15 Luglio 2017
Il più gigantesco abuso di Stato in materia di contratti a termine nel pubblico impiego discusso in Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il fenomeno del precariato pubblico siciliano che dura da quasi trent’anni è finalmente arrivato all’attenzione della Corte di giustizia.
Ad essere messa in discussione è tutta la legislazione
siciliana in materia di precariato degli Enti Locali ed Istituzionali
della Regione, a partire dall’art. 22 della Legge
Regionale 21 settembre 1990 n. 36,
di recepimento dell’art. 23 della Legge
11 marzo 1988 n. 67,
fino ad arrivare all’art.
77, comma 2, della Legge Regionale 28 dicembre 2004 n. 17, di
disapplicazione ai contratti a termine della normativa europea.
Appare quindi evidente l’assurdità giuridica della legislazione siciliana, non riconosciuta dalla parte maggioritaria della magistratura del lavoro siciliana, di sottrarsi alla normativa comunitaria, in palese violazione degli artt. 11 e 117 della Costituzione, che ha lasciato i dipendenti precari siciliani abusati dalla reiterazione dei rapporti di lavoro subordinati a termine privi di tutela effettiva contro gli abusi stessi. Infatti, ai contratti a termine che coinvolgono quasi 22 mila dipendenti pubblici siciliani, in virtù di tali disposizioni legislative regionali difformi alla legislazione comunitaria e nazionale vigenti in materia di cantratti a tempo determinato nel pubblico impiego, non solo non viene riconosciuta la costituzione a tempo indeterminato dei contratti a termine che hanno superato i 36 mesi, ma neanche il risarcimento del danno di cui all’art 32 della Legge 12 novembre 2010 n. 183, stabilito dalla Corte di cassazione a SS. UU con sentenza 15 marzo 2016 n. 5072. Sentenza tralaltro messa in discussione davanti alla Cgue, per quanto riguarda la priporzionalità e l’effettività e l’energicità della sanzione in conseguenza dell’abuso subito dal lavoratore a termine
Appare quindi evidente l’assurdità giuridica della legislazione siciliana, non riconosciuta dalla parte maggioritaria della magistratura del lavoro siciliana, di sottrarsi alla normativa comunitaria, in palese violazione degli artt. 11 e 117 della Costituzione, che ha lasciato i dipendenti precari siciliani abusati dalla reiterazione dei rapporti di lavoro subordinati a termine privi di tutela effettiva contro gli abusi stessi. Infatti, ai contratti a termine che coinvolgono quasi 22 mila dipendenti pubblici siciliani, in virtù di tali disposizioni legislative regionali difformi alla legislazione comunitaria e nazionale vigenti in materia di cantratti a tempo determinato nel pubblico impiego, non solo non viene riconosciuta la costituzione a tempo indeterminato dei contratti a termine che hanno superato i 36 mesi, ma neanche il risarcimento del danno di cui all’art 32 della Legge 12 novembre 2010 n. 183, stabilito dalla Corte di cassazione a SS. UU con sentenza 15 marzo 2016 n. 5072. Sentenza tralaltro messa in discussione davanti alla Cgue, per quanto riguarda la priporzionalità e l’effettività e l’energicità della sanzione in conseguenza dell’abuso subito dal lavoratore a termine
E’ stata discussa il 13 luglio 2017 in Corte di Giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo la questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trapani alla quale hanno partecipato i legali del dipendente Santoro, Sergio Galleano, Ersilia De Nisco e Vincenzo De Michele, cui si è affiancato l’avv. Michele De Luca, già Presidente della sezione lavoro della Cassazione italiana.-
La questione discussa a Lussemburgo riguarda un aspetto solo apparentemente secondario della più generale situazione del precariato siciliano, ovvero la quantificazione del danno a seguito dell’utilizzo abusivo dei contratti a termine, ove il giudice non ritenga possibile la costituzione a tempo indeterminato del rapporto e che la Corte di Cassazione italiana limita a poche mensilità (da 2,5 a 12) anche nel caso si situazione di precariato che durano da decine di anni, come nel caso dei dipendenti precari siciliani.
La domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra la sig.ra Santoro e il suo datore di lavoro, cioè l'Amministrazione del Comune di Valderice (TP), con riferimento al suo rapporto di lavoro svoltosi dapprima come lavoratore socialmente utile (dal 1996), poi co.co.co (dal 2005) e, infine, con più contratti a tempo determinato successivi con scadenza il 31 dicembre 2016.
