Lo Bello: più forza al governatore "liberato" dall'Ars
Ivan Lo Bello, imprenditore, attuale
Vicepresidente Nazionale di Confindustria con delega
sull’Educational, dopo una lunga esperienza alla guida
di Confidustria Sicilia nel segno della lotta alla mafia
Foto lasicilia.it
«La classe dirigente regionale fa schifo, per la Sicilia serve
una "devolution all'incontrario": affidatevi di più a Roma. Lo Statuto
speciale andrebbe rivisto. I siciliani devono sottrarsi al ricatto
dell'autonomia, che è stata la parola d'ordine dei politici per rubare
alle loro spalle. Il governo Crocetta? Né scelte significative, né
rotture: irrilevante e immobilista»
Foto lasicilia.it
Mario Barresi
Ivan Lo Bello, vicepresidente nazionale di
Confindustria, in un'intervista al nostro giornale lo storico ed
editorialista del "Corriere della Sera, Ernesto Galli Della Loggia, ha
espresso un giudizio impietoso sulla classe politica regionale: «Fa
schifo», ha detto senza mezzi termini...
«Sotto molti aspetti il
giudizio è condivisibile. Se guardiamo agli ultimi anni e alle vicende
che hanno riguardato le regioni, dalle inchieste sui rimborsi ai tanti
scandali, non c'è dubbio che emerga un problema serio di classe
dirigente locale, anche se non bisogna generalizzare. Guardando alla
storia del nostro Paese, le Regioni ordinarie sono sono state istituite
negli Anni 70, senza una vera tradizione politica e amministrativa come
quella dello Stato centrale e tanti Comuni, istituzioni con maggiore
presenza e radicamento sul territorio. Altra cosa sono le Regioni a
statuto speciale».
E qui veniamo alla Sicilia, per la quale Galli
Della Loggia propone in pratica una "rottamazione" dell'Autonomia, con
una netta revisione dello Statuto speciale. Che ne pensa?
«Io da
sempre sono uno dei critici dell'Autonomia regionale. Ho sempre
sostenuto che questa "specialità" è stata sempre vissuta non come
un'opportunità di sviluppo, ma come un elemento di redistribuzione di
risorse, ma soprattutto di assistenzialismo e clientelismo. E questo è
un tema siciliano, perché altre Regioni - penso al Trentino Alto Adige,
ad esempio - hanno avuto le stesse prerogative e risorse parametrate
alla loro situazione e hanno saputo utilizzare l'autonomia speciale in
maniera estremamente positiva. Da noi, invece, dietro alla retorica
sull'autonomia si sono nascoste le peggiori nefandezze. Quello fra noi e
il Trentino è un paragone non di modelli istituzionali, ma di qualità
della classe dirigente. Uno dei temi su cui bisognerebbe confrontarsi in
Sicilia, anche in un dibattito storico è questo: perché l'Autonomia
speciale dal dopoguerra a oggi ha determinato una classe dirigente,
politica, sociale ed economica non all'altezza di sfide, opportunità e
prerogative in questi decenni? Complessivamente l'autonomia speciale è
stato un grande fallimento per la Sicilia».
Quale può essere allora
la strategia d'uscita? La «devolution all'incontrario» proposta da Galli
Della Loggia che ci invita ad «affidarsi di più a Roma»? Oppure è
possibile un'ultima chance alla nostra classe dirigente, magari
aspettando pure da noi che si materializzi «l'uomo forte» che
l'editorialista auspica a livello nazionale?
«Quando Galli Della
Loggia parla dell'uomo forte al governo, il discorso non si può
applicare tout court alla nostra regione. In Sicilia c'è da un lato un
presidente eletto direttamente dai cittadini, ma dall'altro una
fortissima assemblea parlamentare. E il presidente eletto non porta con
sé un premio di maggioranza, al di là di quello minimo del "listino": il
nostro è un sistema presidenziale con un fortissimo contrappeso del
potere dell'Ars, che in una certa fase storica poteva essere arginato
dalla forza dei grandi partiti della Prima Repubblica, ma oggi i partiti
sono strumenti deboli e fortemente frammentati. In questi ultimi anni
all'Ars ci sono stati e ci sono partiti personali, portatori di singoli
interessi. Dobbiamo smitizzare il tema che in Sicilia ci sia un uomo
solo al comando, perché il governatore deve convivere con 90 deputati
regionali altrettanto forti».
Eppure, numericamente, anche Crocetta dispone di una maggioranza chiara per governare. Cosa c'è che non funziona, allora?
