«Puntare su nuove produzioni
e sullo sviluppo rurale integrato»
in un appezzamento coltivato a ortaggi
Foto lasicilia.it
Giuseppe Scibetta
«I disoccupati della provincia di Caltanissetta ormai superano la soglia del 40% della popolazione attiva? Una potenziale opportunità di procurarsi una occupazione può arrivare dalla incentivazione delle attività produttive esistenti in agricoltura, che è un settore sempre più in crisi nella nostra realtà territoriale, e che, come avviene in altre realtà, è uno dei pochi in grado di dare delle risposte concrete ai nostri giovani, specialmente se questi non vogliono emigrare»: è quanto sostiene il dott. Antonio Bufalino, 53 anni, dirigente dell'Esa (ente sviluppo agricolo) di Caltanissetta».
«Quanti posti di lavoro si potrebbero creare nella nostra provincia? Non voglio esagerare, ma credo almeno 4.000-5.000 - aggiunge - ma per far ciò occorre che i politici, gli operatori del settore economico, le aziende esistenti ed anche i tanti giovani disoccupati che rimangono inattivi nelle nostre case pongano la giusta attenzione alle tantissime possibilità occupazionali esistenti nel mondo agricolo della nostra provincia. Si tratta di farsi venire prima ed attuare poi delle idee innovative, che magari non sono più così nuove nelle altre regioni d'Italia e d'Europa, ma che possono anche essere riproposte e trasferite nella nostra realtà, creando posti di lavoro e nuove possibilità di sviluppo territoriale».
«La nostra provincia di Caltanissetta - spiega meglio il dott. Bufalino - ha una estensione territoriale di 2.124 chilometri quadrati (pari a 212,400 ettari), ma di questi sola una parte sono utilizzati a colture di cereali (30 mila ettari in tutto), frutticole (7 mila), viticole (4 mila), olivicole (7,5 mila) e silvivere (3 mila). Tutta la parte rimanente è stata quasi del tutto abbandonata, anzi da qualche decennio è stato avviato un processo di desertificazione del territorio che riguarda le aree interne della provincia e che sembra inarrestabile. Un processo di abbandono dalla pratica agricola che procura uno stato di degrado che di solito anticipa sempre quello sociale».
«Le soluzioni? Potrebbero essere tante - aggiunge - e tutte collegate alla possibilità di utilizzare il comparto agricolo della nostra provincia per prestazioni cosiddette esterne, prevedendo la realizzazione non solo di nuove aziende agricole e la creazione di nuovi servizi destinati al settore ambientale, paesaggistico, sociale e produttivo. In tale contesto una forestazione protettiva e produttiva potrebbe perseguire tutti questi obiettivi, garantendo il consolidamento di un territorio in erosione, il miglioramento della qualità dei paesaggi, la necessaria occupazione per la fase di manutenzione degli ambiti boscati, la creazione di nuovi tour locali nelle logiche di uno sviluppo rurale integrato, il mantenimento delle popolazioni locali come effetto di nuove occasioni di lavoro in campagna, la produzione di legno e di energie rinnovabili ecologiche e non inquinanti. Faccio un esempio semplice semplice: perchè continuare ad acquistare legna (a volte radiottiva) proveniente dalla Russia per fare pellets, quando questo prodotto può essere creato qui e venduto ad uso privato e pubblico. Perchè poi, in questo contesto, non creare percorsi di cicloturismo, motocross, ippoterapia e di agriturismo qualificato? ». «Altre possibilità occupazionali inoltre - aggiunge il dott. Bufalino - potrebbero arrivare dalle biomasse, in particolare dalle lignocellulosiche (scarti colture agricole, forestali e dell'industria del legno), che sono disponibili in grandi quantità in maniera diffusa sul nostra territorio. Esse possono anche essere prodotte attraverso colture dedicate, incentivate dalla politica agricola dell'Unione europea. Tali coltivazioni note come Short Rotation Forestry (Srf) si stanno già sviluppando in alcune aree, grazie ad adeguati incentivi regionali. Obiettivo prioritario sarebbe la realizzazione di una filiera per la produzione di energia da biomassa, orientata al potenziamento del tessuto economico locale, in grado di soddisfare le richieste energetiche, utilizzando materiale legnoso di diversa origine».
«Un altro aspetto importante è quello riguardante i precari (i forestali, i dipendenti degli enti locali Lsu, ex art. 23, etc.) per finalità effettivamente produttive in questo settore - aggiunge Bufalino - attuando una politica riguardante la prevenzione e non solo la protezione civile. Inoltre occorre pensare a produzioni di nicchia e di alta qualità derivanti dalla trasformazione dei prodotti locali del territorio che vadano ad integrare i redditi degli imprenditori. Esistono infatti delle realtà produttive a filiera corta che con coraggio riescono a stare nel mercato che, se integrati in un piano organico di sistema tra le varie realtà comunali, in uno alle fruizioni naturalistiche, siti archeologici, patrimonio minerario, potrebbero far rinascere le aree interne».
15 Ottobre 2013
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