Claudio Fava, candidato alla Presidenza della Regione Siciliana
Forum con Claudio Fava, candidato alla Presidenza della Regione Siciliana
di Margherita Montalto
Qual è lo scenario che vede e qual è il suo obiettivo qualora fosse eletto presidente?
“Vedo una Sicilia che ci viene riconsegnata in una condizione
devastante. Ci sono cifre oggettive, numeri che non possono mentire: un
crollo degli investimenti negli ultimi otto anni del 50%, il 39% come
comunica l’Istat, le famiglie sono in povertà e il 12% in povertà
assoluta, con un crollo del Pil di 13 punti e un’alta percentuale di
giovani che vanno via. Sono dati che danno un quadro della situazione.
Il 40% dell’immatricolazione universitaria in meno e quindi il doppio di
quella italiana: è chiaro che ci troviamo di fronte a una marginalità
economica e sociale. Bisogna reagire in due modi: ritenere che questo
sia una sorta di karma, di destino per cui si devono cercare scorciatoie
assistenzialistiche e quindi vedere la politica come elemosina e la
Regione come un bancomat che distribuisce risorse per la sopravvivenza;
oppure ci si guarda allo specchio e si scoprono altri dati che invece
dicono che la Sicilia è una terra ricca con delle potenzialità
straordinarie”.
Dal punto di vista della resa economica cosa pensa?
“La Corte dei Conti, un organismo assai tecnico, per il
comparto dei Beni culturali afferma che siamo all’anno zero nella
gestione del patrimonio artistico e architettonico, dal punto di vista
della resa economica. L’ex direttore dell’Unesco asserisce che abbiamo
un enorme patrimonio potenziale rispetto all’Europa, ma non siamo capaci
di gestirlo. Su queste parole cerco di ragionare sul tema gestione
delle risorse, per trasformarle come volano di uno sviluppo strategico.
Se si restituisce alla Regione la capacità strategica di indirizzo,
verso obiettivi, senso di responsabilità politica e non pura gestione
dell’esistente, si può parlare di strategie e modo di utilizzare queste
risorse”.
Come si rilancia il turismo?
“Abbiamo 14 teatri greci, un patrimonio unico al mondo, ma non
esiste un brand, una rete che li collochi nell’impianto turistico. Sono
sforzi perduti. Abbiamo gli stessi chilometri di costa delle isole
Baleari, otto beni Unesco rispetto a tutta l’Italia e un trentesimo del
flusso turistico fatturale che esiste nel Paese. La Sicilia che ci è
stata consegnata è quella rappresentata da un assessore al Turismo che
spende a pioggia gli ultimi spiccioli della cassa per finanziare le
sagre di paese, tutto al di sotto dei 10 mila euro?.
Come si fa allora a far ripartire la Regione?
“Bisogna ripartire usando le competenze che si hanno per
immaginare un Piano industriale che tenga conto di come sono cambiati
gli assetti della Sicilia. Se è necessario occorre dotarsi di competenze
che servano a disegnare un Piano industriale”.
Non c’è nessuno che parli del Piano aziendale, solo lei ne sta parlando…
“Noi abbiamo delegato, in assenza di Piani, le decisioni
strategiche a chi non ha niente a che fare con le responsabilità della
Regione siciliana. Non abbiamo un Piano di rifiuti perché forse è stato
più utile avere il 12% della raccolta differenziata e 400 milioni che
vengono messi a disposizione delle discariche private. Cominciare a
darsi obiettivi strategici, ad assumere competenze all’interno della
Regione, significa non accontentare qualcuno ma lavorare per il bene di
tutti”.
Come si può restituire prestigio alla politica?
“Occorre garantire che la deputazione sia libera, competente e
capace di sostenere un progetto di governo così come presentato durante
la campagna elettorale, ma che non sia solo quello della campagna
elettorale, senza poi dovere rinunciare ad attualo per mancanza di
possibilità. È vero che la sanità dovrebbe avere un indirizzo, ma è
meglio che occupiamo la sanità con uno o due dirigenti generali di
riferimento, creando un’empatia con la Regione, affinché ciascuno abbia
un punto di riferimento. Dobbiamo garantire che il Governo non sia
ostacolato da una platea di parlamentari con interessi che frenano o
impediscono il fare. Partendo da ciò, la maggioranza deve essere
costruita fuori, affidandosi a significativi cambio di passo e
condividere con una platea vasta. Occorre far capire ai siciliani che il
voto non è una delega. Così si ottiene una massa critica anziché trenta
deputati di cui bisogna tenere conto. È una questione di sistema che
deve cambiare. C’è una scarsa capacità di fare dell’Autonomia regionale
un volano di sviluppo che renda competitivi”.
Qual è la sua posizione sulla legge elettorale?
“La legge elettorale va cambiata. Dovremmo trovare delle forme
di tipo uninominale che garantiscano una certa linea. Non si può
diventare presidente con il 15% dei voti, poiché rappresenta una
mancanza di legittimazione. Si devono mettere i cittadini nelle
condizioni di decidere, non come una lotteria. Si potrebbe puntare sul
doppio turno come in Francia: nel ballottaggio dal primo al secondo
turno si riesce a definire meglio l’idea che il candidato esprima il suo
progetto di governo”.