«Parliamo
di maggioranze passeggere che si formano all'Ars. Gli ultimi anni ci
raccontano di continui cambi di maggioranza, divenuti quasi strutturali
nella storia dell'Assemblea regionale siciliana. C'è il caso di
Lombardo, esemplare nell'ultimo quinquennio, ma non soltanto quello. Le
vicende a cui mi riferisco sono il frutto di un quadro ormai spappolato
dei partiti. Il nostro è diventato un sistema apparentemente
presidenziale, ma sempre più condizionato dalla possibilità di
maggioranze variabili con il rischio di trasformismi e di domande
politiche per supportare interessi limitati e non generali. Il nostro
problema è proprio quello di avere un presidente della Regione forte:
per questo dovremmo mettere mano a una rivisitazione forte dello
Statuto».
Anche a costo di perdere pezzi, quantitativi e qualitativi, di Autonomia?
«La
Regione Siciliana ha, su un piano formale delle enormi prerogative e
tante competenze. Ma su quello sostanziale, ripeto, prevale una
governabilità debole, influenzata da lobby e da singoli esponenti
politici. Ma questo avviene anche in tante altre Regioni. Basta
guardare, dopo la revisione del Titolo V della Costituzione nel 2001, il
pessimo uso che anche le Regioni ordinarie hanno fatto delle nuove
competenze. La soluzione per la Sicilia potrebbe essere una governance
forte a livello centrale. E siccome noi non siamo stati in grado, e non è
un fatto soltanto recente, di usare al meglio le nostre prerogative
autonomistiche, è evidente che un dibattito vada aperto».
E qual è il suo contributo iniziale a questo dibattito?
«La
proposta: consentire a un presidente e a una maggioranza di governare
per cinque anni senza vincoli, condizionamenti o trabocchetti. Non
guarderei alla sostanza delle competenze, ma al meccanismo di
governance: il bilanciamento totalmente paritario fra presidente e Ars è
il vero problema della Sicilia, ancor più dell'Autonomia speciale».
Galli della Loggia esprime anche un giudizio sul governo Crocetta, definendolo «irrilevante e immobilista».
«Mi
sembra un giudizio duro. Un giudizio espresso da chi ci guarda da
lontano, con tutto il rispetto per Galli Della Loggia, che leggo sempre
con enorme piacere. Sia chiaro: io non sto qui a difendere nessuno,
faccio un altro mestiere. Ma quello di Galli Della Loggia prescinde
dalla situazione che Crocetta ha trovato in Sicilia, che poco prima
delle dimissioni di Lombardo, nel luglio del 2012, era sull'orlo del
default, come io stesso denunciai in un'intervista al "Corriere della
Sera", e come poi è emerso anche dall'intervento del governo Monti».
È possibile attendersi un salto di qualità nel 2014 da questo governo regionale?
«Il
Paese l'anno prossimo uscirà dalla recessione che ci portiamo dietro
dal 2008, mentre in Sicilia il 2014 sarà l'ennesimo anno di Pil
negativo. E quindi continuo a ritenere che il tema centrale sia far
ripartire l'economia, mettendo in moto il mondo produttivo, creando
occupazione e rafforzando le risorse fiscali per la Regione, che è un
altro fortissimo incentivo all'investimento sulla crescita. Crocetta ha
fatto emergere le tante patologie della nostra regione, oggi bisogna
mettere in campo tutti gli strumenti per una crescita economica,
attrarre nuovi investimenti, intervenire ulteriormente sulla burocrazia
che è ancora un freno notevole alla crescita. Ma tutto questo non
dipende solo da Crocetta, ma anche dall'Ars che deve condividere col
presidente un progetto strategico di crescita. Il cuore della vicenda è
sempre lo stesso: la governance complessiva. È troppo facile dire:
"Crocetta cambi la Sicilia". Il problema è che sono Crocetta e l'Ars a
dover cambiare la Sicilia».
Ma è lecito aspettarsi un nuovo "balance"
sull'obiettivo di «non fare macelleria sociale», come dice Crocetta
riferendosi a precari e forestali, per spostare attenzione e risorse sullo sviluppo puro?
«Nessuno
di noi pensa che i precari debbano andare a casa, molto spesso si
tratta di persone che sono lì da anni in una situazione di precarietà
esistenziale prima ancora che economico-occupazionale. Sono allo stesso
tempo il frutto e le vittime di errori del passato. Ma dobbiamo mettere
un punto fermo. E poi ripartire con la forza di un progetto strategico e
con la chiarezza degli obiettivi».
twitter: @MarioBarresi
27 Dicembre 2013
Nell'ultimo passaggio il Vicepresidente Nazionale di Confindustria ci tranquillizza un pò.
Ma si riesce veramente a correggere gli errori fatti in passato tutelando i precari e forestali?