29 agosto 2020

SICILIA A FUOCO, CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO. SCARSA PREVENZIONE, ISOLA PREDA DI INCURIA E PIROMANI. IN UN’ISOLA DI CIRCA 21 MILA OPERAI FORESTALI. L'UE HA AVVIATO UNA PROCEDURA PER ABUSO DEI CONTRATTI A TERMINE PROPRIO NEI FORESTALI. PER LA RIFORMA SI DOVRÀ ATTENDERE L'1 SETTEMBRE


Dal sito qds.it

Al di qua dello Stretto record di interventi dei vigili: 9 mila dal 15 giugno. Manutenzioni, Comuni in ordine sparso. Cisl: "Alcuni non hanno effettuato neanche lo scerbamento". Zanna (Legambiente Sicilia) contro ritardi e disorganizzazione: "Dalla Regione prevenzione inesistente"
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29 Agosto 2020
di Antonio Leo, Melania Tanteri e Desirée Miranda
Un’altra estate di fiamme sta bruciando l’Isola attraversando (ma non è una novità) persino le riserve naturali, come quella attorno al Lago Soprano, in provincia di Caltanissetta, dove all’inizio di agosto ampie porzioni di vegetazione sono andate in fumo probabilmente a causa di una o più “manine” che si oppongono alla tutela dell’area. Qualche giorno fa un altro vasto incendio ha distrutto i boschi Furma, tra Aidone e Valguarnera Caropepe, nell’ennese. E ancora il fuoco ha devastato diversi ettari in un’altra riserva, quella di Granza nel territorio palermitano di Montemaggiore Belsito.

Si tratta solo di alcuni degli innumerevoli roghi divampati nell’Isola, da Palermo a Catania, dove nelle ultime settimane lo scenario si ripete identico tra animali morti, alberi carbonizzati, oliveti e pascoli inceneriti e fiamme che arrivano a lambire anche le abitazioni, avvelenando l’aria e causando un forte aumento di malattie respiratorie (come è emerso da un recente studio sugli effetti degli incendi pubblicato da Human rights watch).

Nessun’altra regione d’Italia è colpita come la Sicilia: dal 15 giugno ad oggi, stando all’ultimo aggiornamento del Dipartimento nazionale di Protezione civile, i vigili del fuoco sono intervenuti circa 9 mila volte al di qua dello Stretto per spegnere gli incendi boschivi, quasi il doppio delle operazioni effettuate nel Lazio (circa 5.000).

Non c’è un’unica causa, ma di certo sono diversi i “nemici” della biodiversità isolana. Sicuramente il diffondersi dei roghi è favorito dalle alte temperature e dalle scarse piogge degli ultimi mesi, con il termometro che, sottolinea Coldiretti, solo nell’ultimo anno è salito di oltre un grado (+1,01 gradi) rispetto alla media storica, collocando il 2020 al quarto posto tra gli anni più bollenti dal 1800. Un cambiamento climatico che in Sicilia è in fase avanzata, ma rispetto al quale le istituzioni, a tutti i livelli, assistono quasi inerti da decenni. In base al rapporto “CittàClima” di Legambiente, dal 1960 ad oggi, la temperatura è aumentata di 1,65° a Palermo e di 0,99 a Catania. E nel frattempo i dati della protezione civile regionale hanno registrato, negli ultimi quarant’anni, oltre 20 mila incendi e più di 500 mila ettari (cioè 5 mila km quadrati, un quinto dell’intera superficie isolana) percorsi dal fuoco.

Ma la tropicalizzazione del clima non è sufficiente a spiegare un fenomeno che nell’Isola non si è mai riusciti ad arginare. Secondo quanto affermato da Coldiretti, il 60 per cento dei roghi “è di origine dolosa”, ma non va sottovalutata nemmeno la mancanza di una seria programmazione di gestione del territorio, di fatto abbandonato con la chiusura di sempre più aziende agricole. “Nella maggioranza dei boschi italiani – spiega l’associazione dei coltivatori – non si trova più la presenza di un agricoltore che possa gestirli e questo accade in un Paese come l’Italia dove più di un terzo della superficie nazionale è coperta da boschi per un totale di 10,9 milioni di ettari. La corretta manutenzione aiuta a tenere pulito il bosco e ad evitare il rapido propagarsi delle fiamme”.

