26 settembre 2023

TEMPO PER PASSAGGIO DI CONSEGNE NEL CAMBIO DI TURNO: VA RETRIBUITO?



Dal sito www.laleggepertutti.it

25 Settembre 2023 - Autore: Angelo Greco

Cassazione: il tempo dedicato al passaggio di consegne rientra nell’orario di lavoro e quindi va pagato. 

Non capita di rado che alcuni contratti di lavoro obblighino il dipendete, pur dopo la fine del proprio orario, ad attendere l’arrivo dei colleghi del turno successivo onde non interrompere l’attività, specie quando questa implica un contatto con la clientela. Un settore in cui ciò avviene di frequente è quello sanitario.

Ci si è spesso chiesto in giurisprudenza se il tempo per il passaggio di consegne nel cambio di turno va retribuito, ossia se deve essere considerato alla stregua del normale orario di lavoro o se, al contrario, trattandosi di uno sforzo minimo, rientri in quei doveri di collaborazione che implicano un minimo di tolleranza.

Sul punto la Cassazione si è di recente espressa con due diverse sentenze. Vediamo cosa hanno detto i giudici supremi.

1. Il “cambio di consegne” è considerato tempo lavorativo?
2. Cambio turno per infermieri e OSS
3. E il tempo per indossare l’abbigliamento da lavoro va retribuito?


Il “cambio di consegne” è considerato tempo lavorativo?

In linea generale bisogna rifarsi all’insegnamento espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 17326/2023: il tempo trascorso per il cambio consegne deve essere retribuito solo se impone un impegno prolungato del lavoratore. Quando invece l’attesa è minima (pochi minuti) sarà bene verificare cosa prevede il contratto collettivo. Difatti, spesso quest’ultimo prevede una apposita e generica indennità per i «disagi derivanti dal lavoro». In tali disagi – ha argomentato la Cassazione – va ricompresa la normale attesa dei colleghi del turno successivo: sicché, in tale ipotesi, non è dovuto alcun risarcimento.

Se, invece, il CCNL non precede tale indennità, la situazione cambia. Anche se la Cassazione non ha menzionato questo scenario, dalle sue dichiarazioni sembra suggerire che qualsiasi attesa dovrebbe essere adeguatamente compensata. Inoltre, la stessa Cassazione ha precedentemente stabilito che il tempo dedicato al cambio d’abito per il lavoro deve essere considerato all’interno dell’orario di lavoro e, pertanto, retribuito. In sintesi:

  • se il CCNL include un’indennità, il tempo d’attesa è retribuito solo se supera il normale tempo previsto.
  • se il CCNL non prevede alcuna indennità, il tempo di attesa è considerato orario di lavoro e deve essere pagato separatamente.»

Cambio turno per infermieri e OSS

Con la seconda sentenza (n. 25477/2023), la Corte di Cassazione ha stabilito che il tempo per il passaggio di consegne nel cambio di turno degli infermieri e del personale sanitario rientra nel tempo lavorativo. Questa decisione è stata presa analizzando una specifica situazione in una RSA gestita da una cooperativa di lavoratori. La motivazione? Il cambio di consegne, essendo strettamente legato all’assistenza continua al paziente, rappresenta una prestazione di lavoro a tutti gli effetti, meritevole di retribuzione.

La Corte ha sottolineato che il cambio di consegne è fondamentale per garantire la continuità terapeutica al paziente. Questo passaggio informa il personale del turno successivo sulle esigenze e sullo stato di salute del paziente, assicurando che le cure vengano erogate in modo continuo e conforme alle necessità del paziente.

Per la Sezione lavoro, nell’ambito dell’attività infermieristica, il cambio di consegne nel passaggio di turno, «in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro. Sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale».

E il tempo per indossare l’abbigliamento da lavoro va retribuito?

Un altro punto affrontato dalla Corte riguarda l’abbigliamento richiesto ai lavoratori. La Cassazione ha sempre affermato che va computato nell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione della divisa da lavoro se tale operazione debba avvenire sul luogo di lavoro ed è imposta dal datore.

Con la sentenza n. 25478/2023, sempre la Suprema Corte ha precisato che, nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (il cosiddetto “tempo-tuta“) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo.

