19 gennaio 2019

UN GOVERNO CHE GUARDA INDIETRO


Dal sito www.buttanissima.it

"Nel bilancio non c'è neppure l’odore di una riforma", denuncia Antonello Cracolici. E nel Pd? "Nessuna pace"

PAOLO MANDARÀ
Per Antonello Cracolici “diventerà antichissima”. O forse lo è già. La Sicilia teorizzata da Nello Musumeci non esiste. O più semplicemente, per il deputato regionale del Pd, ex assessore all’Agricoltura, non è quella che emerge dalla manovra Finanziaria che in questi giorni, lunghissimi e affollati, impegna le commissioni di merito e, tra poco (sigh!) anche l’Ars. Cracolici va giù duro contro il governo “politicamente debole e senza alcuna visione del futuro”. Ne contesta alcune delle norme che entrano nella Legge di Stabilità, perché “rivelano una Regione pachiderma, la stessa Regione che ha reso i siciliani prigionieri”. Cracolici va alla sostanza delle cose: “Delle riforme tanto annunciate, in questa Finanziaria non ne vedo. L’unica cosa che mi pare evidente è il tentativo di ricostruire la Regione del passato. Ad esempio, si vuole creare un’agenzia del Turismo senza spiegare quali saranno le sue mansioni e come si porrà nei confronti del dipartimento o dell’assessorato al ramo. Oppure ripresentando una norma sugli appalti che un anno fa era già stata impugnata dalla Corte Costituzionale, che aveva ribadito come la Sicilia, e più in generale nessuna Regione, avesse competenza sui sistemi di aggiudicazione”.

L’ha definito un disegno nostalgico del passato…

“E’ in atto un tentativo di ampliare i consigli di amministrazione nelle partecipate. Nel caso di Irca, in deroga alla norma che prevede tre consiglieri per ogni società controllata, ce ne saranno cinque. Mi permetta un inciso: Irca doveva nascere dalla riforma del sistema creditizio e dalla fusione di Ircac e Crias, ma oggi si scopre che non c’è alcuna fusione. Ma un’incorporazione di Crias da parte di Ircac. L’avevo detto in tutte le salse, un anno fa, che in questo modo non avrebbe funzionato. Tutto è frutto di improvvisazione e affidato all’idea estemporanea di qualche assessore. Ci sono norme che contraddicono quanto affermato in precedenza”.

Quali altri passaggi non la convincono?

“L’elenco sarebbe troppo lungo… Prenda il caso del dirigente della Formazione professionale: è stato separato dalla Pubblica istruzione, dando alla stessa Formazione un carattere distinto e distante dal significato di istruzione. E ancora. Vengono annunciati dei concorsi – badi bene, io sono stato fra i primi a sollevare l’esigenza di nuove figure professionali – senza spiegare come riorganizzare la macchina regionale. Sarebbe buona norma disegnare, prima, le funzioni e poi stabilire chi e quanti devono esserne al servizio. C’è un’idea gestionale molto propagandistica e con il respiro corto. Un programma che non è del cambiamento, ma esprime l’idea di una classe dirigente effimera”.

C’è anche la questione del centro direzionale. Tre grattacieli dentro Palermo per un costo vicino al mezzo miliardo di euro.

“E’ un vecchio disegno, un’idea bizzarra che affonda le sue radici negli anni di Cuffaro. Qui non si è ancora capito se si vuole concentrare o decentrare la Regione. Avere un unico luogo dove concentrare migliaia di persone, avrebbe delle ripercussioni in termini di carico urbanistico, concentrazione di utenze… Mi pare un’idea arcaica dell’amministrazione pubblica, che non si mostra vicina ai cittadini ma pensa a se stessa. Non pensa a come riformarsi, ma a come gestirsi”.

Anche il percorso di questa manovra Finanziaria e dei suoi quattro “collegati” è costellato da tantissimi incidenti. Che segnale politico emerge?

“Ci avevano spiegato che si sarebbe fatta una Finanziaria con pochi articoli, e scopriamo che non affronta nessuno dei nodi cruciali. Piuttosto, vengono prodotti quattro allegati, non so più come chiamarli, dove c’è la riproposizione di norme già esistenti. In cui si sommano i desiderata di singoli deputati della maggioranza, che attorno a questa cosa provano a costruire i numeri per reggere in aula… Ciò che prevale è il passato. Perché è il passato quello che conoscono, e col futuro non si vogliono nemmeno cimentare”.

Musumeci ha detto che avrebbe cambiato le cose, che la Sicilia sarebbe diventata bellissima.