Qual è il suo punto di vista sugli impianti energetici? Sono 41 quelli concentrati al Nord e non hanno problemi…
“Per quanto riguarda gli impianti energetici, dovremmo
rivolgerci a tecnologie di nuova generazione. Abbiamo bisogno di creare
un nuovo sistema e sarebbe giusto avere una rete elettrica adeguata:
abbiano metà dei campi eolici fermi perché non sono in condizioni di
immettere energia in una rete obsoleta, che paghiamo ugualmente. È la
Regione che si deve occupare di questo, con un project financing per la
gestione in tempi rapidi. Rendere efficienti gli edifici pubblici di
competenza regionale vuol dire avere una diminuzione dei consumi dal 20
al 50%. Significa che l’investimento per adeguare un Palazzetto dello
sport con un tipo di illuminazione e di riscaldamento in due anni è già
pagato e si battono i costi. Tutto questo rappresenta una cabina di
regia per realizzare i progetti. Occorre porsi il problema di come
sistemare le cose: non è un problema di destra o sinistra, ma una
questione sociale, che interessa tutti. Bisogna essere liberi di
muoversi”.
Per il Piano di rifiuti?
“Il Piano di rifiuti deve contemplare un’economia circolare che
punti al riuso, che intervenga sulla pratica dei consumi. È un’etica
della vita. Se si vuole andare verso un Piano di raccolta differenziata
che preveda una partecipazione dei siciliani, si deve fare coinvolgendo i
Comuni, creando una sinergia, un’economia politica di rete in cui
ciascuno si senta responsabile”.
Selezionare il ceto dirigente per una buona Autonomia
Qual è il suo punto di vista sull’Autonomia della Regione siciliana?
“Lo Statuto è po’ vetusto, patriottico e non usato bene. Il
principio fondativo dello Statuto non è avere le mani libere, ma avere
il senso di responsabilità. Attribuiamo poteri che altri non hanno, su
temi importantissimi quali sanità, fisco, risorse altrimenti gestite
dallo Stato centrale. Questo vuol dire assumersi la responsabilità di
una gestione virtuosa in merito alla capacità d’intervento e di spesa.
Per quanto concerne l’Autonomia, il problema non è lo Statuto, che
andrebbe superato, semmai la sua lettura provinciale, elementare e
clientelare, che si ripercuote sul rapporto che abbiamo avuto con il
resto dell’Europa”.
L’Europa investe sulla Sicilia, ma quali sono i risultati?
“Sono 200 le Regioni in Europa e la Sicilia, nell’arco di 25
anni, ha avuto una grande quantità di risorse. Nonostante ciò, siamo tra
le più marginali regioni in termini di spesa, di impegno. In dieci anni
di Parlamento europeo ci siamo occupati di stabilire i criteri di
spesa. L’Ue finanzia nel momento in cui valuta l’efficacia del progetto,
la sua rilevanza sullo sviluppo sociale, economico, occupazionale.
Disponiamo di 8 miliardi e mezzo dal 2014 al 2020 che l’Ue concede alla
Sicilia in quanto regione marginale, per recuperare occorre investire su
infrastrutture, processi di innovazione, saperi. Non siamo riusciti a
farlo. Ho scoperto che le risorse venivano investite o per la spesa
corrente o per progetti sponda. Per una buona Autonomia occorre la
selezione del ceto dirigente, capace di gestire le risorse con profili
strategici”.
Mettere in moto l’economia fissando obiettivi condivisi
Tra spesa corrente, forestali e precariato qual è la sua idea?
“La spesa oggi è solo quella corrente e paga le stratificazioni
e le incrostazioni di anni. Avere 32 mila forestali, tanti quanti ce ne
sono in tutta Italia rende bene l’idea del perché la spesa corrente sia
così significativa. Circa gli ottanta euro che si dovevano dare, è bene
che ci sia un’integrazione contrattuale a norma di legge, purché venga
fatta il primo giorno di legislatura e non l’ultimo. Per esempio, il
precariato è un grande serbatoio di voti e capisco che diventi un
investimento che libera risorse. Se cerchiamo di stabilizzare il più
possibile e utilizzare queste risorse in modo strategico, potremmo
capire come orientare tali le competenze”.
Come si indirizzano le competenze?
“Qui si torna al Piano industriale. I 32 mila forestali non
vanno licenziati, ma bisogna indirizzare le competenze per destinarle
alla tutela del territorio: messa in sicurezza, lotta al rischio
idrogeologico, prevenzione degli incendi. Così utilizzati, questi
dipendenti ricadono positivamente sul territorio, la cui cura permette
di far si che si trasformi in una risorsa”.
Quali sono le responsabilità della Regione?
“La Regione ha comunque una responsabilità politica. Al di là
delle competenze istituzionali, c’è una funzione di legittimità
politica. Serve a fissare obiettivi condivisi. Occorre dialogo con i
sindaci dei Comuni. Siamo dinanzi ad un debito di 8 miliardi e non
risolvono i problemi i 12 milioni che riusciamo a raggranellare. Occorre
mettere in moto l’economia in maniera strategica, con obiettivi ben
precisi e senso di responsabilità. È necessario stabilire priorità
assumendo in capo alla Regione un piano politico, intervenendo nelle
fasce di sofferenza. Bisogna costruire una capacità di ingresso nel
campo del lavoro attraverso la stesura di piani di investimento”.
30 settembre 2017 - © RIPRODUZIONE RISERVATA