Dal sito filodirettomonreale.it
Luigi Gullo 24 Agosto 2022
È cominciato tutto lì, quella sera di ferragosto. Il primo rogo e le successive “riprese”, nei giorni a venire, prevedibili per il forte vento, ma soprattuto “inevitabili”, come ci spiegano gli addetti antincendio. Gli alberi carbonizzati, hanno continuato ad ardere nel sottobosco, e con il forte vento si sono riattizzati.
“Quando non viene fatta da anni la manutenzione, laddove ci sono stati precedenti incendi si crea un sottobosco con tronchi e rami carbonizzati che al prossimo incendio diventano carburante pronto a divampare. E per noi intervenire con le fiamme altissime diventa impossibile”.
È quanto spiega Filippo Noto, della squadra antincendio Casaboli del Corpo Forestale, che ci ha accompagnato nel giro di perlustrazione attraverso il bosco distrutto.
“Quella sera del 15 agosto è avvenuto un disastro ambientale. Erano le 23,15 circa quando è partito il primo incendio nella vallata che costeggia lo scorrimento Palermo-Sciacca. Siamo intervenuti noi della squadra Casaboli e i colleghi della squadra Carpineto. Abbiamo circoscritto l’incendio in un’area di tre ettari. Ma il 16 c’è stata una “ripresa”, l’incendio si è allargato per circa 10 ettari. Poi, giorno 17, quella terribile giornata con temperature di 45/48 gradi, e un forte vento che ha consentito la ripresa delle fiamme. L’area è stata devastata. Il vento ha spinto le fiamme su Giacalone, Poggio San Francesco, pizzo Nespola e infine a Fontana Fredda, devastando circa 200 ettari di territorio boschivo”.
Per alcune aree non c’è possibilità di ricrescita naturale. “Già alcuni anni fa erano state interessate da incendi. Le giovani piante non sono ancora in grado di produrre nuova vegetazione”.
Sono andati a fuoco gli alberelli che erano nati dopo l’incendio del 2012. In quel caso le pigne erano esplose per il forte calore spargendo semi ovunque. Le giovani piante, alte fino a due metri, carbonizzate dall’incendio di questi giorni, non hanno fatto in tempo a generare nuove pigne. Senza un intervento dell’uomo, un rimboschimento significativo, la valle rimarrà una terra desolata.
“La politica dovrebbe impegnarsi a garantire il rimboschimento. Adesso c’è anche il rischio di erosione, bisognerebbe intervenire al più presto. Laddove le piante sono adulte si attende la ricrescita naturale, la legge non consente per 5 anni un intervento dell’uomo. Ed invece io ritengo che bisognerebbe consentire in questo periodo la manutenzione tesa a ripulire il sottobosco dai tronchi bruciati. Se dovesse verificarsi un ulteriore incendio, troverebbe terreno fertile per alimentarsi”.
“La ripresa si verifica in quei terreni dove il nostro intervento diventa difficile perché presentano un sottobosco ricco di vegetazione. Se fosse stata fatta annualmente la manutenzione le fiamme non avrebbero trovato quella miccia che invece gli ha consentito di espandersi velocemente”.
Il giudizio di chi si trova sul fronte del fuoco è molto amaro soprattutto nei confronti della politica. “Ha tagliato negli anni la spesa per la manutenzione ordinaria. Se gli operai fossero stati impiegati già da gennaio, invece che a maggio, si sarebbe potuta fare una valida prevenzione. Pulire, bruciare, piantare dove necessario. La piantumazione, il terrazzamento, le mulattiere, da anni non vengono più fatte. A maggio si fanno i viali parafuoco, che tra l’altro non vengono neanche ultimati”.
Per Noto è un problema sistematico. “Disponiamo di poche unità nelle squadre dell’azienda foreste, con operai over 50, dato che non esiste da decenni un turn over”.
A valle Presti esiste una vasca artificiale che dovrebbe essere utilizzata dagli elicotteri e dalle autobotti per approvvigionarsi d’acqua duranti gli interventi antincendio. Oggi è invasa dalla vegetazione. “Anche qui, per difetto di manutenzione, i nostri mezzi non possono collegarsi alle tubature, mentre gli elicotteri sono ostacolati dagli alberi che sovrastano la vasca.
Negli anni non c’è stato un ricambio generazionale. “Disponiamo di poche unità nelle squadre dell’azienda foreste, con operai over 50. Squadre formate da 2 o 3 operai, insufficienti ad intervenire. È un problema sistemico che riguarda tutto il settore che in passato era invece un’eccellenza”.
E poi i droni, che avrebbero dovuto controllare il territorio. “Qui non li abbiamo mai visti volare”.
Fonte: filodirettomonreale.it
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