di EMANUELE LAURIA
Quella spesa è una delle voci fisse del bilancio dell’Ars. Perenne, immutabile. Circa diciotto milioni di euro annui che, senza sensibili variazioni, nell’ultimo lustro sono andati via per pagare i vitalizi agli ex deputati e le pensioni di reversibilità a parenti di onorevoli scomparsi. Una somma superiore a quella degli stipendi per i parlamentari in carica. A perpetuarsi è un sistema di favore che premia gli eredi di esponenti politici, a volte semisconosciuti, che hanno militato fra i banchi di Sala d’Ercole persino nell’immediato Dopoguerra. Proprio quest’anno ricorre il settantesimo anniversario della prima seduta dell’Ars: a nove parenti di deputati presenti quel giorno l’amministrazione di Palazzo dei Normanni paga ancora una pensione. Chi sono?
Una pensione da circa tremila euro al
mese va alla figlia di Ignazio Adamo, un marsalese eletto per il Blocco
del popolo e all’Ars sino al 1955. Anna Maria Cacciola è invece la
discendente in linea diretta di Natale Cacciola, che nacque in provincia
di Messina prima del terremoto e nel ’47 si candidò per il Partito
monarchico: grazie all’esperienza in Parlamento del papà (durata quattro
anni in tutto), la signora Cacciola percepisce ancora un vitalizio da
oltre duemila euro al mese. E chi si ricorda di Elios Costa, altro
esponente trapanese del Blocco del popolo che subito dopo la guerra
sbarcò all’Ars grazie a 14mila voti di preferenza? Se ne rammenta di
certo la Ragioneria dell’Assemblea, che alla vedova versa
ogni mese una pensione da 2.500 euro. Un altro pioniere fra i comunisti
all’Ars fu Pietro Di Cara, che rimase in Parlamento dal 1947 al ’55 e in
quel periodo fu pure segretario della Camera del Lavoro di Messina: la
vedova è tuttora titolare di un assegno di reversibilità. Francesco
Lanza di Scalea era invece un esponente del blocco liberale democratico
qualunquista: a Sala d’Ercole stette appena tre anni. Un mandato che
tuttora vale una pensione da duemila euro per la moglie. Stesso
beneficio per la vedova di Michele Semeraro, altro frequentatore della prima legislatura dell’Ars (adesso siamo alla sedicesima) che rappresentava il Blocco del popolo.
Carneadi e nomi noti della politica
siciliani si alternano, nell’elenco dei percettori della pensione di
reversibilità all’Ars: un assegno va anche alla figlia di Giuseppe
Alessi, il primo presidente della Regione siciliana, e alla vedova di
Pompeo Colajanni, storica figura di partigiano e antifascista, che in
Assemblea è rimasto per sei legislature, ricoprendo anche la carica di
vicepresidente. Fra i beneficiari pure la moglie di Giuseppe
D’Angelo, esponente della Dc che nel primo governo Alessi fu assessore
all’Alimentazione e che all’Ars è rimasto fino al 1967 (ricoprendo anche
l’incarico di presidente della Regione).
La lista degli assegni di reversibilità
comprende 130 nomi di beneficiari, undici in più di quelli che
comparivano due anni fa. Il costo? Ogni mese 590mila euro, circa sette
milioni l’anno. Sono invece 180 gli ex onorevoli ancora in vita che sono
titolari di vitalizi “diretti”, per una spesa complessiva di quasi
882mila euro al mese, oltre dieci milioni di euro l’anno.
Fra questi, anche parlamentari che sono passati dalle parti di Palazzo
dei Normanni per poche settimane. È il caso di Salvatore Caltagirone,
esponente di Alleanza nazionale che il 12 aprile del 2001 subentrò al
collega Pippo Scalia e si fece giusto uno scampolo di legislatura:
cinque sedute in tutto prima delle elezioni che ancor oggi gli fruttano
un vitalizio da circa tremila euro. Il caso limite è quello di Franco
Bisignano, che all’Ars neanche ci mise piede. Si candidò nel 1976 con il
Movimento sociale, fu il primo dei non eletti. Bisignano però non si
arrese:
iniziò a farsi chiamare “onorevole” (anche se era soltanto sindaco del minuscolo comune di Furnari) e cominciò una guerra a colpi di carta bollata contro Antonino Fede, eletto al suo posto ma non residente in Sicilia. Alla fine, nel 1996, il tribunale gli diede ragione: solo che la legislatura si era conclusa da “appena” 15 anni. Poco male però: a Bisignano vennero concessi comunque la liquidazione e il vitalizio, che dopo la morte è passato alla vedova.
iniziò a farsi chiamare “onorevole” (anche se era soltanto sindaco del minuscolo comune di Furnari) e cominciò una guerra a colpi di carta bollata contro Antonino Fede, eletto al suo posto ma non residente in Sicilia. Alla fine, nel 1996, il tribunale gli diede ragione: solo che la legislatura si era conclusa da “appena” 15 anni. Poco male però: a Bisignano vennero concessi comunque la liquidazione e il vitalizio, che dopo la morte è passato alla vedova.
08 Gennaio 2017
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