25/01/2019
Si parla tanto, in queste ore, del pronunciamento della Corte dei Conti che impone alla Regione siciliana di effettuare una manovra (cioè un taglio dalle entrate del Bilancio 2019) di poco più di 2 miliardi di euro. Ma nessuno dice come abbiamo perso queste entrate! L’inghippo delle ex Province, alle quali mancano 350 milioni di euro. La riduzione delle scoperture per i Comuni, da 5 a 4 dodicesimi. Il baratro finanziario piano piano si avvicina
Ieri sera ci siamo impegnati a raccontare come stanno le cose in materia di conti della Regione siciliana, delle ex Province e dei Comuni. Ve lo diciamo subito: non sono belle notizie. Infatti confermiamo quanto abbiamo scritto: e cioè che, a nostro modesto avviso, il sistema pubblico regionale della nostra Isola, nel suo complesso, procede a passo lento verso il baratro. Sarà, come abbiamo scritto ieri sera – e lo ribadiamo – uno stillicidio. E a pagare saranno gli ignari cittadini siciliani.
Un anticipo di quello che succederà in Sicilia si registra a Catania, dove la raccolta dei rifiuti è un mezzo delirio e dove l’amministrazione comunale h disposto l’aumento della TARI, sembrerebbe del 10%.
Adesso cominciamo con le notizie. La prima, vera notizia che, in verità, anche noi abbiamo sottovalutato, è che la Regione siciliana non in casserà un miliardo e 600 milioni di euro dall’Unione europea e oltre 400 milioni di euro dallo Stato.
I poco più di 2 miliardi di euro che la Corte dei Conti, già dal novembre dello scorso anno, invita la Regione a togliere dal Bilancio 2019 non sono altro che residui attivi: ovvero somme che la Regione fino ad oggi ha considerato fra le entrate e che, invece, sono entrate fittizie che non si materializzeranno mai. Di fatto, è un ‘buco’ di oltre 2 miliardi di euro che va coperto.
Di questi poco più di 2 miliardi, a giudicare dalle ‘carte’, un miliardo e 600 di euro sono fondi europei: e poiché i fondi europei funzionano a rimborso – la Regione anticipa le somme, le spende e poi Bruxelles, dopo la rendicontazione, restituisce i fondi spesi dalle Regioni – se ne deve dedurre che la Regione siciliana ha rendicontato un miliardo e 600 milioni di euro che, secondo l’Unione europea, sono stati spesi non ottemperando alle prescrizioni comunitarie.
Quella che abbiamo descritto potrebbe essere la prima interpretazione. Ce ne potrebbe essere una seconda: la Regione non ha utilizzato queste somme, ma le ha messe comunque fra le entrate (noi propendiamo per la prima interpretazione, perché nel secondo caso l’amministrazione regionale non avrebbe avuto motivo di inserire queste somme fra le proprie entrate).
Discorso un po’ diverso per gli oltre 400 milioni di euro di fondi nazionali: questi non funzionano a rimborso: è lo Stato che, per motivi che non conosciamo, ha deciso di non riconoscere questi fondi alla Regione siciliana.
A nostro modesto avviso, il Governo Musumeci e l’Assemblea regionale siciliana dovrebbero fare luce su questi oltre 2 miliardi di residui attivi. Tra l’altro, si tratta di fatti che riguardano il Governo o i Governi precedenti: un motivo in più per spiegare ai siciliani i particolari di questa storia.
Fatta chiarezza (o quasi, perché non conosciamo né la genesi di questi residui attivi, né le responsabilità per la perdita di questi fondi pubblici) su tale vicenda, proviamo a illustrare che cosa sta succedendo e perché – sempre a nostro modesto avviso – la situazione è molto più complicata di quanto sembri.
Radio tam tam ci ha sussurrato che l’attuale Governo non solo non avrebbe ‘digerito’ gli oltre 2 miliardi di euro di residui attivi, ma avrebbe chiamato in causa un po’ tutti i protagonisti delle passate gestioni, compreso chi ha controllato i conti. Un altro motivo in più, per l’attuale Governo regionale, per fare chiarezza su questa storia.
