di Antonino Lomonaco
Aspi di Linguaglossa
Mentre accade che dalla California alla Siberia e dall’Amazzonia all’Australia, il mondo viene attraversato da incendi che ardono boschi e foreste, uccidendo e distruggendo tutto quello che incontrano, ci si chiede il perchè possa succedere tutto ciò.
Se persino nei territori della Groenlandia ed in altre parti vicine al circolo polare artico, negli ultimi anni si verificano incendi e sappiamo che la possibilità della spontaneità di un incendio naturale sia estremamente difficile, diventa ovvio che la causa principale sia la stessa presenza dell’uomo nei territori.
Questa è una presenza ingombrante perchè spesso si tratta di un tipo di uomo fornito di un potere tecnologico ma del tutto sprovvisto di quella sensibilità del “rispetto” che avevano le popolazioni “primitive”.
Queste davano un senso di sacralità alla terra e ai boschi da cui traevano il loro sostentamento, mentre l’uomo moderno ritiene di essersi emancipato dalla natura al punto di poterla maltrattare impunemente.
E’ inutile dire che si tratta di semplice delirio, poichè tutto risponde alle leggi naturali ed esse indicano una condizione di reciprocità fra tutti gli esseri, per cui il danneggiamento di una parte si ripercuote presto in un’altra, fino a tornare addosso, in un modo o nell’altro, a chi abbia causato quel danno originario.
Così è la mano della stupidità umana ad appiccare direttamente un incendio, ma lo è anche indirettamente, poichè è il nostro stile di vita a causare quelle condizioni di aridità climatica senza di cui esso non riuscirebbe a svilupparsi ed espandersi, soprattutto nei pressi del circolo polare artico.
Questi incendi, che vi sono un po’ ovunque, hanno un impatto planetario per la loro vastità quantitativa e qualitativa e contribuiscono ad aggravare ulteriormente le condizioni di inquinamento atmosferico che è all’origine dei medesimi cambiamenti climatici.
Si tratta di una malattia del pianeta, che stiamo causando noi uomini ed a cui, se siamo davvero intelligenti come crediamo, dovremmo porre rimedio.
Il rimedio ottimale sarebbe quello di cambiare presto stile di vita ma è chiaro che non si tratta di una eventualità semplice ed immediata.
Più immediata sarebbe, invece, la risposta al problema degli incendi boschivi.
Questi vengono meglio combattuti in proporzione alla rapidità attraverso cui sono individuati e posti sotto intervento repressivo.
L’esperienza dell’antincendio boschivo siciliano è stata finora un buon esempio di organizzazione, con le sue vedette distribuite nei territori e le sue squadre pronte ad intervenire nel minor tempo possibile. Il risultato, negli anni, pur con tutti i difetti, è stato apprezzabile, soprattutto se si considerano le condizioni climatiche e vegetative di questa nostra terra.
In estate, infatti, la temperatura ambientale ruota attorno ai quaranta gradi e le piante erbacee rinseccano, mentre le altre si inaridiscono prestandosi bene, tutte quante, come combustibile.
Inoltre l’incidenza numerica dei roghi, purtroppo, è fra le più alte.
Eppure la risposta degli interventi è risultata adeguata, tanto che un incendio, a differenza di altri contesti, raramente dura più di qualche giorno.
Dietro questi risultati, a mio parere, vi è stata la buona volontà di una generazione che conosceva il suo territorio e si sapeva muovere su di esso. Una generazione cresciuta ancora nelle campagne e non immersa nell’alta tecnologia. Che sapeva soffrire di fatica e continuare ad andare avanti senza cliccare su alcun dispositivo elettronico per eliminare le inconvenienze. Fra l’altro originariamente non è stata neanche formata per svolgere questo compito pericoloso: lo ha fatto seguendo l’esperienza tradizionale degli anziani.
Parlo usando il verbo al passato, perchè questa generazione di cinquantenni e sessantenni, di cui faccio parte, è ormai al limite fisico per questa attività ed ogni anno il compito diventa sempre più pesante e pericoloso, senza una nuova generazione a cui passare l’esperienza acquisita.
