17 gennaio 2016

PER FARE L'UOMO CI VUOLE L'ALBERO


Per fare l'uomo ci vuole l'albero


Inserendo la parola “albero” nella stringa di google compaiono 41 milioni e 300 mila documenti digitali a disposizione del lettore. Un’enormità. Il fatto assume caratteri ancor più eclatanti digitando la traduzione inglese di albero: per la parola “tree” sono a disposizione 1 miliardo e 290 milioni di documenti. Nonostante questi numeri, la maggior parte degli esseri umani conosce il nome di un numero relativamente basso di specie di alberi; il risultato peggiora sensibilmente se si tratta di riconoscere fisicamente i diversi tipi di albero.

Quasi tutti distinguiamo una quercia da un pioppo e un cipresso da un salice, ma la differenza tra un melo e un cotogno risulterà misteriosa per molti, e sono pronto a scommettere che quasi nessuno saprebbe indicare che tipo di albero è il bagolaro, oppure il sambuco o il carpino bianco. Per molti di noi, tutte queste differenze sono appiattite nel sostantivo generico “albero” che, Treccani alla mano, è definibile come “pianta perenne legnosa, con fusto colonnare, cioè più o meno cilindrico (chiamato tronco o, se porta solo foglie come nelle palme, stipite), che verso l’alto si espande con rami legnosi di varia forma e disposizione, costituenti con le foglie la cosiddetta chioma.”

Lo spazio occupato dagli alberi sul web è d’altronde paragonabile a quello già da loro occupato nella storia della cultura umana. Anche prima che il chimico inglese John Priestley (1774) scoprisse che le piante liberavano ossigeno e che si cominciasse a cogliere la loro indispensabilità funzionale per consentire la vita sul pianeta, gli alberi erano uno dei principali beni comuni dell’umanità. C’è qualcosa di sacro negli alberi, che ha sempre colpito e coinvolto gli esseri umani, persino al di là delle loro molteplici e benefiche funzioni, a cominciare dall’immensa quantità di frutta rilasciata dalle piante al legno per il fuoco e le costruzioni, senza dimenticare i giochi dei bambini, le arrampicate delle sentinelle per guadagnare spazio allo sguardo, la protezione contro l’arsura derivata dalle grandi chiome.

Di più: l’albero arriva nella mente umana come una costruzione complessa e fantastica, protesa contemporaneamente verso il centro della terra (le radici), affrontando la vita biologica con un fusto che la rende presenza sicura e individuabile e infine avvicinando il cielo con i rami e le fronde. Gli alberi ospitano infinite vite di animali e di insetti, senza dimenticare altre piante, più o meno grandi e visibili. Tutte le culture hanno – da sempre – celebrato gli alberi, rendendoli cari agli dei e assimilandoli a templi vegetali, oppure ad altari naturali. Vicino a un albero la dimensione sacra della vita è percepibile con più forza, con maggiore intensità. Ci sono profumi e odori e sensazioni fisiche di fronte a certi alberi che costringono gli uomini e le donne a riconoscere la potenza e la generosità della natura. C’è chi tocca una quercia per provare una sensazione di sicurezza, chi accarezza un ulivo quasi cercando un contatto con storie antichisime e affascinanti.

Poi, c’è l’albero che ha fatto scaturire dall’immaginazione degli esseri umani un’idea talmente compiuta di vitalità e sapienza naturale da derivarne sistemi di pensiero. Per le antiche popolazioni del Nord America è stato l’acero o la sorprendente sequoia, per noi mediterranei l’ulivo o il pino marittimo, per i medio-orientali il cedro e così via. Osservando l’albero autoctono, ogni singola popolazione ha colto nella triplice natura della pianta (sotterranea, terrestre e celeste) lo stimolo per raccontare vicende complesse, organizzate rispettando le caratteristiche fondamentali dell’albero.

L’albero della conoscenza del bene e del male nel Vecchio Testamento, per esempio: una pianta speciale, di cui persino il tronco era buono da mangiare e manteneva lo stesso sapore del frutto. O l’albero della vita, anch’esso presente nell’Eden, cui viene proibito di servirsi a Eva e Adamo dopo il loro inemendabile peccato all’ombra del primo albero. Ci sono passaggi esegetici differenti a riguardo, e non c’è accordo tra filologi e nemmeno tra teologi su quale sia l’albero che si nasconde dietro il concetto di “bene” e di “male” (melo? Melograno? Albicocco?).

Visitando culture non monoteiste, si scoprono vicende leggendarie e mitiche legate agli alberi. C’è per esempio un’intera e diffusissima civiltà – quella celtica, da non confondere con la parodia che ne fanno i leghisti – che si fonda sugli alberi. I druidi, come sanno i lettori di Asterix, erano personaggi potentissimi nell’ambito tribale celtico, possedendo la reputazione di maghi e di medici. La loro sapienza partiva dagli alberi: i druidi sapevano quando cogliere radici, cortecce e foglie per poi bollirle, amalgamarle e somministrarle come farmaci. Tutta l’astrologia celtica si fondava sulle piante, e i segni zodiacali erano derivati dai nomi degli alberi. Guardando gli alberi, gli esseri umani hanno costruito alberi della sapienza (come nella Qabbalah ebraica) e della scienza: al centro di ognuna delle metafore che utilizziamo abitualmente (albero dei contenuti, albero di trasmissione, albero-motore, eccetera) c’è l’immagine di una forma di vita complessa e benefica, che vivendo il proprio ciclo naturale stimola e intensifica l’intelligenza umana.

Trattiamo gli alberi per come si meritano? Non proprio. Molto spesso li diamo per scontati, oppure prestiamo attenzione solo alle piante monumentali e non ci curiamo degli alberi comuni, il cui ruolo è invece fondamentale per garantire la vita. Soprattutto nelle città gli alberi tendono a diventare da forme di vita e metafore del pensiero semplici oggetti estetici di adornamento, incasellati in un bordo di cemento che sembra prevenire una loro possibile esuberanza. I bambini nemmeno li vedono, disposti come sono in ordine fastidioso e geometrico, che la natura non si è mai sognata di inventare.

Eppure è proprio nelle città che gli alberi sono più importanti, per respingere i continui eccessi di antropizzazione che sventrano la natura residua negli spazi urbani e per riconciliare le popolazioni con l’anima botanica della vita, dalla respirazione alla meditazione, dalla bellezza al gioco. Tra qualche giorno, il 21 gennaio, presso la sala conferenze del Rettorato di Lecce, si svolgerà nell’intera giornata un convegno che si intitola “Alberi in città”, organizzato dal Comitato Verde del quartiere di Santa Rosa. Nel programma (co-organizzato anche dall’ordine degli agronomi e dall’ordine degli architetti) molte voci interessanti sia scientifiche sia culturali. Segnate la data sull’agenda: saperne di più sugli alberi è come mettere ossigeno all’idea di città buona.
Stefano Cristante


16 Gennaio 2016
 Quotidianodipuglia.it









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