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02/02/2021 - di Mario Barresi
Dalla parifica della magistratura contabile verrebbe fuori un altro errore. Ma il governo Musumeci è certo: ddl di bilancio e legge di stabilità entro il 28 febbraio
Nella sua insostenibile leggerezza dell’essere (l’aggettivo qualificativo del “cosa” è un’opzione a piacere), il governo regionale si dice certo di chiudere la partita finanziaria entro il 28 febbraio.
E l’assessore al Bilancio, Gaetano Armao, conferma sui social le indiscrezioni di stampa sul ritiro della giunta, domenica a Pergusa: «Definito il ddl di Bilancio 2021 e impostato il ddl di Stabilità, che saranno approvati definitivamente entro qualche giorno per poi passare all'Ars».
Il calendario che il governo di Nello Musumeci s’è auto-imposto è serrato: un’altra riunione informale oggi, per approvare le due norme giovedì e farle arrivare, dopo le verifiche degli uffici, a Palazzo dei Normanni all’inizio della prossima settimana, magari martedì 9; da quel momento in poi il via alla doppia maratona all’Ars: prima in commissione Bilancio e dopo in aula. Un tour de force quasi titanico, proprio per rispettare quella scadenza - appunto: il 28 febbraio - imposta come clausola nell’accordo con lo Stato, che ha concesso di rateizzare in 10 anni il disavanzo di 1,7 miliardi della Regione.
Buoni propositi. Anche per sfatare il tabù consuetudinario del bilancio provvisorio che in Sicilia si trascina spesso fino alla primavera inoltrata.
Ma c’è un ma. Anzi: più di uno. Il primo è legato alla fattibilità tecnico-giuridica dell’operazione, alla luce del fatto che l’ultimo rendiconto, quello del 2019, è stato letteralmente ritirato dal governo Musumeci dopo la segnalazione di «poste irregolari» da parte della Corte dei conti regionale. In tutto 319,4 milioni che i magistrati contabili hanno scovato in un controllo a campione (66 voci su 8.370, con 13 errori), sui quali il governatore ha chiesto di «accertare le responsabilità in capo ai dirigenti generali ed ai relativi dipartimenti». Dopo la dettagliata relazione della Ragioneria generale, sarebbe il caso di far saltare qualche testa ai vertici della burocrazia regionale. Anche a costo di cercarla nel passato, visto che «in ben due casi» gli «accertamenti irregolari sul piano formale» risalgono al 2016 e al 2017. Entrambi relativi all’assessorato all’Istruzione e Formazione, rispettivamente per 83,8 e 40,2 milioni. Errare è umano, perseverare no. Soprattutto se, sullo sfondo, resta il sospetto che qualcuno abbia “giocato” così a lungo con i residui attivi, nonostante il riaccertamento avvenga ogni anno.
Il governo si dice certo che i rilievi della Corte dei conti «non condizioneranno la tabella di marcia per l’approvazione dei ddl finanziari». Mentre, correttamente, si prende come riferimento il bilancio 2018 (l’ultimo “bollinato”) per fare quei tagli del 5%, «diffusi ma non indiscriminati», che serviranno a far quadrare il preventivo 2021, azzoppato da minori entrate da crisi Covid e obblighi con Roma. Sforbiciate che, ieri in chat molto più che domenica a Pergusa di presenza, scatenano i mal di pancia degli assessori.
Ma il punto non è nemmeno questo. C’è una norma - l’articolo 1, comma 787, della legge 178/2020 - che vieta alla Regione di approvare il nuovo bilancio senza aver ottenuto la parifica. «Si può fare l’assestamento, ma in ogni caso l’avanzo di amministrazione “libero” e quello destinato agli investimenti non possono essere applicati al bilancio di previsione, se non dopo che il rendiconto sia stato parificato ed approvato con legge». Così sostiene Luigi Sunseri, deputato regionale del M5S, una specie di nerd grillino dei bilanci. Ma si dà il caso che la sua opinione è condivisa anche da molti tecnici nei palazzi regionali: «Così non si può fare», il vaticinio appena sussurrato per non urtare varie suscettibilità.
E così non si dovrebbe fare, anche per la tegola che sta per irrompere sui conti della Regione. Un ulteriore disavanzo, di 120-130 milioni, che, apprende La Sicilia da fonti qualificate, sarebbe emerso dal rendiconto 2019. Il che non c’entra con i 319,4 milioni di «irregolarità» sui residui attivi, in cui il deficit creato sarebbe irrilevante. Si tratterebbe di un nuovo disavanzo, riscontrato dai magistrati in sede di parifica, successivo e aggiuntivo rispetto agli 1,7 miliardi accertati nel 2018.
Insomma, i conti non tornano più. Ma, se davvero fosse così, non sarebbe il caso di fermarsi?
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