Il business dei roghi dolosi nelle zone boschive esiste da decenni. Edilizia speculativa, i fondi per il rimboschimento e le opere forestali. Ogni anno dopo le fiamme sul Vesuvio si annunciano provvedimenti. Ma tutto torna come prima.
No, non sono incendi naturali. Il fuoco nei boschi non attecchisce tanto facilmente. Quando può, la natura si protegge. E ci vuole caldo, tanto caldo, per innescare quella reazione a catena capace di determinare un rogo naturale.
No, quelli sul Vesuvio non sono incendi dovuti al caldo. Sono roghi dolosi. Qualcuno ha scelto le zone, ha preparato gli inneschi e ha deciso la linea, il percorso, il fronte delle fiamme in più punti, in modo da mandare in tilt il carente sistema di prevenzione degli incendi in Campania.
Un tempo i professionisti delle fiamme, quelli che erroneamente chiamiamo piromani facendo passare per ossessione psichiatrica un volontario e lucido intento di distruggere, nato da interessi economici, usavano i gatti. Un gatto cosparso di benzina, incendiato che corre su un percorso di foglie secche innaffiato a materiale incendiario. Ora le cose son diverse. Ora si usano inneschi chimici lenti, che piano piano sviluppano il loro potenziale ed esplodono uno dopo l'altro, come un percorso della morte.
Perché? Già, perché deliberatamente decidere d'uccidere un bosco, un'area verde, la natura? Nell'ultimo caso, quello degli incendi sul Vesuvio, sarà la Procura di Torre Annunziata, che indaga per incendio doloso contro – ovviamente – ignoti -a dover individuare le responsabilità. Sono stati già individuati 8 inneschi. I vigili del fuoco non hanno ancora relazionato agli investigatori ma dalla città vesuviana annunciano indagini con l'ausilio d'immagini satellitari e del solito drone che riprenderà dall'alto i focolai ancora vivi.
C'è bisogno? C'è bisogno per sapere che questi roghi sono frutto d'una strategia? Correva l'anno 2001, ovvero 16 anni fa, e l'allora Sisde, oggi Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, ovvero i servizi segreti italiani, sosteneva – era il caso della Sicilia – responsabilità degli stagionali, operai precari forestali, assunti per il rimboschimento e l'anti-incendio, in molti, troppi roghi dolosi. È così anche in Campania? Senza buttar la croce addosso a nessuno è così difficile rendersi conto che, in assenza di una tradizione agropastorale che considera il fuoco un mezzo per procurarsi nuovo pascolo, sul Vesuvio il rischio dell'edilizia abusiva, degli scarichi illegali di rifiuti nel Parco Nazionale già violentato per anni da sversamenti d'ogni tipo è altissimo?
Il 2017 si annuncia come l'ennesimo annus horribilis per il Parco del Vesuvio. Ma il 2016 non fu da meno: furono individuati cinque ‘piromani' responsabili di devastazioni a mezzo fuoco. Ma dopo l'indignazione durata 48 ore tutto restò come prima. Soldi stanziati , annuncio di monitoraggi, telecamere, gli onnipresenti (ma solo nella bocca dei politici che annunciano provvedimenti) droni. E per un anno ci si è scordati del problema. Ovviamente fino a oggi.
Fonte: napoli.fanpage.it
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