A tal proposito va ricordato come in altre regioni la gestione del bosco da parte dei privati – lo abbiamo scritto fino alla noia negli ultimi anni – ha portato, oltre a una innegabile tutela del territorio, anche ad attivare quella filiera del legno che rappresenta un settore altamente redditizio e rinnovabile (gli alberi abbattuti vengono subito ripiantati). Basti pensare che in Sicilia (circa 340 mila ettari di bosco, dati Infc) il prelievo del legno si aggiri tra 30 e 40 mila metri cubi all’anno, molto distante dalle realtà italiane con una superficie forestale simile: l’Umbria con 390 mila ettari di bosco sfiora un prelievo di 200 mila ettari l’anno, il quadruplo dell’Isola.

Dall’altro lato il controllo del territorio da parte di Regione e Comuni stenta, come spiega Antonio Sasso, segretario generale della Fns Cisl di Catania (sindacato dei vigili del fuoco, ndr), che fotografa la situazione, quella etnea in particolare, evidenziando come la programmazione non tempestiva di uomini e risorse contribuisca a rendere l’emergenza “ancora più emergenza”. “Gli incendi, come ogni anno, si moltiplicano in estate – afferma -. Non abbiamo una stima precisa rispetto allo scorso anno, in virtù del fatto che ancora la stagione non si è conclusa. Siamo più o meno nell’ordine degli stessi numeri e potremmo operare al meglio avendo a disposizione più squadre”.

Il personale non aumenta con la mole di lavoro, e lo sforzo richiesto ai vigili del fuoco è sempre maggiore. Anche perché il territorio, nella provincia di Catania come nelle altre, è fortemente antropizzato – continua – e si trovano macchie di vegetazione attigue alle abitazioni. Questo comporta l’aumento del pericolo e la necessità di tutelare le case perché i fronti di fuoco sono vasti e violenti”.

Il rappresentante dei vigili punta l’indice soprattutto contro la mancata manutenzione dei terreni liberi, nonostante vi sia una legge che obblighi pubblico e privato alla pulizia: “Ci sono Comuni virtuosi, ma ce ne sono anche tanti che non provvedono neanche allo scerbamento dei terreni. Se si partisse almeno da quelli che, si sa, prendono fuoco tutti gli anni, allora si potrebbe attenuare questo rischio”.

La mano dell’uomo fa tanto, anche se Sasso non intravede particolari interessi. Più che altro disinteresse. “Gli incendi possono essere di origine dolosa ma si verificano spesso per imperizia – afferma. Può capitare che un terreno è incolto e qualcuno dà fuoco per tentare di pulire e invece l’incendio scappa”.

Problema dei problemi è, però, la mancanza di organizzazione nella gestione di uomini e risorse. Ed è paradossale in un’Isola che conta circa 21 mila operai forestali – considerando solo quelli a tempo “determinato”, il “contingente” più corposo: in totale si arriva a oltre 22 mila (da non confondere con il Corpo forestale, le cui unità oscillerebbero tra 500 e 800) -, la metà di quelli presenti in tutta Italia.

Come abbiamo scritto nell’inchiesta di Rosario Battiato dello scorso 13 febbraio 2020 (leggi qui), nella nostra regione ognuno di questi lavoratori precari potrebbe controllare “appena” 17 ettari di vegetazione: un territorio modestissimo se raffrontato a quello che ipoteticamente dovrebbero monitorare gli omologhi della Lombardia (sono solo 373 per 664 mila ettari di superficie forestale).

Invece, spiega ancora il sindacalista della Cisl, accade che le competenze si accavallino tra vigili e Regione. “C’è una legge del 2000 che demanda alle Regioni l’estinzione degli incendi boschivi – afferma ancora Sasso – e la prevenzione è competenza delle stesse. Nello stesso tempo, il corpo nazionale dei vigili del fuoco è preposto all’estinzione di qualsiasi tipo di incendio per cui, dove la Regione non riesce a far fronte negli incendi boschivi, intervengono comunque i vigili. Le convenzioni tra Regione e corpo nazionale potenziano il dispositivo del soccorso per avere squadre in più – continua – ma queste andrebbero siglate prima della stagione estiva, molto prima. È inutile iniziare a parlarne a luglio, già è tardi marzo. Ogni anno, inoltre, diventano sempre meno perché i fondi a disposizione diminuiscono. Tanto che, ancora oggi, i vigili del fuoco di Catania non hanno percepito il 2018-2019 per la Riserva del Simeto e il 2019 per l’Area boschiva regionale. Insomma, si lavora quasi gratis”.