Purtroppo il pensiero che ha ideato ed amministrato l’attività dell’antincendio boschivo in Sicilia (e che ancor oggi continua a farlo) non ha mai capito il valore e l’importanza di queste squadre e di questi uomini. Infatti costoro sono stati trattati sempre con sufficienza, venendo lusingati, da un lato, con salari e condizioni di lavoro normali, ma migliori rispetto al contesto generale di una agricoltura sempre più fuori mercato, da cui provenivano,
mentre dall’altro lato sono stati penalizzati attraverso una precarizzazione stagionale che li legava ad una speranza di miglioramento mai arrivata, ma capace di frenarli da una inesorabile emigrazione che avrebbe spopolato ancor di più, e più in fretta, i nostri territori.
Questa sufficienza di cui parlo emerge, inoltre, dalla scelta di dispositivi di sicurezza non del tutto idonei al nostro clima: tute ignifughe poco traspiranti, adatte ad un clima più fresco, come quello del nord Italia, dove gli incendi vengono favoriti dal rinsecchimento dell’erba per le gelate autunalli o primaverili e non certo dal caldo sub-tropicale!
Si evince dalla puntualità dei ritardi nella distribuzione di questi stessi dispositivi o degli automezzi con cui operare. Si evince dalla mancata formazione anche motivazionale dei compiti da svolgere e dalla mancanza di una selezione basata sulle qualità psicoattitudinali invece che da amicizie ed accordi, i quali mortificano spesso la correttezza del buon servizio, nonchè l’immagine di queste squadre.
Un’immagine spesso offesa e svilita da campagne giornalistiche il cui scopo è il propagare pregiudizi e non informare, a cui nessun dirigente o assessore del settore o presidente di regione, ha mai saputo replicare con correttezza di argomenti e lealtà verso questi uomini. D’altro canto che ne sapevano questi dirigenti, assessori, presidenti, di questi uomini! E, soprattutto, cosa gliene importava?!
Il lavoro, come il linguaggio, testimonia la nostra propensione sociale.
Il linguaggio, infatti, mette in relazione gli uomini, così come il lavoro.
Ogni lavoro esiste per fornire un servizio, o un bene, agli altri uomini e innesca una reciprocità sociale senza cui ogni uomo sarebbe niente.
Senza la reciprocità del linguaggio e del lavoro, non saremmo mai riusciti a creare le macchine, l’energia elettrica, volare... arrivare sulla Luna!
E’ attraverso la reciprocità del linguaggio e del lavoro che la nostra specie riesce a difendersi meglio nello scontro naturale con le malattie, i disastri: terremoti, allagamenti, ecc.
Noi dimentichiamo facilmente che siamo come naufraghi su un piccolo scoglio splendente di luce riflessa dal Sole, in uno spazio di cui non si conoscono i confini e di cui sappiamo pochissimo.
Uno scoglio delicato che ci nutre e ci fa vivere ed ha bisogno, per continuare a farlo, di rispetto.
Un rispetto che dovremmo imparare a usare già a partire proprio dal linguaggio e dal lavoro.
Per comprendersi serve che la comunicazione sia veritiera: leale.
Allo stesso modo, la reciprocità del lavoro necessita di quella lealtà senza cui i rapporti fra gli uomini si rompono nell’usurpazione e nella rapina.
Senza lealtà, la solidarietà fra gli uomini va in rovina, facendo andare in rovina quella condizione migliore affinchè si possa giungere a mettere quel piede sulla Luna o creare un aereo, o giocare ad un qualsiasi gioco divertente capace di renderci lieta la vita.
Così la lealtà verso le squadre di antincendio boschivo siciliano sarebbe dovuta partire dalla prospettiva che li vedeva come parte meritevole di una lotta agli incendi che non è solo siciliana ma planetaria. Parte che tiene alta la bandiera del buon servizio così come, purtroppo, poche altre attività in Sicilia possono vantare. Ed in base a questo, perciò, trattarle. Quindi valutando già, direttamente in loco, dei dispositivi di sicurezza adeguati al nostro clima, così come i mezzi e le tecniche di spegnimento.
Valutando gli uomini capaci a organizzare, motivare, armonizzare, le dinamiche delle squadre. Capaci della buona parola nell’esposizione delle condizioni del lavoro, della sicurezza, competenti e consapevoli dell’importanza del proprio lavoro.
Scegliendo dirigenti che amassero il proprio compito e lo curassero allo stesso modo di un amante con la propria amata. Perchè se non c’è amore, anche nella propria attività, non c’è attenzione verso di essa e tanto meno cura.
