16 novembre 2015

PONTE SULLO STRETTO? NO, GRAZIE


Notizia segnalata
da Rocco Boccadifuoco


PONTE SULLO STRETTO? NO, GRAZIE





La Sicilia cade a pezzi: strade, acquedotti, fognature, edifici e strutture una volta al servizio del pubblico. Intanto, i soliti noti continuano a gingillarsi con progetti mastodontici, spacciati come il toccasana per risolvere, se non tutti, almeno i principali mali della Sicilia (e della Calabria). Come se i lavori per il famigerato ponte sullo Stretto (perché è a questo che principalmente mi riferisco) potessero non finire mai; o come se, giunta inevitabilmente la fine, gli operai e i piccoli imprenditori dell’indotto potessero campare di ricordi.

E intanto – ma di questo nessuno sembra preoccuparsi – si sarebbe distrutta per sempre una realtà economica non stratosferica, ma comunque di certo rilievo e – quella si – destinata praticamente a durare per sempre. Mi riferisco alle industrie (la pubblica e la privata) dei traghetti, e a tutto ciò che queste muovono – a Messina come a Reggio Calabria – in termini di sviluppo e di occupazione, per tacere di un corposo indotto. Così come nessuno sembra preoccuparsi delle gravissime incognite relative alla sicurezza di un ponte siffatto, mai realizzato fin’ora, almeno non con queste dimensioni da fantascienza (tra Scilla e Cariddi ci sono più di 3 chilometri!). Qualcuno si ricorda che quella è una zona fortemente sismica? E qualcuno ha preso in considerazione che una struttura del genere potrebbe attirare le attenzioni di tutti i terroristi e di tutti i pazzi del Mediterraneo?

Eppure, la politica non sembra essersi accorta di tutto ciò, e va avanti a testa bassa. Aveva iniziato Berlusconi, nella sua ricerca continua (e quasi sempre sbagliata) di grandi opere e di grandi progetti per creare ricchezza. Adesso il progettone ha trovato nuovi sponsor: in primo luogo Angelino Alfano, sempre alla disperata ricerca di un alibi per giustificare il “soccorso azzurro” al governo; e lo stesso Renzi, anche se – bontà sua – ha detto che prima andrebbe risolto il problema dell’acqua per Messina.

Ecco, il punto è proprio questo: alla Sicilia non serve il ponte sullo Stretto, bensì l’adeguamento delle sue infrastrutture agli standard di modernità, funzionalità e sicurezza delle altre grandi regioni italiane; non abbiamo bisogno d’interventi faraonici, ma soltanto di autostrade che non si sbriciolino, di ponti che non crollino, di ferrovie che non vadano a passo di lumaca, di acquedotti che non svaniscano nel nulla, di fognature che non scoppino. Non ci servono 8 miliardi e mezzo di euro (17.000 miliardi delle vecchie lire) gettati nel pozzo senza fondo di un unico grande progetto, peraltro destinato ad arricchire in larghissima parte imprese non siciliane; ci serve piuttosto che quegli stessi 8 miliardi e mezzo vengano distribuiti sull’intero territorio dell’Isola (possibilmente senza passare per le mangiatoie regionali) e destinati a revisionare o, più spesso, a sostituire le scalcinate infrastrutture che ci impediscono di competere alla pari con le regioni del Centro-nord: ponti, strade, ferrovie, acquedotti, depuratori e tutto il resto. Si otterrebbe, così, un duplice risultato: promuovere il progresso reale della Sicilia, e distribuire i benefìci di questa autentica “grande opera” su tutto il territorio regionale. Avete idea di quanto verrebbe a costare un solo chilometro del famigerato ponte? E avete idea di quanti chilometri di acquedotti (più efficenti di quello di Messina) si potrebbero realizzare con quella cifra? Avete idea di quanto verrebbe a costare un solo pilone del ponte? E avete idea di quanti viadotti (più saldi di quello di Himera) potrebbero costruirsi con quegli stessi soldi?

E, invece, le scelte di politica economica dell’attuale governo sono – se possibile – più ostili alla Sicilia e al Sud di quanto non fossero quelle dei governi del passato. Non credo, per esempio, che nella storia dell’Italia repubblicana ci sia mai stato un governo che – come l’attuale – abbia previsto in finanziaria che, delle somme assegnate al sistema ferroviario nazionale, il 99% vada al Nord e soltanto l’1% al Sud. Lo apprendo da un illuminante articolo del giornalista campano Mimmo Della Corte pubblicato su “Il Borghese” di ottobre. Lo stesso articolo cita un altro elemento che ben testimonia la precisa volontà di penalizzare le infrastrutture dell’intero Mezzogiorno a vantaggio di quelle del Nord: si tratta del Programma Operativo Nazionale “Infrastrutture e Reti” 2014-2020, redatto dal Governo italiano e prontamente approvato (ci mancherebbe altro) dall’Unione Europea. Nell’elaborato si afferma che «data l’intensità di traffico e di infrastrutture portuali e di reti, il Centro-nord è naturalmente il principale destinatario e beneficiario degli interventi». In quell’area s’intende anche privilegiare la rete ferroviaria e il sistema aeroportuale. E per evitare – incredibile! – che i porti del Sud possano fare concorrenza a quelli del Nord, in quell’area si andranno a rafforzare anche le strutture di trasporti complementari (aeree e ferroviarie), mentre non si farà nulla che possa favorire la «cannibalizzazione» da parte di soggetti del Meridione. Ecco la “filosofia” che presiede all’intera politica infrastrutturale del Governo Renzi – grandi opere comprese – nei riguardi della Sicilia e del Sud.

Ma, torniamo al ponte sullo Stretto: non ci serve, non lo vogliamo. Vogliamo, invece, che i nostri viadotti non crollino un mese dopo la loro inaugurazione. Vogliamo che una città come Messina non venga lasciata senz’acqua per venti giorni. Vogliamo che un viaggio in treno Trapani-Palermo duri 40 minuti e non 4 ore. Vogliamo che un porto strategico, come quello di Trapani, abbia il suo spazio e non venga soffocato a beneficio della concorrenza. Vogliamo tante piccole cose che facciano della Sicilia un Paese civile.

In fondo, ci accontentiamo di poco.



16 Novembre 2015
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