“Invece diventerà antichissima. Quando la politica è debole, prevalgono le persone, le aspettative individuali, le miserie dei singoli sostenitori. Ma la colpa non è dei singoli. Bensì della debolezza del progetto politico”.

Per irrobustire l’operato del suo governo Musumeci ha teso la mano al Movimento 5 Stelle. Se chiedesse un aiutino anche a voi del Pd, sareste disposti a pensarci?

“Macché mano… Musumeci da un anno dice che i problemi della Sicilia dipendono da chi l’ha governata negli ultimi vent’anni, senza alcun distinguo. Che lui rappresentava il nuovo che avanza, che avrebbe risolto tutto. E adesso, un anno dopo, che fine ha fatto questo raccontino? Non puoi continuare a sostenere che è colpa di chi c’era prima. Dovresti dire cosa stai facendo. Ma siccome non sai cosa dire, ti inventi la storia del ponte sullo stretto. E’ una sorta di depistaggio di Stato dall’idea del non-fare. Come buttare la palla in tribuna”.

Neanche sul ponte è d’accordo?

“E’ il classico diversivo che si tira fuori quando si è in difficoltà. Come fa Salvini coi migranti. Il ponte è una strada e, come tale, non ha colori politici. Ma prima andrebbe valutata la concretezza dell’opera. Se viene fuori che serve il ponte, io sono per farlo, non mi porrei problemi di contrarietà ideologica. Capisco pure chi lo usa per spostare al Sud, da sempre trascurato, la strategia degli investimenti. Fatta questa dovuta premessa, il modo in cui si affronta la questione dimostra che non c’è interesse a realizzare l’opera, ma a parlarne. Non c’è alcuna reale volontà di arrivare all’obiettivo, ma solo di uscire sui giornali. Mi lasci dire un’altra cosa…”.

Prego.

“Questo è un governo talmente debole che si discute di rimpasti e si usano i direttori generali come pedine nello scacchiere politico. Tutto si muove nella logica di avere un beneficio elettorale in vista delle Europee o delle Amministrative nel proprio comune. E’ un insieme di candidati alle elezioni, o di potenziali candidati, non un governo che vuole affrontare i problemi di questa terra. Ad oggi non ha prodotto nulla”.

Ha colto segni palesi di litigiosità?

“Si sussurra che pezzi di governo non condividano alcuni contenuti della Finanziaria o addirittura non le conoscano… Ho letto il primo “collegato” e mi sono soffermato su una norma dice che il dipartimento delle Attività Produttive subentra nella gestione della liquidazione dei consorzi Asi. Ho fatto un giro di telefonate e molti del dipartimento non sanno di che parliamo. Oltre a non parlare fra di loro, gli assessori non si confrontano nemmeno con la struttura organizzativa che decidono di riformare”.

Ma il Pd, invece, come sta? La foto di sabato scorso a Palermo, tutti insieme come non succedeva da lustri, indica che è arrivato il momento della distensione?

“Io ho partecipato a una manifestazione contro il governo nazionale, perché sono alternativo e antagonista a quel governo e a quella alleanza. Ma da qui a dire che la mia presenza significa che siamo tutti d’accordo sul Pd, non è vero. Anche perché c’è una cosa che ci divide profondamente: una fetta dei miei compagni di viaggio pensa di fare “un partito” contro il governo nazionale, mettendo assieme tutti quelli che sono all’opposizione, magari anche Musumeci. Faraone non lo dice esplicitamente, ma il richiamo a collaborare ci somiglia molto”.

Quindi niente pax?

“Non basta essere contro Atene per stare con Sparta. La proposta politica che ha ispirato la candidatura di Faraone io non la condivido, la considero un grave errore, lo stesso di chi ci ha fatto perdere malamente alle Politiche del 4 marzo. La grande intesa con Berlusconi è stata bocciata dagli elettori. Mettere insieme tutti quelli che non sono con Salvini (e Berlusconi lo è) e Grillo è un atto di ingenuità politica. Inoltre, stiamo parlando del primo caso nella storia di un partito, in cui un segretario viene eletto senza ricevere un voto, nemmeno da se stesso. Si è autoproclamato non si sa bene in nome di quale principio democratico. E’ l’emblema di una storia che va avanti da tempo, dalla rottamazione in poi. In politica si vince facendo politica, non conquistando un titolo sui giornali. Perché il giorno dopo quel titolo è preistoria”.
PAOLO MANDARÀ

Fonte: www.buttanissima.it






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