Dal sito focusicilia.it
Agostino Laudani 13 Giugno 2022
Dichiarati illegittimi alcuni commi della legge regionale 12/2021 (impugnata dal Consiglio dei ministri), che riduceva il vincolo paesaggistico nelle aree boschive, forestali e nelle relative fasce di rispetto
A salvare dal cemento i boschi della Sicilia ci hanno dovuto pensare i giudici della Corte costituzionale, dichiarando illegittime alcune norme varate lo scorso anno dall’Assemblea regionale siciliana con le quali era stato abolito il vincolo paesaggistico, esistente sin dal 1996, che tutelava sostanzialmente (e che adesso continuerà a tutelare) i boschi, le fasce forestali e le relative zone di rispetto nelle quali non è possibile edificare. Le norme regionali impugnate sono i nuovi commi 4, 5 e 6 dell’art. 37 della legge regionale 19/2020, così come sostituiti dall’articolo 12 della legge regionale 2/2021. Quest’ultima è nata da un disegno di legge di iniziativa governativa, presentato il 18 dicembre 2020 dal presidente della Regione Musumeci su proposta dell’assessore regionale per il Territorio e l’Ambiente, Toto Cordaro. La legge, approvata dall’Aula il 26 gennaio 2021, tra le altre cose abrogava sia il vincolo paesaggistico nelle zone di rispetto dal limite esterno di boschi e fasce forestali, sia il divieto di nuove costruzioni all’interno dei boschi, delle fasce forestali e delle zone di rispetto. L’arretramento di 200 metri sarebbe rimasto limitato solo ai confini dei parchi archeologici.
Tutela ridotta e piano paesaggistico assente
Un’azione dalle conseguenze notevoli per il territorio e infatti la bocciatura da parte della Consulta è sonora: i giudici scrivono infatti che, così facendo, il legislatore regionale “avrebbe determinato un generale abbassamento del livello di protezione dei boschi e delle foreste, oltretutto in assenza del piano paesaggistico esteso a tutto il territorio siciliano, ciò che lascerebbe le zone di rispetto prive di disciplina d’uso”. Inoltre, “la stessa Regione avrebbe inspiegabilmente revocato un vincolo operante da oltre 25 anni, riducendo la tutela dei boschi e delle foreste, costituenti un bene giuridico di valore primario e assoluto”, si legge nella sentenza pubblicata in Gazzetta ufficiale l’8 giugno 2022. Il pronunciamento giunge al termine di un giudizio durato poco più di anno, scaturito dall’impugnativa della presidenza del Consiglio dei ministri del 16 aprile 2021, nel quale la Regione Siciliana si è costituita l’11 maggio 2021.
“Una scelta irragionevole e contraddittoria”
“La scelta della Regione siciliana di sottrarre le zone di rispetto al vincolo paesaggistico già imposto per legge – si legge tra le ragioni del ricorso presentato dal Consiglio del ministri – sarebbe irragionevole e contraddittoria, in quanto contrasterebbe sia con la precedente normativa siciliana diretta a incrementare la tutela paesaggistica in materia di boschi e foreste, sia con l’impostazione di principio del testo unico delle foreste, che la stessa Regione ha reso applicabile al proprio territorio”. Tra le contraddizioni più evidenti, “l’eliminazione del vincolo paesaggistico amplierebbe, inoltre, l’area di applicazione del condono edilizio, consentendolo anche per opere altrimenti non condonabili”, con un’invasione, tra l’altro della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento penale. C’è poi la questione dei Piani paesaggistici, che sono stati approvati solo da sette province siciliane su nove (mancano Palermo ed Enna): i Piani non stabiliscono discipline d’uso per le zone di rispetto di boschi e fasce forestali, rinviando all’art. 10 della Lr 16/1996 (cui fanno riferimento le norme impugnate). Dalla sentenza emerge che, venendo meno tale normativa regionale di riferimento, cadrebbe “l’operatività delle norme di attuazione dei piani paesaggistici provinciali, creando un vuoto di tutela”.
Il rischio di un indiscriminato utilizzo edificatorio
Per i giudici della Consulta, il territorio siciliano “risulta ancora oggi in parte non pianificato paesaggisticamente, nonostante il lungo tempo trascorso dall’introduzione del relativo obbligo per l’intero territorio nazionale (il Codice dei beni culturali e del paesaggio è del 2004), sicché le norme abrogate costituivano una sorta di disciplina di salvaguardia sostanziale, il cui venir meno fa sì che le aree sprovviste di piano non siano più al riparo dai rischi di un indiscriminato utilizzo edificatorio”. La Corte in altre occasioni aveva già affermato che “è necessario salvaguardare la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali”.
“Una scelta irragionevole e contraddittoria”
“La scelta della Regione siciliana di sottrarre le zone di rispetto al vincolo paesaggistico già imposto per legge – si legge tra le ragioni del ricorso presentato dal Consiglio del ministri – sarebbe irragionevole e contraddittoria, in quanto contrasterebbe sia con la precedente normativa siciliana diretta a incrementare la tutela paesaggistica in materia di boschi e foreste, sia con l’impostazione di principio del testo unico delle foreste, che la stessa Regione ha reso applicabile al proprio territorio”. Tra le contraddizioni più evidenti, “l’eliminazione del vincolo paesaggistico amplierebbe, inoltre, l’area di applicazione del condono edilizio, consentendolo anche per opere altrimenti non condonabili”, con un’invasione, tra l’altro della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento penale. C’è poi la questione dei Piani paesaggistici, che sono stati approvati solo da sette province siciliane su nove (mancano Palermo ed Enna): i Piani non stabiliscono discipline d’uso per le zone di rispetto di boschi e fasce forestali, rinviando all’art. 10 della Lr 16/1996 (cui fanno riferimento le norme impugnate). Dalla sentenza emerge che, venendo meno tale normativa regionale di riferimento, cadrebbe “l’operatività delle norme di attuazione dei piani paesaggistici provinciali, creando un vuoto di tutela”.
Il rischio di un indiscriminato utilizzo edificatorio
Per i giudici della Consulta, il territorio siciliano “risulta ancora oggi in parte non pianificato paesaggisticamente, nonostante il lungo tempo trascorso dall’introduzione del relativo obbligo per l’intero territorio nazionale (il Codice dei beni culturali e del paesaggio è del 2004), sicché le norme abrogate costituivano una sorta di disciplina di salvaguardia sostanziale, il cui venir meno fa sì che le aree sprovviste di piano non siano più al riparo dai rischi di un indiscriminato utilizzo edificatorio”. La Corte in altre occasioni aveva già affermato che “è necessario salvaguardare la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali”.
Fonte: focusicilia.it
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