12 novembre 2022

DAL BILANCIO ALLE RIFORME. COME TIRARCI FUORI DAL PANTANO. I PIÙ LUNGIMIRANTI, POTREBBERO PORTARE NELLE COMMISSIONI DI MERITO LE PROPOSTE DI RIFORMA PIÙ URGENTI. PERSINO QUELLA DEI LAVORATORI FORESTALI, DI CUI SI PARLA DA TEMPO, È RIMASTA INCOMPIUTA. ANCHE SCHIFANI, HA DELINEATO I TERMINI DI UNA POSSIBILE RIFORMA. GIÀ, MA QUANDO?


Dal sito www.buttanissima.it

Con l'elezione di Galvagno alla presidenza dell'Ars, è ufficialmente iniziata l'era Schifani. I riti da "volemose bene" sono finiti. All'Ars e al governo spetta la ricostruzione

Paolo Mandarà 12 Novembre 2022

L’unico ad essere sfuggito alla recita del ‘primo giorno di scuola’ è stato Anthony Barbagallo, segretario del Pd. Che a un certo punto, nel corso della prima votazione, ha inveito contro il reggente dell’aula (Pippo Laccoto) per aver concesso all’on. Zitelli (Fratelli d’Italia) di strappare la scheda e ripetere le operazioni di voto. “Una cosa mai vista”, ha tuonato. Per il resto, quella di ieri, è stata una giornata senza sussulti, all’insegna del volemose bene. Persino Cateno De Luca, reduce da un ricovero in ospedale, ha riposto le pistole nella fondina. E ha contribuito, secondo voci di corridoio non confermate dal diretto interessato, l’elezione di Gaetano Galvagno sullo scranno più alto. “Speriamo di non perdere tempo”, aveva detto ai cronisti annunciando ‘scheda bianca’.

Il ritorno in Assemblea regionale è stato scandito da un clima bucolico, turbato soltanto dalle uscite di Gianfranco Micciché, al mattino presto, contro Renato Schifani; e dalla spaccatura all’interno delle opposizioni, che per altro non avevano mai sancito un coordinamento comune. Per il resto, siamo di fronte a una sgambata d’allenamento. Condita da interviste e selfie di rito per celebrare il presidente più giovane della storia, nel parlamento più antico di tutti. La luna di miele finirà, o forse è già finita. Da mercoledì, quando il nuovo governo Schifani presterà giuramento, e dato che saranno trascorsi quasi due mesi dall’esito elettorale, non ci sarà più tempo per distrarsi. E tutti coloro che finora hanno citato la solita ‘crisi energetica’ per riempire qualche cartella di giornale, adesso dovranno entrare in azione e provare, con credibilità e competenza, ad affrontare le numerose piaghe di questa Regione. Che può fare ben poco per ridurre le bollette a cittadini e imprese, ma dovrà dimostrare capace in mille altri settori.

Nel vademecum di ieri si citava la questione del Bilancio ammaccato. Sarà questa, in effetti, la prima incombenza di governo e parlamento. Riparare alle critiche (già) mosse dalla Corte dei Conti, che in seicento pagine di relazione ha appurato un miliardo di spesa irregolare. Come? Aspettando il giudizio di parifica, in programma il 3 dicembre prossimo. E poi, adoperandosi per scrivere una Legge di Bilancio e stabilità che provi a rattoppare – potrebbe diventare assai doloroso – i rilievi dei magistrati. Bisognerà gettarsi a capofitto molto prima, però, sui temi di natura finanziaria. Mentre gli uffici lavorano al rendiconto 2021, il governo dovrà presentare all’aula, entro fine anno, le variazioni di bilancio – sperando che non diventi la solita sagra dei contributi a pioggia – e l’autorizzazione all’esercizio provvisorio, in modo da non bloccare la spesa (che sarà in dodicesimi per tutto il periodo transitorio). Poi ci si potrà dedicare al resto.

Qualcuno, ad esempio, potrebbe buttare un occhio agli scandali senza verità, se vorrà davvero rendere un buon servizio al parlamento (oltre che all’opposizione). Qualcuno altro potrebbe inventarsi un modo per riqualificare i carrozzoni regionali, le cosiddette partecipate, che godono di uno status da ‘privilegiate’. O adoperarsi per il completamento e la definitiva chiusura delle procedure di liquidazione coatta delle società partecipate e degli enti in via di dismissione. Altri, i più lungimiranti, potrebbero portare nelle commissioni di merito – una volta che saranno costituite – le proposte di riforma più urgenti. Da trasferire a Sala d’Ercole l’anno prossimo, in modo da approvarle e dare un volto nuovo alla Sicilia. Almeno parzialmente.

