La Sicilia è fallita ma nessuno lo ammette. Scacco in tre mosse al governo regionale
“Un’ azienda che non è in grado di pagare i propri creditori porta i libri in tribunale, un governo che non riesce a garantire gli stipendi ai propri dipendenti deve restituire la parola ai cittadini”.
La frase è del deputato siciliano di Sel
Erasmo Palazzotto. Con una lucidità che tutte le altre forze politiche
‘maggiori’ sembrano aver perso, fotografa la realtà dei conti siciliani
in due parole.
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“Serve un’intervento del governo centrale per
sbloccare la delibera Cipe- prosegue Palazzotto- che garantirebbe la
liquidità per pagare le spese ordinarie a partire dalle giornate
lavorative dei forestali e degli stipendi dei precari. Senza
investimenti il rischio è che il processo di desertificazione economica
diventi irreversibile, per questo è sempre più necessario un governo che
non campi alla giornata, ma che abbia la forza politica per fare le
riforme che servono alla Sicilia”.
E la situazione è proprio questa. Serve liquidità
senza la quale la Sicilia affonda ed a pagarne le spese non sono gli
autori del disastro finanziario ma gli odiati (dall’opinione pubblica)
braccianti agricoli forestali delle così dette squadre antincendio e
non, i precari, gli addetti ai consorzi di Bonifica, i dipendenti
dell’Esa, i lavoratori della Formazione ed una quantità di altri
lavoratori, stabili o precari, che circuitano intorno alla Regione ma
non ne sono dipendenti diretti.
Lo stop non riguarderà solo l’odiato mondo del
precariato ma anche i contributi pubblici, le spese di funzionamento, i
pagamenti ai fornitori. Insomma la Sicilia si comporta come una azienda
in procinto di fallire ma non ancora ‘scoperta’ dai suoi creditori o
che, magari, attendono per l’istanza di fallimento nella speranza di
recuperare quanto più è possibile. Cosa fa? se non incasserà mezzo
miliardo che aveva previsto di incassare, sposta al prossimo anno i
pagamenti che non riesce a fare. e questa scelta viene pure indicata
come una scelta virtuosa.
Insomma la Sicilia aveva bisogno di un
‘amministratore giudiziario fiorentino’ (Baccei) per scoprire che è
sufficiente non pagare i debiti per far quadrare la cassa. La colpa, sia
chiaro, non è di Baccei. Lui esegue solo il suo mandato e più di una
volt aha chiesto di essere esonerato da questo penoso compito senza che
il suo dante causa lo abbia mai ascoltato.
Ciò che non paga nel 2015, però, la Sicilia dovrà
pagarlo nel 2016 e la situazione, fra un anno, sarà perfino peggiore se
qualcosa non si sblocca. E allora perché da Roma continuano a tenere la
Sicilia al ‘guinzaglio corto’ ?
La spiegazione arriva facile facile: se non si
pagano precari e fornitori la colpa ricade sulla Regione (che ne è
ampiamente responsabile ma non da sola) e si continua a togliere terreno
sotto i piedi al governo Crocetta che, nonostante gli attacchi, le
polemiche e i disastri amministrativi, gode ancora di forti amicizie a
titolo personale (di Crocetta e del suo senatore di riferimento)
soprattutto in area giudiziaria.
Il piano di Renzi resta quello di andare alle
elezioni anticipate ma è slittato. Non si faranno più quelle siciliane
separate dalle altre. Sarà Roma probabilmente ad andare ad elezioni
anticipate dopo che Renzi avrà incassato la riforma del Senato. Per le
elezioni in primavera forse ormai è tardi ma si potrebbe pensare ad una
tornata autunnale nel 2016.
Se si va ad elezioni ad ottobre 2016 Roma potrebbe
portarsi dietro Palermo e il piano è proprio questo, ma per farlo serve
uno scacco al Re (Rosario) in tre mosse. Una è l’impugnativa sistematica
di ogni riforma siciliana per togliere a Palermo qualsiasi argomento di
‘resistenza’ (ma per Crocetta le impugnative già iniziate non sono una
scelta politica); la seconda mossa è proprio lo stop alla spesa e la
liquidità concessa con il contagocce.
Per la terza mossa Renzi e i suoi aspetteranno di
essere pronti ma per portarla a termine sarà necessario togliere il
sostegno giudiziario al governatore. una azione un poco più complessa
visto come stanno andando attualmente le cose.
07 Ottobre 2015
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