Come ripetiamo dallo scorso novembre, l’attuale Governo (e, in particolare, il vice presidente della Regione e assessore all’Economia, Gaetano Armao) ha, come dire?, un cattivo rapporto con i 2 miliardi e oltre di ‘buco’ segnalati dalla Corte dei Conti. Il Governo, già a novembre dello scorso anno, si rifiutava di accettare il conteggio elaborato dai magistrati contabili.
Secondo Armao, la Regione dovrebbe eliminare dal Bilancio 2019 solo 530 milioni di euro e non oltre 2 miliardi di euro. Tesi che l’assessore Armao ha portato avanti fino a pochi giorni fa.
Da quello che si sa, le motivazioni del pronunciamento della Corte dei Conti – che ribadisce che la manovra 2019 dovrà essere di poco più di 2 miliardi e non di 530 milioni di euro – sono state rese note pochi giorni fa.
A questo punto ci poniamo e poniamo una domanda: cosa sarebbe successo se, lo scorso dicembre, l’Assemblea regionale siciliana avesse approvato la manovra economica e finanziaria 2019 togliendo solo 530 milioni di euro? Il caos e, forse, lo scioglimento anticipato del Parlamento dell’Isola.
Ne dobbiamo dedurre che il tanto vituperato esercizio provvisorio ha salvato capre e cavoli…
Ora però c’è un problema. La legge nazionale consente alla Regione siciliana di ‘spalmare’ in trent’anni un miliardo e 600 milioni di euro. Restano fuori circa 540 milioni di euro che potrebbero essere divisi tra quest’anno e il prossimo anno: ma così facendo per la Regione la situazione diventerebbe critica quest’anno e il prossimo anno. E allora?
L’unica cosa da fare dovrebbe essere quella di recarsi a Roma e chiedere di poter ‘spalmare’ in trent’anni anche questi 540 milioni di euro: il Governo nazionale non dovrebbe opporsi.
Fine dei problemi? No. Sempre a nostro modesto avviso, l’Assestamento di Bilancio 2018 – legge approvata dall’Ars alla fine dello scorso anno – potrebbe presentare problemi. Perché? Perché è stato concepito per effettuare una manovra 2019 di 530 milioni di euro e non di oltre 2 miliardi di euro…
Sempre a nostro modesto avviso, nella prossima primavera, in sede ‘parifica’ del Bilancio consuntivo 2018 – il primo del Governo Musumeci – non escludiamo ‘sorprese’.
Andiamo alle ex Province siciliane ridotte in bolletta dai tagli della Regione e, soprattutto, dagli scippi finanziari nazionali. Nelle scorse settimane i parlamentari nazionali del Movimento 5 Stelle eletti in Sicilia hanno annunciato di aver preso di petto la questione (NE ABBIAMO PARLATO IN QUESTO ARTICOLO).
Ma il vice presidente dell’ANCI Sicilia, Paolo Amenta – che si occupa proprio delle questioni finanziarie – ci ha detto che a Roma non hanno risolto alcunché:
“Quando si parla di numeri – ci dice Amenta – dobbiamo far parlare i numeri. Alle nove ex Province siciliane servono poco più di 500 milioni di euro all’anno per svolgere i servizi pubblici previsti dalla legge: manutenzione delle strade provinciali, manutenzione degli edifici scolastici, trasporto degli alunni disabili nelle scuole e via continuando. La Regione ha assegnato 111 milioni di euro. Roma è disposta a metterci 70 milioni di euro. All’appello mancano ancora circa 350 milioni di euro circa”.
Per quello che sappiamo i grillini si erano impegnati su questo fronte lo scorso dicembre:
“II Governo riconoscerà alla Regione un trasferimento di 540 milioni di euro da destinare ai liberi consorzi e città metropolitane per le spese di manutenzione straordinaria di strade e scuole da erogare nei prossimi sei anni”.
La confusione è tanta. Apprendiamo, infatti, che il Viminale, in queste ore, ha sbloccato 20 milioni di euro per la messa in sicurezza di strade, scuole e altri edifici comunali. Su questo punto interviene il Ministro degli Interni, il leghista Matteo Salvini:
“Per le amministrazioni locali della Sicilia, credo sia davvero una bella occasione. Voglio inaugurare un nuovo corso di sempre maggior coordinamento e dialogo tra il ministero dell’Interno e gli enti locali”.