Il Tribunale di Trapani osserva che, ferma l’illegittimità di una prassi abusiva di successione di contratti di lavoro a tempo determinato oltre trentasei mesi nel settore pubblico (si veda, ad esempio, la sentenza Mascolo C. 22/13 sui precari della scuola), la Corte di cassazione esclude la conversione del rapporto e si limita a liquidare un risarcimento in termini monetari. E, infatti, una recente pronuncia resa dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite (sentenza 15 marzo 2016 n. 5072), onde rendere (a suo dire) equo il trattamento del lavoratore pubblico rispetto a quello del lavoratore privato in una situazione analoga (cioè, come detto, abuso della contrattazione a tempo determinato per un periodo di oltre tre anni), ha stabilito che il risarcimento al lavoratore del settore pubblico è composto da due parti:
a. un'indennità forfetaria attribuita senza che il lavoratore sia chiamato a fornire alcuna prova, da quantificare fra un minimo di 2,5 mensilità e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione (identico trattamento per le due categorie di lavoratori);
b. un risarcimento per la perdita di chances favorevoli, previo assolvimento di un pesante onere probatorio a carico del lavoratore: costui deve dimostrare che, se l'Amministrazione avesse regolarmente indetto un concorso, egli sarebbe risultato vincitore o, comunque, che talune possibilità di impiego alternative sono sfumate a causa del rapporto a termine instaurato con l'Amministrazione. Questa voce risarcitoria serve a “compensare” l’impossibilità di stabilizzare un contratto di lavoro a termine nel settore pubblico.
Ebbene, in relazione a quest’ultima voce, il Tribunale di Trapani osserva che al lavoratore si impone l’onere di fornire una “prova diabolica”, perché è addirittura giuridicamente impossibile che si riesca a provare (sia pure con l'ausilio di presunzioni) l'ipotetica vittoria di un eventuale concorso pubblico … mai bandito! Il risarcimento della perdita di chances, ossia uno dei due pilastri sui quali poggia la tutela approntata dalla Corte di cassazione, è quindi solo apparente e l'unica forma di tutela effettiva è rappresentata dall'indennità forfettaria che varia da 2,5 a 12 mensilità, che da sola non elimina l’esistenza di una vera e propria discriminazione tra lavoratori pubblici e lavoratori privati.
Così impostato il problema, il Tribunale di Trapani, nel caso specifico che coinvolge il precariato pubblico siciliano che ha una durata quasi trentennale, chiede alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale:
1. se sia una misura equivalente ed effettiva l'attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione al dipendente pubblico, vittima di un'abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l'integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto;
2. se il principio di equivalenza vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto di lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato
Nel corso dell’udienza, la Commissione europea ha osservato che tale trattamento è del tutto contrario al principio di proporzionalità e di equivalenza del diritto europeo, ritenendo più adeguata, ad esempio, la liquidazione dell’indennità spettante al lavoratore privato licenziato (24 mensilità) alla quale andrebbe aggiunta l’indennità forfetaria da 2,5 a 12 mensilità ( il totale liquidato al lavoratore abusato sarebbe di 36 mensilità).
La questione che è stata discussa in Corte non è di poco conto. I legali del dipendente Santoro, avevano infatti chiesto al giudice la costituzione a tempo indeterminato dopo 36 mesi, come dispone la Direttiva n. 70/1999/CE, del rapporto di lavoro precario. Gli avvocati, inoltre, hanno osservato che anche la misura dell’indennità suggerita dalla Commissione europea porterebbe a dover risarcire tutti precari siciliani che ne facciano richiesta con le azioni giurisdizionali, per somme che potrebbero arrivare fino a 50-60.000,00 euro, così rendendo inevitabile per la Regione Siciliana e lo Stato italiano una stabilizzazione che eviti esborsi economici insostenibili per il bilancio pubblico della Regione e dello Stato.
Adesso dopo le conclusioni dell’Avvocato generale la sentenza della Corte è attesa entro l’anno o al massimo all’inizio del 2018.
Infine, vorrei sottolineare che ad oggi la via del contenzioso di massa mi sembra la più concreta, visto che l’azione legislativa portata avanti dal Governo regionale e dal Legislatore siciliano è ferma al palo e neanche le azioni di rivendicazione sindacale dopo quasi 30 anni di lavoro nella Pa mi sembrano voler affrontare concretamente il fenomeno del precariato pubblico siciliano. A mio avviso una tutela effettiva contro il più gigantesco abuso di Stato mai realizzato in una Pa che dura da quasi trent’anni, sarebbe ora di adottarla in massa.
Dott.
Gaetano Aiello
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