Nel caso del personale viaggiante delle ferrovie, un’ulteriore decisione ha precisato che il “tempo tuta”, cioè il tempo per indossare l’abbigliamento di servizio, è considerato tempo di lavoro solo se è imposto dal datore di lavoro. Se, ad esempio, il personale ha la libertà di cambiarsi a casa, questo tempo non è ritenuto lavorativo. La motivazione risiede nell’assenza di eterodirezione, ovvero quando il datore di lavoro non impone dove e come avvenire la vestizione.


SENTENZA

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile Ordinanza 31 agosto 2023 n. 25477

Data udienza 5 luglio 2023

Integrale

Lavoro – Passaggio di consegne nel cambio turno – Peculiarità del servizio sanitario – Esigenza della presa in carico del paziente – Tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro – Previsione di ricompensa economica – Artt. 3 comma 1 e 6 comma 2 l. n. 142/2001

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. CASO Francesco Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7595-2022 proposto da:

(OMISSIS) COOP. SOC. A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 469/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/09/2021 R.G.N. 226/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2023 dal Consigliere Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla (OMISSIS) soc. coop. a r.l. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha ridotto la condanna dell’appellante al pagamento della retribuzione per le operazioni di vestizione e svestizione di (OMISSIS) nel periodo 21.3.2008-31.12.2012 in una durata di 10 minuti complessivi giornalieri; per il resto confermava la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto ai lavoratori istanti, oltre a differenze retributive (rivenienti tra la retribuzione contrattualmente pattuita e quella percepita), la retribuzione corrispondente a 20 minuti al giorno di lavoro per il c.d. tempo di vestizione e di passaggio di consegne.

2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale respingeva il primo motivo d’appello della datrice di lavoro, con il quale essa censurava la sentenza di primo grado, affermando che ai ricorrenti nulla competeva in relazione al differenziale tra orario di lavoro contrattuale e ore effettivamente lavorate, dovendosi applicare la disposizione di cui all’articolo 5 del Regolamento interno alla cooperativa. Rigettava, altresi’, il secondo motivo di gravame, a mezzo del quale l’appellante censurava la sentenza del Tribunale, affermando l’insussistenza del diritto dei lavoratori alla retribuzione del c.d. “tempo di vestizione” e del c.d. “tempo di passaggio consegne”, salvo considerare, con riguardo alla sola (OMISSIS), corretta la riduzione del tempo a soli 10 minuti, non rientrando il cambio di consegne nell’ambito dell’attivita’ lavorativa svolta da detta lavoratrice. Disattendeva, inoltre, il terzo motivo di doglianza, concernente la pretesa erronea ed assertivamente immotivata indicazione dei tempi di vestizione e passaggio di consegne. Infine, respingeva anche il quarto motivo d’appello, con il quale la societa’ aveva ribadito la propria eccezione di prescrizione quinquennale dei crediti retributivi vantati dagli allora appellati.

3. Avverso tale decisione la (OMISSIS) coop a r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

4. Hanno resistito i lavoratori intimati con unico controricorso e successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: “(I) ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 2001, articolo 3, comma 1 e dell’articolo 6, comma 2, nonche’ (II) ex articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c., in particolare per non aver considerato la natura consensuale della clausola che consentiva la riduzione dell’orario di lavoro”.

2. Con il secondo motivo denuncia: “ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, dell’articolo 115 c.p.c., nonche’ omesso esame di tutte le risultanze istruttorie al fine di negare il riconoscimento del c.d. “tempo tuta” e del “tempo per il passaggio di consegne” come orario di lavoro”.

3. Con il terzo motivo denuncia: “ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame delle circostanze di fatto decisive per la determinazione, in via subordinata, nel quantum del cd. “tempo tuta” e “tempo per il passaggio di consegne”.

4. Con il quarto motivo denuncia: “ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2948 c.c., avendo ritenuto la Corte d’appello che la prescrizione non decorra piu’ in costanza di rapporto successivamente all’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, in caso di datori di lavoro che occupano piu’ di 15 dipendenti – ex articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c. e 2729 c.c., per non aver considerato la mancata allegazione delle odierne resistenti in tema di c.d. “metus”; – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2948 c.c. e dell’articolo 112 c.p.c., e/o ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver comunque correttamente accertato l’intervenuta prescrizione parziale delle pretese avversarie”.

5. Il terzo motivo di ricorso, che fa riferimento esclusivo al mezzo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e gli altri per la parte in cui fanno riferimento alla medesima ipotesi sono inammissibili.

