09 Ottobre 2017
L’indennità di disoccupazione non spetta solo nei casi di dimissione e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.Il datore di lavoro ti ha proposto un licenziamento dietro pagamento di un incentivo all’uscita e alcuni benefici. Anche se non hai ancora maturato l’età per la pensione, la proposta ti sembra allettante da un punto di vista economico: non solo perché il vecchio lavoro inizia a starti un po’ stretto e hai bisogno di nuove esperienze, ma anche perché, nel frattempo potresti usufruire dell’indennità di disoccupazione, ossia la Naspi. Ma proprio su questo punto ti sorge un dubbio: chi firma il licenziamento ha diritto alla disoccupazione? Hai saputo infatti che l’assegno viene pagato dall’Inps solo a chi viene licenziato e non anche a chi, volontariamente, rinuncia al posto di lavoro. La risposta a questa domanda condiziona necessariamente la tua scelta e può costituire il vero ago della bilancia tra l’accettazione o meno. Cerchiamo dunque di fare chiarimenti sul punto e capire se, una volta accettato il licenziamento, si può ottenere ugualmente la Naspi.
L’indennità di disoccupazione viene riconosciuta solo nei casi di «stato di disoccupazione involontario». Questa espressione potrebbe generare qualche equivoco. Essa sta a significare che solo chi si dimette volontariamente non può percepire l’assegno dell’Inps. Al contrario, chi viene licenziato, a prescindere dalle ragioni dalle quali scaturisce il provvedimento del datore di lavoro, riceve il trattamento economico. Quindi, sia chi viene licenziato per crisi aziendale o per cessazione dell’attività, sia chi viene licenziato per propria colpa (cosiddetto licenziamento disciplinare per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo) ha diritto alla Naspi. Può sembrare un paradosso, ma ad esempio, se un dipendente tira un pugno in faccia al proprio datore di lavoro, provocando consapevolmente e volontariamente un procedimento disciplinare nei propri confronti e subendo il conseguente licenziamento, ha diritto all’indennità di disoccupazione. Secondo infatti i chiarimenti dell’Inps [1], la Naspi spetta anche nel caso di licenziamento disciplinare intimato per colpa o dolo del dipendente.
Al contrario chi si dimette non può ottenere l’indennità di disoccupazione, salvo che la dimissione sia avvenuta per giusta causa. Le dimissioni per giusta causa sono quelle che vengono date per mancato pagamento dello stipendio (si deve trattare di almeno due mensilità), per mobbing, per abusi o maltrattamenti, per molestie sessuali, per variazioni delle mansioni, per trasferimento immotivato, ecc.
Comunemente, invece di dire «mi dimetto» si dice «mi licenzio». È un errore: il licenziamento è l’atto che proviene sempre e solo dal datore di lavoro; le dimissioni invece sono una manifestazione di volontà del dipendente, anche se obbligata dalle circostanze, come nel caso delle suddette dimissioni per giusta causa.
Quando il datore di lavoro propone il licenziamento al dipendente è questi lo accetta (accettazione che deve avvenire davanti al sindacato o all’Ispettorato del lavoro), il dipendente ha diritto a percepire l’indennità di disoccupazione proprio perché la scelta è formalmente dell’azienda, anche se ad essa aderisce il dipendente e questi dichiara di non volerla contestare o impugnare.
Anche l’Inps stesso ha confermato che chi firma il licenziamento ha diritto alla disoccupazione. In particolare, in una circolare [1], viene chiarito che la Naspi spetta anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta davanti ai sindacati, oppure avvenuta in ragione del rifiuto di trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, purché distante oltre 50 km dalla residenza o raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblici.
note
[1] Inps circolare n. 142/2015.
Fonte: www.laleggepertutti.it
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