Sulle responsabilità degli incendi il governatore alza i toni, denuncia "attacchi politici-mafiosi", se la prende con lo Stato e denuncia la "solitudine della Sicilia". Per nascondere la sua.
di EMANUELE LAURIA-27 Luglio 2017
In un solo colpo, Rosario Crocetta ha ricevuto le censure del capo della Protezione civile, del dipartimento dei vigili del fuoco, dei presidenti delle commissioni Ambiente di Camera e Senato. Non era facile, obiettivamente, accumulare una simile sfilza di smentite, senza ricevere allo stesso tempo una sola nota di sostegno da parte di alleati, membri della sua giunta, esponenti del Parlamento regionale.
Eppure il governatore, sulle responsabilità degli incendi, martedì aveva alzato decisamente il tiro, accennando al concetto quasi filosofico della “solitudine della Sicilia” e a un’Isola sotto attacco “politico-mafioso”. Uno show in perfetto stile crocettiano, inscenato mentre alcuni collaboratori dello stesso presidente sussurravano che no, insomma, non è proprio giusto dare tutte le colpe allo Stato se la Sicilia brucia. Anzi, sarebbe forse il caso di attribuirgliene in misura limitata. Perché, ad esempio, Roma c’entra poco con il fatto che il piano di prevenzione della Regione - disboscamento, viali tagliafuoco - non è stato fatto partire in tempo utile. E Roma c’entra poco se l’accordo con i vigili del fuoco per avere pattuglie sparse nell’Isola non c’è più dal 2011. Quanto al punto principale, quello della mancanza di elicotteri, c’è quantomeno - a voler essere comprensivi - una corresponsabilità fra Stato e Regione nella mancata firma della convenzione che sblocca l’uso della flotta.
Ora, in questo scenario, Crocetta alza i toni, fa denunce rumorose e un po’ - diciamolo - la butta in caciara. Pur volendo restare fuori dal merito della questione - che come accennato non esime Palazzo d’Orleans da critiche - è il metodo che si perpetua a lasciare perplessi. È quel ricercare, a margine della notizia e a prescindere dalle cause, la frase ad effetto, la polemica ad ogni costo, il titolo certo: un armamentario dialettico che Crocetta usa con abilità. Lo aveva fatto, di recente, quando è esplosa la vicenda dei disabili, spostando il tiro sui presunti - e mai accertati - morti fra i destinatari dell’assistenza domiciliare. Lo aveva fatto, a più riprese, sui vitalizi dell’Ars, seduto nello studio di Giletti. Lo aveva fatto in un’altra sede istituzionale, la commissione antimafia, giusto un anno fa, quando infastidito aveva risposto alle domande della presidentessa Rosy Bindi e del vice Claudio Fava sul ruolo della Confindustria di Montante (indagato per mafia) come «azionista di maggioranza» del suo governo. «Magari - aveva concluso Crocetta uscendo da Palazzo San Macuto e parlando dei commissari - alcuni di questi personaggi avessero fatto un centesimo della lotta alla mafia che ho fatto io nella mia vita».
E poi il riferimento a misteriosi «pupari» per replicare alle accuse sul ridimensionamento delle autorità portuali, per non parlare dei gravi fatti denunciati a più riprese in Procura: a inizio del 2015, appena insediato Lo Voi, il governatore salì le scale del palazzo di giustizia e fece sapere che stava andando a parlare del «più grande scandalo degli ultimi decenni»: «Qualcuno ballerà la samba», aggiunse. Davanti alla perentoria richiesta di riservatezza giunta dal procuratore Lo Voi, Crocetta un paio d’ore dopo non profferì più parola. E del più grande scandalo non si è saputo da quel momento nulla. Lo stesso dicasi per i ballerini di samba.
Crocetta ha indubbiamente avuto il merito di opporsi a un sistema malato - caratterizzato da sprechi e sacche di corruzione - ma è rimasto ancorato al rituale della denuncia urlata, della rivendicazione di un concetto di legalità da anteporre alle evidenti inefficienze di un apparato di cui ha responsabilità, dell’antimafia come scudo di fronte a qualsiasi appunto. E adesso, a campagna elettorale in corso, il presidente agita pure lo strumento abusato della difesa della Sicilia «lasciata solo dello Stato». Ognuno si fa propaganda come vuole, ma l’audizione in commissione Ambiente al Senato è sembrata un po’ la prosecuzione della conferenza stampa in cui Crocetta ha annunciato la propria ricandidatura. Mancava solo il megafono. Il problema è che le immagini dei boschi devastati, sotto gli occhi di tutti, meritano da un governatore risposte più convincenti e anche una serena autocritica. Altrimenti diventano sì uno spot, per Crocetta. Ma all’incontrario.
Fonte: palermo.repubblica.it
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