Rosario Crocetta e Nello Musumeci
di Roberto Puglisi
Cerimonia a Palazzo d'Orleans. Con tanto di siparietto. LE FOTO PALERMO - Pioggia e sole giocano a rimpiattino sui tetti di Palazzo d'Orleans, restituendo un riflesso struggente. Ed è lì – smarrito in quel macramè di acqua e luce – che ti chiedi: perché? Come mai noi che abbiamo la bellezza, perfino in un novembre che non rinuncia ai guizzi dell'estate, noi che abbiamo lo sguardo per coglierla pure dove si scioglie rapidamente, noi che abbiamo storia, cultura e anima, perché noi siciliani niente altro abbiamo creato se non questa bruttissima – e strabuttanissima – Sicilia? Ma non c'è il tempo per rispondere alla domanda, non c'è mai il tempo, figuriamoci adesso, nella calca poco organizzata, che preme alle porte per assistere all'incoronazione di Nello Musumeci Primo.
Lui e gli altri che vengono proclamati al soglio della presidenza sono stati eletti secondo usi e costumi della democrazia, ma somigliano di più ai re. Regali sono gli stucchi e corridoi del sito che accoglie il governatore. Poco regale è il congedo – ai re accade quasi sempre – quando falliscono. Il potere è uno scettro che l'autonomia rende più forte. La figura dell'inquilino che qui affronta le rare estasi e i molti tormenti che l'incarico comporta – quasi peggio che essere allenatori del Palermo – ha dunque un nonsoché di monarchico. E si capisce subito – dal tono, dai gesti, dal vestito - che il presidente Musumeci affronterà il suo regno con un profilo istituzionale, nel bene o nel male che si racconterà. Poche concessioni all'effetto speciale: la sua sarà una presidenza soprattutto inamidata, con la vocazione alla normalità.
Il passaggio di consegne tra Nello e Saro è previsto per le undici, dopo un incontro privato per chiarire il contesto. La Sala Alessi è piena già dei protagonisti di un potere che prende il posto di un altro potere che scompare. Non c'è Gianfranco Miccichè, ancora fuori Palermo, ma col presidente, ovviamente, hanno parlato e parleranno certamente ancora nei prossimi giorni, poiché tanti sono i puzzle da comporre. C'è Leoluca Orlando, nella sua qualità di sindaco che guida i sindaci. C'è Vincenzo Figuccia, c'è Giusy Savarino, c'è Marco Falcone, c'è Toto Cordaro, c'è Giuseppe Milazzo, c'è Roberto Lagalla, c'è Gaetano Armao, c'è Saverio Romano, c'è Bernadette Grasso. E ce ne saranno che non si colgono. C'è la voglia di farsi vedere e di essere visti e riconosciuti.
E c'è Saro Crocetta all'atto del suo congedo. Nello e Saro sbucano insieme per il rito della successione. Rosario, come sempre, tenta di rubare la scena. Declama: “Caro presidente, veniamo da una cultura politica per cui l'avversario non è mai un nemico. Oltretutto, tra di noi, non c'è stata una competizione a cui fortunatamente sono stato sottratto”. Leoluca Orlando, in sala, non fa una piega. Al rettore Fabrizio Micari, immolato per il Pd alle scorse elezioni e designato fortissimamente dal sindaco di Palermo, il fischio nelle orecchie – ovunque egli fosse – sarà sembrato il sibilo gigantesco di un treno in corsa. Crocetta si gusta l'ultima volta sull'ultimo palcoscenico: “Rimane l'esigenza del bene comune, dell'amore per la nostra terra, perciò le auguro buon lavoro. Ora spero di prendermi qualche giorno di riposo. Ecco il mio regalo”. Si tratta dell'immortale Goethe, con il Viaggio in Sicilia. Ecco Musumeci ed è lì che succede, in un blob. Il crocettismo scompare. Non sappiamo come sarà il nuovo inquilino del palazzo, sebbene qualche indizio si annoti. Ma il crocettismo è finito e si concede appena la passerella nella rappresentazione di un addio.
Il presidente Musumeci dunque ringrazia Crocetta per il garbo istituzionale e piazza i suoi affondi con studiato aplomb. Colpi sì, ma gentili, da fare invidia al rettore-competitore: “Abbiamo il dovere del rispetto per le istituzioni. La fiducia nella Regione è bassa, per colpe anche remote. Sono stato un leale oppositore del suo governo – Saro abbozza un sorrisetto – e ho sempre detestato i cortigiani e i cospiratori. Lei conclude una stagione difficile su cui i miei giudizi sono noti. Siamo consapevoli della gravità del momento, ma pensiamo che la Sicilia sia redimibile. La Sicilia ha il diritto di tornare a sperare e noi politici abbiamo il dovere di essere portatori di speranza. Voglio coinvolgere gli scettici e i rassegnati. La sfida la vinceremo tutti insieme”.
E' il calibrato discorso da spogliatoio di un allenatore – insistendo nella metafora calcistica – chiamato al capezzale di una squadra in zona retrocessione a pochissime giornate dalla fine del campionato. Sperare bisogna, ma chissà se servirà a qualcosa.Tutti i re che hanno preceduto l'appena insediato hanno infatti conosciuto più sconfitte che successi. Profezia da menagramo? No, storia.
Ecco, dopo la proclamazione, le prime parole da presidente: “Leggo di toto-nomine e toto-assessori: è tutto falso. Sarò io stesso a comunicarvi la squadra. Abbiamo fatto il punto della situazione con il ragioniere generale della Regione e con l'assessore designato all'Economia Gaetano Armao: la situazione finanziaria è assai grave. Deputati indagati? Io darò un nuovo stile, ci sarà un cambiamento rispetto agli ultimi settant'anni".
Appunto, si vedrà, intanto la suggestione che resta è il saluto, intessuto di acuminato candore, tra colui che politicamente scompare e colui che si manifesta. Nello regala a Saro i libri di Oscar Wilde, “perché non abbiamo trovato Pasolini” e dice a Crocetta: “Auguri di buon riposo”. La Sala Alessi viene percorsa da una risata di rilevanza tellurica. “Cioè, l'ha spiegato lui che vuole riposarsi...”. E i presenti ridono, ridono e non la smettono più. Cala la tela. Il crocettismo è davvero finito.
LE FOTO (di Antonio Giordano)
Fonte: livesicilia.it
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