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Sandra Figliuolo - 07 agosto 2024
A 6 operai, già condannati da tempo per aver scatenato un incendio a Cinisi, erano state inflitte nel 2011 anche delle sanzioni amministrative, annullate in appello nel 2016. Dopo 13 anni la Suprema Corte ha disposto un nuovo processo accogliendo il ricorso della Regione. Intanto uno degli imputati è morto e sono subentrati 4 suoi eredi
Da operai forestali erano addetti alla pulizia dei viali parafuoco in un bosco, ma avevano invece provocato un incendio, mandando in fumo quasi 19 mila piante. Un fatto per cui in 6 erano già stati condannati anni fa, ma - dal 2011 - è ancora pendente il giudizio civile legato alla violazione di alcune specifiche norme e con il quale era stata inflitta agli imputati una sanzione amministrativa di 368.399 euro in primo grado, poi però annullata in appello. Un percorso giudiziario che è tutt'altro che finito perché la Cassazione ha a sua volta cassato quest'ultima decisione - ritenuta errata - accogliendo il ricorso dell'assessorato regionale al Territorio e all'ambiente e disposto un nuovo processo di appello. A 13 anni di distanza dalla prima pronuncia.
La sentenza è stata emessa nelle scorse settimane dalla seconda sezione civile della Suprema Corte, presieduta da Mario Bertuzzi. Nel frattempo uno dei forestali è morto e nel processo sono subentrati 4 dei suoi eredi. L'incendio scoppiò nell'area boschiva di Monte Pecoraro a Cinisi, dove gli operai avevano acceso alcuni focolai per bruciare delle sterpaglie "senza assicurarsi della loro totale estinzione" e causando così il rogo "con colpa", come sancito definitivamente in sede penale dalla Cassazione. Da qui l'avvio anche del processo civile legato alle sanzioni amministrative.
Le sanzioni erano state emesse nel 2011 e il tribunale nel 2016 aveva stabilito, rigettando il loro ricorso, che i forestali dovessero versare i quasi 400 mila euro, ma nel 2021 la Corte d'Appello aveva riformato la decisione ritenendo che non fosse stata provata la colpa degli operai e mancasse l'elemento soggettivo del reato. Una decisione impugnata dalla Regione, a cui la Suprema Corte ha dato ragione.
Come si legge nel provvedimento, con la sentenza penale definitiva da tempo era stato accertato che "tutti i comportamenti della squadra ebbero modo di concorrere all'evento, integrandosi le rispettive condotte e venendo essi meno alla regola di interagire con prudenza. Ovviamente l'opera svolta per cercare di sedare l'incendio sviluppatosi non può avere rilievo di sorta, trattandosi di una condotta doverosa tenuta ex post".
E scrive la Cassazione: "Quando il giudice penale accerta con efficacia di giudicato la presenza, o l'assenza, dell'elemento soggettivo della colpa (...) è precluso al giudice civile un nuovo accertamento in relazione alla sussistenza, o all'assenza, del predetto elemento soggettivo" e "poiché, nel caso di specie - dice ancora la Suprema Corte - il giudice penale ha acclarato che gli odierni controricorrenti avevano contribuito con colpa alla causazione dell'incendio, era precluso alla Corte d'Appello, in sede civile, condurre una nuova valutazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo minimo previsto per integrare la violazione alla quale è connessa la sanzione amministrativa".
La Cassazione stigmatizza che "la Corte d'Appello, anziché applicare i principi sopra richiamati, ha ritenuto, erroneamente, di poter procedere ad una rinnovata valutazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo agli autori della contestata violazoone" ed ha per questo disposto un nuovo processo d'appello.
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Fonte: www.palermotoday.it
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