5.1. Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’articolo 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilita’ della censura di omesso esame di fatti decisivi ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non solo quando la decisione di secondo grado e’ interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione gia’ assunta dal primo giudice (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).

E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal comma 5 dell’articolo 348-ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cosi’ Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).

5.2. Nel caso in esame, pero’, a fronte di decisioni di primo e di secondo grado tra loro senz’altro conformi, la ricorrente per cassazione neanche allega che le rispettive rationes decidendi di tali pronunce sarebbero almeno in parte differenti. Come premesso in narrativa, infatti, la Corte territoriale ha esclusivamente riformato nei parametri di quantificazione la condanna della societa’ limitatamente alla posizione della lavoratrice (OMISSIS), ma nel resto ha integralmente confermato l’impostazione e le statuizioni del primo giudice.

6. Il primo motivo (cfr. pagg. 20-22 del ricorso), il secondo motivo (cfr. pagg. 25-30 del ricorso) e il terzo motivo (cfr. pagg. 31-33 del ricorso) presentano ulteriori profili d’inammissibilita’ per le parti (teste’ richiamate) in cui, in chiave di apparente deduzione di violazione e falsa applicazione di varie norme di diritto (sostanziale o processuale) o di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”, propongono in realta’ una critica di accertamenti fattuali compiuti dalla Corte territoriale, e alla stessa riservati; il che non puo’ trovare ingresso in questa sede di legittimita’.

7. Il primo motivo e’, comunque, infondato per la parte in cui la ricorrente vi si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 2001, articolo 3, comma 1, e dell’articolo 6, comma 2.

7.1. La Corte di merito, infatti, ha anzitutto verificato in base ad accertamento di fatto incensurabile in questa sede che non ricorreva nella specie l’ipotesi di una crisi aziendale, e non ha mancato di considerare che “i lavoratori odierni appellati hanno stipulato con la (OMISSIS) un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, con applicazione del CCNL Cooperative Sociali”.

Ma ha ritenuto che: “La sottoscrizione della clausola regolamentare di cui all’articolo 5 (sopra riportata), diversamente da quanto affermato dalla Cooperativa, non autorizza la stessa alla riduzione unilaterale dell’orario di lavoro associata alla riduzione dello stipendio perche’ si tratta di clausola nulla. Il contratto di lavoro subordinato tiene fermo l’obbligo, per la Cooperativa datrice di lavoro, di garantire ai propri soci lavoratori, l’effettivo svolgimento dell’orario di lavoro pattuito (cioe’, dell’orario full-time), fatta salva l’ipotesi (insussistente nella specie) di oggettive situazioni di crisi aziendale deliberate dall’assemblea, ovvero comunque risultanti da elementi di fatto oggettivi”. Tale conclusione raggiunta dalla Corte d’appello, in base agli accertamenti operati, appare incensurabile in punto di diritto, avendo in precedenza osservato che “la clausola del Regolamento di cui si tratta, in base all’interpretazione datane dalla (OMISSIS), e’ nulla ai sensi della della L. n. 142 del 2001, articolo 6, comma 2” (secondo cui: “Salvo quanto previsto alle lettere d), e) ed f) del comma 1, nonche’ dell’articolo 3, comma 2 bis, il regolamento non puo’ contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto ai trattamenti retributivi ed alle condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali di cui all’articolo 3. Nel caso in cui violi la disposizione di cui al primo periodo la clausola e’ nulla”) (cfr. in extenso pagg. 14-19 della sua sentenza).

Questa Corte di legittimita’, infatti, ha affermato che, in tema di societa’ cooperativa, con l’avvenuta sottoscrizione del contratto associativo il socio lavoratore aderisce alle disposizioni del regolamento interno che sia stato adottato dalla societa’ ai sensi della L. 3 aprile 2001, n. 142, articolo 6, trovando conseguentemente applicazione le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 1, lettera d) ed e) della legge cit., che consentono alla societa’, in caso di crisi aziendale, di deliberare una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi e di prevedere forme di apporto anche economico da parte del socio lavoratore, al solo scopo di superare la difficolta’ economica in cui versa l’impresa. Ne consegue che il principio generale dell’inderogabilita’ in pejus del trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva, puo’ subire eccezioni esclusivamente nel caso di deliberazione del “piano di crisi aziendale”, che deve contenere elementi adeguati e sufficienti tali da esplicitare l’effettivita’ dello stato di crisi aziendale, la temporaneita’ di esso e dei relativi interventi e lo stretto nesso di causalita’ tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilita’ ai soci lavoratori di tali interventi (cosi’ Cass. civ., sez. lav., 28.8.2013, n. 19832).

