Il restauro delle nostre foreste: quando la necessità (ecologica) fa virtù
Scritto da Marta Gaia SperandiiSi è tenuto giovedì scorso a Roma il primo convegno nazionale della Società Italiana di Restauro Forestale (SIRF).
L’obiettivo di questo primo appuntamento, realizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) e l’Osservatorio delle Foreste, è stato individuare significati ed obiettivi del restauro forestale in Italia, raccogliere presupposti teorici per impostare una prassi condivisa in un settore in cui il nostro paese attualmente non primeggia.
L’importanza del restauro in campo forestale trascende la sola logica estetica: un bosco sano ospita un ecosistema funzionale e in equilibrio, offre ecoservizi ad alto valore aggiunto, protegge il territorio dagli eventi calamitosi, combatte la perdita di suolo, contribuisce a riattivare economie locali e crea occupazione.
A minacciare il nostro patrimonio boschivo, esercitando pressione congiunta, sono numerosi fattori in concorrenza: abbandono delle superfici agricole, prelievo legnoso esercitato in maniera non sostenibile, gestione irrazionale delle attività di pascolo, e ancora diffusione di specie alloctone, incendi, interramento di rifiuti. Dietro tutto questo c’è l’uomo, responsabile in maniera più o meno diretta di un degrado che modificando struttura e composizione del bosco, pregiudicandone la funzionalità, ostacolando la fruizione dei diversi servizi che l’ecosistema offre, si ripercuote in maniera altrettanto negativa sul benessere della società. Ogni bosco perso nella sua integrità è una pagina di storia strappata alla vita.
Un presupposto, benchè infelice, è d’obbligo: qualunque sia la tipologia di restauro, esso non può che essere parziale, giacchè pensare di poter rimediare a secoli di impattante presenza antropica è pura utopia.
Ma quand’è che un bosco necessita di un’azione di restauro?
Se per alcune aree, come quelle percorse da incendi o caratterizzate dall’assenza di una copertura forestale, la necessità di un intervento è immediatamente comprensibile, più complicato è il discorso per quanto riguarda la foresta frammentata, che si configura come un’area degradata al limite della possibilità di recupero.
Il prof. Roberto Mercurio, presidente SIRF, ha sottolineato in apertura come la mancanza di una definizione univoca, di natura scientifica, ma anche giuridica, di bosco degradato, dia luogo ad una conseguente incertezza nella stima della consistenza dei boschi degradati.
E’ qui che si fa sentire l’urgenza di stabilire dei parametri, degli indicatori che segnalino l’irreversibilità del processo di degradazione, e lo facciano in tempo utile a prendere adeguate misure.
Che tipo di misure?
Lo stesso concetto di restauro non sembra esimersi da una molteplice varietà di interpretazioni. “Parlare di fondamenti scientifici del restauro forestale”, secondo il prof. Bartolomeo Schirone dell’Università della Tuscia, “è difficile, perchè i termini di riferimento del problema, sul piano biologico ed ecologico, non sono ancora abbastanza chiari. Rischiamo di proporre nuove teorie senza conoscere almeno in parte i meccanismi che determinano i processi bioecologici su cui dovrebbero essere costruite le teorie stesse”.
A confrontarsi sono state tuttavia principalmente due posizioni, che data la complessità del fenomeno potrebbero non essere esclusive, parimenti rappresentate dalla varietà di professionisti ed esperti intervenuti al convegno. La prima sostiene un tipo di restauro attivo, attuato dall’uomo anche mediante interventi selvicolturali come il rimboschimento, sempre nell’ottica di ricreare un ecosistema e non una semplice piantagione di alberi. All’estremità opposta troviamo un restauro passivo, che non preveda l’intervento dell’uomo, ma lasci fare alla natura, scommettendo sulla resilienza del sistema ovvero sulla sua capacità di ricostituirsi autonomamente tramite i meccanismi di successione vegetazionale.
L’intervento della dott.ssa Camilla Wellstein dell’Università di Bolzano ha contribuito ad ampliare la prospettiva, evidenziando come le stesse foreste di oggi potrebbero non essere adatte al clima cui saremo soggetti da qui a 50 anni, e sia dunque necessario condurre approfondite analisi che esulino dal fotografare unicamente la realtà attuale.
La comunità forestale è molto più che semplice vegetazione, ed è quindi opportuno considerare anche le interazioni con la fauna, come ha sottolineato Francesco Contu della Regione Abruzzo. Analogamente, gli entomologi presenti hanno ricordato come buona parte delle tecniche selvicolturali di restauro possa risultare dannose per l’entomofauna che, forse in considerazione della minore attrattività esercitata sul pubblico rispetto ai grandi mammiferi, viene talvolta trascurata.
In conclusione, non si può prescindere da una visione di tipo olistico, che tenga presente le diverse variabili in gioco compreso l’aspetto socio-economico, e consideri il fitto intreccio di relazioni causa-effetto cui qualunque ipotesi di intervento è legata.
“Il restauro forestale” come ha ricordato il prof. Mercurio, “può essere la risposta alle grandi emergenze ambientali del nostro tempo: la conservazione della biodiversità, la lotta all’ effetto serra e alla desertificazione, la conservazione delle risorse idriche”. Sarebbe tuttavia ingiusto sottovalutarne il significato culturale ed identitario, che lo tratteggia come un gesto di conservazione dovuto e doveroso nei confronti di un patrimonio naturale e sociale dal valore inestimabile.
18 Dicembre 2013
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