08 gennaio 2017

ARS, QUEI VITALIZI DOPO 70 ANNI. PENSIONI AGLI EREDI DI NOVE DEPUTATI IN CARICA NEL 1947. IL BLOG: QUESTE SONO LE VERE PORCHERIE E NON IL LEGGITTIMO AUMENTO DELLE GIORNATE


Sette milioni l'anno per gli assegni di reversibilità, che vanno a mogli e figli di parlamentari famosi e di altri che sono stati a Sala d'Ercole solo tre anni
 

di EMANUELE LAURIA
Quella spesa è una delle voci fisse del bilancio dell’Ars. Perenne, immutabile. Circa diciotto milioni di euro annui che, senza sensibili variazioni, nell’ultimo lustro sono andati via per pagare i vitalizi agli ex deputati e le pensioni di reversibilità a parenti di onorevoli scomparsi. Una somma superiore a quella degli stipendi per i parlamentari in carica. A perpetuarsi è un sistema di favore che premia gli eredi di esponenti politici, a volte semisconosciuti, che hanno militato fra i banchi di Sala d’Ercole persino nell’immediato Dopoguerra. Proprio quest’anno ricorre il settantesimo anniversario della prima seduta dell’Ars: a nove parenti di deputati presenti quel giorno l’amministrazione di Palazzo dei Normanni paga ancora una pensione. Chi sono?
Una pensione da circa tremila euro al mese va alla figlia di Ignazio Adamo, un marsalese eletto per il Blocco del popolo e all’Ars sino al 1955. Anna Maria Cacciola è invece la discendente in linea diretta di Natale Cacciola, che nacque in provincia di Messina prima del terremoto e nel ’47 si candidò per il Partito monarchico: grazie all’esperienza in Parlamento del papà (durata quattro anni in tutto), la signora Cacciola percepisce ancora un vitalizio da oltre duemila euro al mese. E chi si ricorda di Elios Costa, altro esponente trapanese del Blocco del popolo che subito dopo la guerra sbarcò all’Ars grazie a 14mila voti di preferenza? Se ne rammenta di certo la Ragioneria dell’Assemblea, che alla vedova versa ogni mese una pensione da 2.500 euro. Un altro pioniere fra i comunisti all’Ars fu Pietro Di Cara, che rimase in Parlamento dal 1947 al ’55 e in quel periodo fu pure segretario della Camera del Lavoro di Messina: la vedova è tuttora titolare di un assegno di reversibilità. Francesco Lanza di Scalea era invece un esponente del blocco liberale democratico qualunquista: a Sala d’Ercole stette appena tre anni. Un mandato che tuttora vale una pensione da duemila euro per la moglie. Stesso beneficio per la vedova di Michele Semeraro, altro frequentatore della prima legislatura dell’Ars (adesso siamo alla sedicesima) che rappresentava il Blocco del popolo.
Carneadi e nomi noti della politica siciliani si alternano, nell’elenco dei percettori della pensione di reversibilità all’Ars: un assegno va anche alla figlia di Giuseppe Alessi, il primo presidente della Regione siciliana, e alla vedova di Pompeo Colajanni, storica figura di partigiano e antifascista, che in Assemblea è rimasto per sei legislature, ricoprendo anche la carica di vicepresidente. Fra i beneficiari pure la moglie di Giuseppe D’Angelo, esponente della Dc che nel primo governo Alessi fu assessore all’Alimentazione e che all’Ars è rimasto fino al 1967 (ricoprendo anche l’incarico di presidente della Regione).
La lista degli assegni di reversibilità comprende 130 nomi di beneficiari, undici in più di quelli che comparivano due anni fa. Il costo? Ogni mese 590mila euro, circa sette milioni l’anno. Sono invece 180 gli ex onorevoli ancora in vita che sono titolari di vitalizi “diretti”, per una spesa complessiva di quasi 882mila euro al mese, oltre dieci milioni di euro l’anno. Fra questi, anche parlamentari che sono passati dalle parti di Palazzo dei Normanni per poche settimane. È il caso di Salvatore Caltagirone, esponente di Alleanza nazionale che il 12 aprile del 2001 subentrò al collega Pippo Scalia e si fece giusto uno scampolo di legislatura: cinque sedute in tutto prima delle elezioni che ancor oggi gli fruttano un vitalizio da circa tremila euro. Il caso limite è quello di Franco Bisignano, che all’Ars neanche ci mise piede. Si candidò nel 1976 con il Movimento sociale, fu il primo dei non eletti. Bisignano però non si arrese:
iniziò a farsi chiamare “onorevole” (anche se era soltanto sindaco del minuscolo comune di Furnari) e cominciò una guerra a colpi di carta bollata contro Antonino Fede, eletto al suo posto ma non residente in Sicilia. Alla fine, nel 1996, il tribunale gli diede ragione: solo che la legislatura si era conclusa da “appena” 15 anni. Poco male però: a Bisignano vennero concessi comunque la liquidazione e il vitalizio, che dopo la morte è passato alla vedova.

08 Gennaio 2017
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