8. Infondato e’ il secondo motivo per la parte in cui vi si lamenta la violazione e falsa applicazione della normativa di cui al Decreto Legislativo n. 66 del 2003 (ed in particolare del suo articolo 1), avendo considerato il tempo necessario agli attuali resistenti per indossare gli indumenti da lavoro ed effettuare il passaggio di consegne alla stregua di orario di lavoro tenuto conto delle risultanze istruttorie emerse in corso di causa.

8.1. In base, infatti, all’accertamento confermato dai giudici d’appello (cfr. pagg. 1921 dell’impugnata sentenza), appare incensurabile la loro valutazione giuridica del caso, anche in relazione alla disciplina richiamata dall’impugnante.

In particolare, risulta puntuale il richiamo, gia’ operato dal primo giudice, a Cass. civ., sez. lav., 26.1.2016, n. 1352, la quale, in relazione a fattispecie analoga a quella che ci occupa (relativa all’attivita’ di assistenza presso una residenza per anziani, la quale, per sua natura, richiede che la divisa sia necessariamente indossata e tolta, per ragioni di igiene, presso il luogo di lavoro e non altrove), aveva affermato che va computato nell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione della divisa da lavoro ove tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro.

Gia’ in tale decisione di legittimita’ – confermandosi che, se le modalita’ esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, l’operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario dev’essere retribuito -, si era ritenuta coerente tale soluzione con la previsione contenuta nel Decreto Legislativo n. 8 aprile 2003, n. 66, articolo 1, comma 2, lettera a) (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), secondo la quale per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attivita’ o delle sue funzioni”, con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, articolo 2, n. 1).

E tali principi sono stati piu’ di recente confermati, in relazione al medesimo quadro normativo, da Cass. n. 34072/2021.

8.2. Con precipuo riferimento, poi, al “tempo per il passaggio di consegne”, questa Corte ha affermato che, in materia di orario di lavoro nell’ambito dell’attivita’ infermieristica, il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarita’ del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuita’ terapeutica, e’ riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicche’ va considerato, di per se stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignita’ giuridica, della continuita’ assistenziale (cosi’ Cass. civ., sez. lav., 22.11.2017, n. 27799).

Ma il medesimo principio puo’ trovare applicazione nel caso di specie, in cui gli attuali controricorrenti erano tutti soci lavoratori adibiti presso una R.S.A. gestita dalla cooperativa ricorrente. I giudici d’appello, infatti, hanno accertato che per essi il passaggio di consegne “costituisca espletamento di mansione lavorativa giacche’ il cambio di consegne nel passaggio del turno e’ chiaramente connesso alle peculiarita’ del servizio espletato dagli odierni appellati, eccezione fatta per la (OMISSIS) – che e’ adibita a mansioni diverse”.

8.3. La decisione gravata, percio’, e’ conforme a tutti i su riportati principi di diritto.

9. Parimenti infondato e’ il quarto ed ultimo motivo di ricorso, in punto di prescrizione.

9.1. Esattamente la Corte territoriale, in conformita’ anche ad una propria giurisprudenza, ha ritenuto, in merito all’incidenza sul regime della prescrizione delle modifiche alla disciplina dei licenziamenti introdotte dalla L. n. 92 del 2012, che in costanza di rapporto di lavoro la prescrizione dei crediti nella specie azionati dai lavoratori non potesse operare.

Questa Corte di legittimita’, infatti, nell’affrontare ex professo la relativa questione, di recente ha affermato il seguente principio di diritto: “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, cosi’ come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012, e del D.lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non e’ assistito da un regime di stabilita’. Sicche’, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto dell’articolo 2948 c.c., n. 4, e articolo 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro” (cosi’ Cass. civ., sez. lav., sent. 6.9.2022, n. 26246).

10. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con regolamento secondo soccombenza delle spese di lite, liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale n. 147 del 2022.

11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, comma 1 bis dell’articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.




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