Nel programma di Giletti si presentano Figuccia, Sgarbi e Crocetta. E l'Isola, che ha le sue colpe, ne esce, come sempre, malissimo.
PALERMO- Chiusa la discussione, si resta un po' sorpresi. Nello scoprire che nel rumoroso suk degli stereotipi, il più lucido è Vittorio Sgarbi, provocatore-urlatore per diletto. È lui, in fondo, a suggellare l'ennesima trasmissione sugli sprechi della Sicilia, sollevando gli occhiali sulla fronte e leggendo gli sms inviati all'assessore ai Beni culturali dalla dirigente generale Volpes e dal capo di gabinetto Gelardi: “Dicono tutte minchiate!” il contenuto del messaggino.
E non hanno torto davvero, quei dirigenti che in tre parole tratteggiano i confini dello spazio dedicato alla Sicilia nel corso della trasmissione su La 7 di Massimo Giletti. “Tutte minchiate”. E in effetti, se ne sono sentite parecchie. Impastate con un po' di ironie, una tonnellata di populismo, urla a sfondare lo schermo. E a nascondere, magari, confondere, gli scandali veri.
Perché ovviamente il punto non è se quegli stipendi sono buoni o cattivi. Giusti o sbagliati. E a dire il vero, se quello è uno scandalo, non è certamente l'unico. E tanti altri pesano assai di più sul bilancio della Regione. Tanti altri colpiscono al cuore quel principio di "equità" che è ridicolizzato da certi compensi d'oro, all'Ars come altrove, insieme a consulenze selvagge, favoritismi di ogni tipo, affari e affarucci tra i potenti. Il punto, insomma, non è il "cosa", ma il come. Alla fine della trasmissione, infatti, il sapore è quello lì: la Sicilia fa schifo, ma non si è ben capito perché.
È andato lì Vincenzo Figuccia, preso ad esempio dal conduttore per la sua scelta di dimettersi dalla giunta di Musumeci a causa, sembra emergere dalla trasmissione, della decisione – poi, pare, rientrata – di Gianfranco Micciché di togliere i tetti agli stipendi dell'Ars. Una teoria così inverosimile da consentire persino a un redivivo Rosario Crocetta di chiedere a Figuccia: “Che vuol dire? Si è dimesso dal governo per la scelta del presidente dell'Ars?”.
Già, quello sarebbe già un passo avanti, nel corso di questa cena dei luoghi comuni. Ed è un – ancora – lucido Sgarbi a spiegare che “una cosa è il governo, altra cosa è l'Assemblea regionale siciliana”. Ma figuriamoci. Da un orecchio entra, dall'altro esce. E così, per aggirare la confusione, vai con le ironie: “Scusate – chiede una giornalista – che calendario avete in Sicilia?”. E giù risate e applausi, dopo quella battuta che sottolinea l'esistenza di 16 mensilità negli stipendi dei dipendenti dell'Ars.
Stipendi che, diciamolo subito e lo diciamo da un po', sono sproporzionati, anacronistici, in qualche caso persino offensivi. Ma sono ancora frutto di un legame col Senato che è rimasto intatto per il personale dell'Assemblea. Nessuno, però, a scandalizzarsi per gli stipendi di Palazzo Madama. Che un commesso a Roma, insomma, è tutta un'altra cosa rispetto a un commesso siculo.
E invece, ecco che la Sicilia salta fuori come “il laboratorio di tutto ciò che è il peggio”, insiste la giornalista. Che avrebbe anche ragione, forse, se magari si riuscisse un attimo a scendere nel dettaglio. Ma i dettagli non sono ammessi: “Tutti gli amministratori hanno fatto male in questi anni”, sentenzia la stessa, non lasciando spazio (spazio che, tra l'altro, nel frattempo è comunque riempito dalle urla) a qualche distinguo, magari. Macché. Tutto aiuta a non dividere responsabili, irresponsabili e innocenti. Come una salsa troppo piccante che nasconde il vero sapore del piatto.
Era il teatrino della solita, povera Sicilia. Che davvero povera è, con i suoi precari e con i suoi “sussidiati”. Che sono vittime, certamente. Ma anche, in qualche caso, colpevoli di essersi affidati ottenendone vantaggi a discapito del merito e delle giovani generazioni, a quella politica che oggi rinnegano. Oggi, che i rubinetti non erogano più come una volta.
Eccoli, però, quei precari, quei poveri, buttati dentro il cenone chiassoso di stasera. Lì, dove nel piatto dei luoghi comuni, inzuppano tutti un pezzo di pane. Tutti apparentemente disinteressati. Che fare “l'uomo del popolo”, in realtà, qualche vantaggio l'ha sempre portato. “Oggi in Sicilia c'è gente che prende 800 euro in nero, anche dentro la pubblica amministrazione – la denuncia di Figuccia – una Regione con troppi precari. Non posso accettare queste differenze”, lamenta. Per poi insistere: “Mi vergogno. All'Ars Miccichè sta riportando tanti esterni che facevano parte di un passato che sembrava dimenticato. Oggi rientrano dalla finestra. È il caso dell'ex segretario generale Patrizia Monterosso, nominata alla Fondazione Federico II”. E anche lì, ecco un'altra dose di inesattezze, su cui è meglio, in fondo, glissare, in riferimento sia all'ammontare che ai motivi della condanna della burocrate siciliana. Tant'è, poco importa. Con Giletti che mette tutto insieme con un “voi siciliani”, e con un “qualcuno spiegherà agli italiani queste cifre?” pronunciato con viso corrucciato.
Nella pessima serata dedicata alla Sicilia, ovviamente, c'è spazio per un botta e risposta di alto livello tra Daniela Santanchè e Rosario Crocetta: “Tu dici cazzate!”, “No, le cazzate le dici tu”. Fino all'intervento del più lucido di tutti, in fondo. Vittorio Sgarbi che alla fine, cede pure lui: “Il mio stipendio da assessore? È molto basso”. E già che c'è, tra uno schiamazzo e l'altro, trova il tempo di rivolgere un pensiero a Klaus Davi, seduto dietro di lui: “Ma vaffanculo!”. Povera Sicilia.
07 Gennaio 2018
Fonte: livesicilia.it
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