E’ la mancanza di cura, di attenzione, in poche parole: di amore verso noi stessi che ci sta portando sempre più vicini al disastro, che ci fa diventare indifferenti all’immondizia che ci sommerge, alla volgarità che ci pervade, alla mancanza di lealtà verso l’ “altro”, sia esso collega, amico o il medesimo territorio in cui si vive.
E’ un atteggiamento, questo, che non ci può portare lontano, che ci avvicina allo sbandamento e all’impatto con la dura realtà di quel che siamo: polvere cosmica.
Chi difende il mondo del lavoro non può fermarsi alla pantomima dell’”avvocato”. Soprattutto in un periodo di deregolamentazione liberista come l’attuale, il compito del sindacato dovrebbe, perciò, tornare a quello delle sue origini: difesa, certamente, ma non meno della promozione dei lavoratori e delle loro condizioni di lavoro.
Promozione significa dare coscienza della propria importanza di lavoratori, renderli edotti che il lavoro che si svolge non sia un inutile assistenzialismo, analogo ad un reddito di cittadinanza, ma, al contrario, un lavoro importante che si collega al medesimo lavoro svolto in altre parti del mondo per frenare una catastrofe di livello mondiale.
Ecco che, allora, si riporta l’equilibrio laddove si cerca di farlo mancare: ovvero che non può esserci distinzione fra lavoro e lavoratori! Questa “bestialità” è un concetto utile solo a separare l’inseparabile, per il solo scopo di mortificare ulteriormente, e gestire verso il peggio, i lavoratori, i cittadini!
Ma tale è il pensiero che anima il liberismo ed i suoi agenti, consapevoli o no, sotto copertura negli stessi partiti che si dicono ancora di sinistra.
C’è una grande distinzione fra le politiche di sinistra e di destra, la quale non può mai essere superata: le prime intendono le istituzioni al servizio dei cittadini, le seconde intendono i cittadini al servizio delle istituzioni, Stato o mercato che siano.
Tuttavia sono i cittadini che fanno le istituzioni (non c’è niente da fare!) per cui queste devono servire i cittadini stessi e non possono trasformarsi in feticci utili a quei pochi furbacchioni capaci di approfittarsi e abbindolare i molti nell’asservimento.
Sono i cittadini a fare le istituzioni e ci riescono a patto che provvedano sempre alle leggi del rispetto reciproco, cioè a dire alla lealtà.
Mi ricordo che nel primo documento di valutazione rischi a cui mi capitò di lavorare, uno dei suoi primi punti iniziava dicendo che nell’attività dell’antincendio boschivo gli operatori più a rischio erano gli operatori del centro radio!
E’ inutile dire che saltai letteralmente dalla sedia per contestare e far cambiare immediatamente quella dicitura surreale ed offessinva verso chi fisicamente spegneva le fiamme, mettendo ogni volta a repentaglio la propria incolumità. In quella circostanza uno dei più strenui difensori della dicitura fu, stranamente, un altro RLS, il quale mi replicava, fra le altre cose, che se avevano scritto in quel modo, di certo, vi era un motivo, forse radiazioni...
Eppure quell’RLS era uno fra i più preparati di noi: ma la lealtà verso i propri compagni..., il proprio lavoro?... La competenza?!
Vedere adesso che la Corte Costituzionale rigetta un subdolo tentativo di stabilizzazione degli operatori forestali nei centri radio, mi riporta proprio a quel primo tentativo di presentazione di una categoria in modo tale da scavalcare immeritatamente i propri compagni, usurpando prerogative attraverso l’imbroglio e l’aiuto interessato di qualche politico compiacente, il quale propaga, in questo modo, la corruzione che come un incendio consuma l’intera nostra società.
Chi si pone contro la corruzione, la mancanza di lealtà, non può che operare ed agire in modo corretto, magari sbagliando ma, certamente, senza una consapevole volontà a volerlo fare.
Altrimenti tutto quanto si risolve ad essere un mero teatrino delle finzioni, dove si recitano delle parti, dove si fa finta, dove si gioca ad essere e non si è altro che farsa.
Attenzione che la farsa si trasforma facilmente in tragedia!
Noi spegnamo incendi, lo abbiamo fatto e per qualche anno lo faremo ancora, conosciamo la facilità con cui la bellezza si trasforma in cenere.
Sappiamo che è da stupidi trascurare i tempi e le strategie, tanto quanto è criminale avvicinare un accendino ad un cespuglio secco: non si tratta di un semplice crimine al patrimonio, si tratta dell’inizio di una strage.
Antonino Lomonaco (5 maggio 2020)
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