LA PROVOCAZIONE DI BUTTAFUOCO
Grillini, attenti: vincerete
Ma guai a governare la Sicilia
Il M5S fa festa oggi a Palermo dove è prossimo a prendersi la più fetida delle rogne, la Regione siciliana. Se Roma è, infatti, un manicomio, la Sicilia è l’inferno.
C’è da sperare che il movimento, dopo il pasticcio del Campidoglio, eviti di cadere nella trappola. Governare una cancrena conclamata qual è la Sicilia equivale a un fallimento. Ed è perciò che ai CinqueStelle, vincendo le elezioni, non resta che una strada: conquistare la presidenza della Regione ma per chiederne la chiusura.
Ci sono 8 miliardi di euro in agguato. E’ l’indebitamento della Regione siciliana che tra prestiti e mutui – non senza dimenticare i 143 milioni previsti nell’ultimo bilancio per tenere in vita l’Ars, il parlamento regionale – trasforma ogni altra grana in una passeggiata di salute. E’ un affare che non conviene, la Sicilia. Ci sono 8 miliardi di euro in agguato. E ci vuole un atto di coraggio. Si deve fare quello che non è stato fatto a Roma. Un’operazione di due diligence, per dirla all’americana, da applicare a un “ente locale” qual è la pur “autonoma” Regione Siciliana.
Una soluzione identica a quella fatta a Detroit, negli Stati Uniti, nel luglio 2013, dove il Governatore del Michigan – a seguito di un disastro durato più di mezzo secolo – in base alla legge fallimentare ne decideva la bancarotta per poi restituire la città alla rinascita. Fosse stata fatta a Roma questa procedura oggi Virginia Raggi farebbe politica invece che – purtroppo – subirla.
Quando l’emergency financial manager Kevin Orr si presentò al tribunale fallimentare della quarta metropoli d’America non c’era che corruzione, criminalità, desertificazione e declino economico. E’ il ritratto sputato dell’Isola messa a galleggiare al centro del Mediterraneo. E Giancarlo Cancelleri, dunque, se sarà chiamato a guidare la liste del M5S, dovrebbe tenere conto di questa strategia di cruda chiarezza nella terra dell’abisso sociale dove allignano pagnottisti, mafiosi e antimafiosi di pronto accomodo.
Si chiama due diligence, comporta una sola azione – portare i libri in tribunale – ed l’unico strumento per dare concretezza al cambiamento: consentire al giudice fallimentare di tagliare quei debiti e quei costi di funzionamento da sempre gonfiati dalla “casta con le sarde” che nessun sindaco, nessun presidente, nessun politico – insomma – è nelle possibilità di poter fare.
Tutto è paralizzato in Sicilia dove leggi, decreti e autonomie vanno in corto circuito con l’unico vero governante rimasto, il Tar, una casta togata incaricata a stabilire chi vince e chi perde nella giungla di leggi e controleggi nate all’ombra del mefitico Statuto Speciale. La Sicilia è il posto che nessuno, neppure la mafia – tanto il sistema è paralizzato – riesce a governare. Le masse clientelari soffocano gli inutili poteri dell’Autonomia Regionale e una riflessione, proprio una, i dirigenti del M5S la devono fare. Ci sono 21.000 forestali in tutta la Trinacria. Se vincete le elezioni, cari CinqueStelle, ve li ritroverete tutti sotto casa. E neppure lo streaming, quando bloccheranno autostrade, aeroporti e trazzere, potrà esservi d’aiuto.
Il M5S che fa festa oggi a Palermo dovrebbe chiedere il consenso agli elettori su questa formula semplice: fare tabula rasa, e poi ricominciare. Entrare a palazzo d’Orleans, dunque – e lo stesso giorno della proclamazione – chiedere al tribunale di procedere col fallimento dell’ente regione. Rompere il banco, insomma. Evitare di ripetere l’errore, perché di questo si tratta, fatto a Roma.
Si chiama due diligence ed è l’unica strada da percorrere in una landa dove – ormai è dottrina – il successore riesce sempre a far rimpiangere il predecessore. E così è per ogni presidente della Regione, con l’attuale Rosario Crocetta – sostenuto a suo tempo perfino dal battage della stampa nazionale più autorevole – politicamente imbarazzante al punto di far credere alla più subdola delle illusioni, e cioè che dopo di lui chiunque verrà, sarà di certo migliore.
Il caso Roma, ancora una volta, insegna. Chiunque rispetto a Ignazio Marino, politicamente un impiastro, è meglio. Virginia Raggi dà una pista al suo predecessore ma col carico dei danni altrui, ha una sola possibilità: spegnere la luce e chiudere la porta del municipio. Senza poter più ricominciare. Ecco, specie di questi tempi, si tratta di spegnere e di ricominciare. Ma solo una strada consente ciò. E si chiama due diligence, altrimenti detta tabula rasa. Cominciate col farla in Sicilia. E’ il famoso laboratorio politico. Funzionerà poi in tutta Italia.
23 Settembre 2016
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