’eventuale ritorno agli stipendi ante blocco, dal segretario generale in giù. Non si capisce perché un usciere, denominato assistente parlamentare, con 25 anni di servizio, debba guadagnare quanto un dirigente dello Stato.
Non si capisce perché dipendenti e dirigenti dell’Ars non debbano percepire uno stipendio analogo a quello dei loro colleghi delle altre Regioni, anche quelle a Statuto speciale.
Stride soprattutto il costo complessivo dell’Assemblea regionale, che ammonta mediamente a circa 160 milioni l’anno, quando quello del Consiglio regionale della Lombardia costa la metà.
Non entriamo nel dettaglio delle uscite, ma rileviamo che il costo dell’Assemblea non è soggetto ad alcuna valutazione da parte del Governo regionale, che deve mettere in bilancio la cifra richiesta senza poter fare alcuna osservazione.
Anche nell’Assemblea regionale vige il principio dell’autodichia, senza che nessun altro organo della Regione possa entrarvi. Questo è giusto, ma a condizione che l’autogestione si conformi alle regole etiche, di buon senso ed eque, secondo le quali è iniquo che vi siano centinaia di privilegiati in un Palazzo dei Normanni tutto d’oro, quando si contano 600 o 700 mila poveri, quasi 400 mila disoccupati e mediamente milioni di siciliani che stentano ad arrivare alla fine di ogni mese.
Tagliare 50 milioni di euro di costi dell’Ars non sarebbe un grandissimo risparmio, ma un grandissimo segnale della sensibilità di un uomo come il presidente Micciché, del Consiglio di Presidenza e di tutti i deputati nei confronti di chi soffre e con amarezza cònstata come chi è attaccato ai privilegi non vi vuole rinunciare.
L’altra questione che riguarda l’Ars è il voto segreto. Originariamente esso aveva la funzione di consentire alla coscienza dei singoli deputati di non obbedire ai comandi dei dirigenti di partito. Ma ora che i partiti, di fatto, contano poco e che ogni deputato ragiona per sé, anche in funzione di una possibile rielezione, il voto segreto è diventato uno sconcio, in quanto serve a tutelare interessi anche singoli, spesso irrivelabili.
Secondo Giampaolo Pansa, come scritto nel suo La Destra siamo noi, vi è “Una piccola minoranza di politici fatta di figli di mignotta, capace di qualsiasi affare sporco. Un’altra piccola minoranza di idealisti, convinti di servire gli elettori che li hanno votati. Poi esistono due maggioranze. Una è di uomini mediocri, pronta a obbedire ai capi dei loro partiti. La seconda è di opportunisti, disposti a mettersi agli ordini di chiunque”.
La definizione che precede sembra disfattista, ma illustra la verità sotto gli occhi di tutti, che è una delle cause del disgusto di metà dei cittadini siciliani, che non è andata a votare alle elezioni del 5 novembre.
Che la Sicilia si trovi in queste condizioni è stato oggetto di centinaia di inchieste del QdS nel corso dei cinque anni del disastroso Governo Crocetta. Con l’ultima, pubblicata il 19 dicembre scorso, sono stati elencati i principali parametri economici, sociali e infrastrutturali con cui l’Isola è stata consegnata al neo presidente Nello Musumeci e alla sua maggioranza.
È pacifico che questo Governo regionale non abbia la bacchetta magica, ma è anche vero che dovrà prendere decisioni drastiche contro i privilegiati che vi sono nella nostra Isola, in modo da recuperare risorse da indirizzare in quello che è il primario obiettivo di oggi e domani: il lavoro.
Tutti dicono che il lavoro non si forma per decreto. Perciò bisogna creare le condizioni affinché esso possa crescere e consentire alla ruota economica di girare un po’ meno lentamente di oggi.
Tagliare i privilegi, a cominciare da quelli dell’Ars, e investire quante più risorse possibili per aumentare fortemente le opportunità di lavoro. Questo si deve fare. Ora, subito!
28 dicembre 2017 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: www.qds.it
Bene, su quanto scritto sopra (basta non parlare di forestali perché il direttore non capisce una mazza), questa volta il direttore mi trova d'accordo, perché è il mio punto di vista che in Sicilia si deve creare lavoro e non assistenza, e per farlo, i signori politici devono cominciare a sforbiciare non solo i costi esorbitanti della politica, ma devono inoltre ridimensionare tutto quello che è il carrozzone politico. Bisogna cominciare necessariamente da li. Ho sentito ieri che Berlusconi (che è già in campagna elettorale), vuole introdurre il reddito di dignità. Quindi alla dignità si vuole dare "assistenzialismo". Ai fannulloni questo potrebbe andare bene, ma ai lavoratori no. I lavoratori non vogliono il reddito di dignità, i lavoratori vogliono la dignità, che è cosa diversa, e per avere la dignità ci vuole un lavoro full time e giustamente retribuito secondo contratto. Nei palazzi del potere mancano etica e sani principi. Saluti Giuseppe Candela
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