Dopo di che il Governo nazionale dovrebbe fare chiarezza: chi è che deve occuparsi della manutenzione delle strade provinciali e degli edifici scolastici? Le ex Province, come prevede la legge? O i Comuni, come dice il Ministro Salvini? Va da sé che, così facendo, il Governo nazionale crea solo confusione.
Insomma, le ex Province siciliane sono in alto mare. “Anche perché – aggiunge Amenta – la storia del prelievo forzoso dello Stato di circa 240 milioni di euro all’anno a carico delle ex Province siciliane non è ancora stata chiarita, nel senso che Roma continua a tenersi questi fondi”.
Facciamo notare che la questione sembrava risolta. “Ma quale risolta e risolta – aggiunge il vice presidente dell’ANCI -. A creare problemi enormi è stata la legge regionale che ha trasformato le Province siciliane nelle Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina e nei Consorzi di Comuni di Agrigento, Trapani, Ragusa, Siracusa, Enna e Caltanissetta. Lo Stato riconosce le Province fino a Reggio Calabria: quelle siciliane, per Roma, non sono più Province e non eroga i fondi come invece avviene nelle altre Province italiane”.
Che dire? Che “noi c’eravamo” quando l’allora presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, nella trasmissione L’Arena di Massimo Giletti si vantava di aver abolito le Province siciliane! I risultati di questa grande ‘intuizione’ politica costano oltre 200 milioni di euro all’anno: questa è la somma che Roma non eroga più alle ex Province siciliane da quando è in vigore questa legge regionale ‘intelligente’ che gli ha cambiato nome!
E i Comuni? Per grandi linee, la situazione la ripetiamo spesso: non “crisi di liquidità”, della serie i soldi per ora non ci sono ma arriveranno: ai Comuni dell’Isola, per dirla brutalmente, mancano i piccioli, se è vero che, in pochi anni – anni del ‘glorioso’ centrosinistra alla guida della Regione siciliana – il Fondo regionale per le Autonomia locali è passato da quasi un miliardo di euro all’anno a 340 milioni di euro all’anno (erogati con grande ritardo).
E siccome ‘sti pochi soldi arrivano in ritardo, siccome nonostante l’aumento impressionante di imposte e tasse comunali, siccome nonostante i balzelli inventati dai sindaci (ZTL e autovelox in testa), siccome nonostante la Tassa di soggiorno appioppata ai turisti, insomma, nonostante questo ed altro, quasi tutti i Comuni della nostra sempre più sbrindellata Isola, ogni anno, si indebitano con le banche.
Da quest’anno è arrivata la sorpresa, come ci spiega sempre Amenta: con le cosiddette scoperture di tesoreria i Comuni si possono indebitare per una somma che è parametrata ai primi tre titoli dei bilanci comunali. La notizia è che, per quest’anno, la possibilità d’indebitamento passa da 5 dodicesimi sui primi tre titoli dei bilanci comunali a 4 dodicesimi.
“Questo passaggio – ci dice Amenta – ha determinato il blocco delle riaperture delle scoperture e la riduzione, in automatico, delle stesse scoperture”.
Fuori dai tecnicismi, con queste riduzioni, disposte dal Governo nazionale per evitare un eccessivo indebitamento dei Comuni con le banche, per il Sud sono guai seri: perché tanti Comuni del Sud, che sono i più poveri d’Italia e, spesso, sono indebitati, questo è un problema: da una parte, infatti, c’è lo Stato che taglia, la Regione che ritarda nell’erogazione dei fondi e, dall’altra parte, i Comuni che debbono ridurre le scoperture:
“Il risultato – conclude Amenta – è che se non si trova una soluzione molti Comuni siciliani avranno serie difficoltà a pagare gli stipendi ai dipendenti”.
Vi è chiaro perché – mettendo assieme Regione, ex Province e Comuni – noi non possiamo non vedere lo stillicidio e, in prospettiva, il baratro finanziario?
Fonte: www.inuovivespri.it
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