Ne servono numerose. E sono tutte figlie dell’inconcludenza della scorsa legislatura. Persino quella dei lavoratori forestali, di cui si parla da tempo, è rimasta incompiuta. L’ex deputato del M5s, Giampiero Trizzino, assieme al già comandante del Corpo Forestale Michele Lonzi, aveva presentato un disegno di legge lo scorso giugno: si trattava di “una proposta legislativa di riforma dell’intero settore” perché “la Sicilia merita un Corpo forestale che sia capace di assolvere alle numerose funzioni previste dalla legge, che non si esauriscono solo alla lotta agli incendi boschivi, ma si estendono al contrasto allo smaltimento illecito dei rifiuti e all’immissione di inquinanti nell’ambiente naturale, al taglio abusivo degli alberi, al bracconaggio od ancora alla speculazione edilizia”. L’idea è rimasta nel cassetto. Anche Schifani, in campagna elettorale, ha delineato i termini di una possibile riforma per “accompagnare alla pensione una quota importante degli attuali 18.000 operai forestali con l’impiego, concordato con lo Stato, in tutto o in parte dei circa 100 milioni annui di disoccupazione agricola erogata ai lavoratori, impegnati in Sicilia”. L’obiettivo, inoltre, “è impiegare a tempo indeterminato la restante parte di operai, anche con l’impiego di fonti di finanziamento opportunamente indirizzate” e “riorganizzare il lavoro forestale, con l’inserimento di competenze legate alle attuali necessità di tutela ambientale – cambiamenti climatici, new green deal, risorse energetiche rinnovabili – e modernizzare i sistemi di gestione del lavoro forestale”. Già, ma quando?

Fra le altre incombenze che lo Stato aveva inserito nell’accordo di finanza pubblica sottoscritto fra l’ex premier Conte e Nello Musumeci a gennaio 2021 – quello che spalmava il disavanzo in dieci anni – c’era anche la riforma dei Consorzi di Bonifica. Il 15 gennaio scorso l’assessore Scilla esultava perché la terza commissione dell’Ars ha “approvato e trasmesso il disegno di legge di riforma dei Consorzi di bonifica. Dopo un lungo iter si è finalmente giunti a questo risultato, atteso da tempo da tutto il mondo agricolo siciliano”. Peccato che della proposta si perdano le tracce quasi subito. L’11 luglio fu Gianfranco Micciché, presidente dell’Assemblea, a dichiararla abortita: “La riforma sui Consorzi di Bonifica, approvata dalle commissioni competenti dell’Ars, così com’è scritta non risolve i problemi degli agricoltori e, per questo, non arriverà a Sala d’Ercole. Così com’è stato esitato, il progetto di riforma non piace ai rappresentanti di categoria, perché non risolve alcuni problemi fondamentali del settore”.

“Se non si supera il commissariamento dei Consorzi – disse Schifani in campagna elettorale – non risolviamo le questioni che stanno più a cuore agli agricoltori”. E ancora: “I consorzi di bonifica in Sicilia bisogna riformarli e metterli in condizione di operare o trovare strutture e soluzioni alternative. Non si può concepire che non arrivi acqua ai nostri campi, in una terra come la nostra con un’agricoltura a cui manca l’acqua, bene essenziale per coltivazioni e produzioni. Abbiamo un patrimonio che dobbiamo mettere a regime con l’acqua”.

Altro tema delicato: i rifiuti. La bocciatura, da parte dei franchi tiratori, dell’articolo 1 della proposta di riforma della governance, determinò (nel novembre ’19) l’ira di Musumeci, con annessa minaccia di non tornare più in aula finché non fosse abolito l’istituto del ‘voto segreto’. La riforma, quella riforma, non ha più visto la luce perché ritenuta una porcheria da maggioranza e opposizione. Nonostante decine e decine di sedute in commissione Ambiente per smussarla. Se ne riparlerà. Assieme, magari, alla questione termovalorizzatori. Con un bando per due impianti (uno in Sicilia orientale, l’altro in quella occidentale) rilanciato in tutti i modi da Musumeci, ma rimasto ingloriosamente a metà. Perché?

Come si dovrà necessariamente riparlare, alla luce della recente sentenza del tribunale di Palermo sull’illegittimità della nomina a capo dipartimento di un dirigente di “terza fascia”, di riforma della pubblica amministrazione. Nell’accordo di finanza del gennaio 2021, si accennava a un intervento legislativo corposo per “eliminare le distinzioni tra la prima e la seconda fascia dei dirigenti di ruolo, superare la terza fascia dirigenziale avente natura transitoria con l’inquadramento nell’istituenda unica fascia dirigenziale, agli esiti di una procedura selettiva per titoli ed esami (…) con espresso divieto a regime di inquadramenti automatici o per mezzo di concorsi riservati per l’accesso alla dirigenza”.  Nessuno, però, ha avuto il coraggio di proporre all’aula una legge all’altezza.

Si è chiacchierato a lungo, e inutilmente, anche di riforma del turismo. Mentre l’ultima tentazione, proveniente da più parti nel centrodestra, è la riforma delle ex province, che superi la Legge Delrio e lo scoglio di Palazzo Chigi e della Corte Costituzionale, e che consenta ai cittadini di esprimersi per ridare rappresentanza (e ossigeno) agli enti d’area vasta. Di lavoro da fare ce n’è a profusione. Stando alle prime impressioni, la volontà non manca. Maggioranza e opposizioni, ognuno nel rispetto del proprio ruolo, sono entrambe fondamentali. Se lo capiranno, qualcosa di buono potrà accadere.





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