Quello che manca è un coordinamento tra uomini dello Stato e personale regionale. “Come organizzazione sindacale Cisl Fns – conclude Sasso – avevamo proposto di utilizzare gli uomini della Forestale per riuscire ad avere un servizio più efficiente: invece di dedicarsi agli incendi, si potrebbero dedicare alla manutenzione sul territorio, facendo attività di prevenzione attraverso la realizzazione di barriere tagliafuoco, ripulitura, interventi nei boschi per bloccare gli incendi”.

Non è però solo una questione di dove impiegare gli operai forestali, ma anche di “come”. Si tratta di una categoria “ostaggio” delle promesse di una classe politica che li ha relegati nell’eterno precariato tanto che la Commissione europea ha avviato nel luglio 2019 una nuova procedura nei confronti dell’Italia per aver abusato dei contratti a tempo determinato, in particolare proprio nel settore dei forestali. “Un metodo da condannare”, lo ha definito il governatore Nello Musumeci, quando a febbraio – prima che sull’Italia piombasse l’emergenza Covid-19 – aveva annunciato una riforma sistemica del settore entro la primavera. Riforma che per ora ha riguardato solo lo sblocco dei concorsi nel Corpo forestale: per mettere mano all’intero comparto si dovrà attendere il confronto con i sindacati che ripartirà il primo settembre in un tavolo a cui siederanno sia l’assessore all’Agricoltura Edy Bandiera che quello all’Ambiente Toto Cordaro. E intanto un’altra estate di incendi è passata.

IL PRESIDENTE DI LEGAMBIENTE SICILIA ATTACCA I RITARDI E LA DISORGANIZZAZIONE DELLA REGIONE
CATANIA – Gli incendi in Sicilia sono sempre numerosi e la macchia mediterranea che la caratterizza è sempre più a rischio. Ma l’attività di prevenzione si fa davvero? Ne abbiamo parlato con il presidente di Legambiente Sicilia Gianfranco Zanna. Oltre all’analisi dei problemi anche alcune proposte.

Quest’anno si assiste a una nuova impennata di roghi nell’isola, prima in Italia per numero di interventi dei vigili del fuoco (circa 9 mila dal giugno giugno). Quali sono secondo lei le cause principali degli incendi?
“Non si fa prevenzione adeguata. Non possiamo mettere un carabiniere, un forestale o un volontario a ogni angolo di strada, quindi i delinquenti, assassini di futuro e di speranza, incendiano in maniera indiscriminata. Sempre più spesso inoltre lo fanno con il buio perché sanno che gli unici mezzi che la Regione per ora mette in moto sono i canadair e gli elicotteri che nelle ore notturne non possono volare”.

Come giudica l’attività di prevenzione della Regione? Perché secondo lei non ha funzionato?
“Direi che è inesistente. Lo si capisce quando le squadre che dovrebbero fronteggiare gli incendi vengono avviate il 15 di giugno mentre ormai, anche a causa dei cambiamenti climatici, gli incendi, sempre più devastanti, ci sono già da maggio. Un esempio per tutti è l’incendio del 2016 che ha devastato Pantelleria. È stato proprio a maggio. C’è una Regione totalmente disorganizzata nel fronteggiare questa piaga che non è un’emergenza, ma una costante. Se continuiamo ad avere un approccio emergenziale non ne usciremo mai”.

La Sicilia dispone di circa 20 mila operai forestali, un patrimonio che non riesce a sfruttare facendo partire le attività sempre troppo tardi. Cosa propone per migliorare la situazione?
“Intanto speriamo che dall’anno prossimo le squadre antincendio della Regione siano pronte il 15 maggio, perché è grave che gli incendi che scoppiano da maggio a giugno non siano fronteggiati da nessuno. Non esiste l’autocomubustione, ma persone delinquenti, piromani. Occorre inasprire le pene e per questo serve una legge nazionale. Recentemente sono stati fatti dei passi avanti con la legge degli ecoreati, ma è insufficiente. Punirlo severamente potrebbe essere un deterrente. Non è facile prenderli quindi servono droni, cineprese e in generale mettere in campo un sistema che permetta davvero di battersi per fermare gli incendi e fronteggiare i delinquenti. Non solo. Occorre agire nella testa delle persone per bene che sono molti di più dei delinquenti. Dobbiamo partire da loro e dai ragazzini per spiegare il valore che ha il bosco, la macchia mediterranea, in paesaggio. I boschi sono sempre meno perché negli anni gli alberi vanno bruciando e non vengono sostituiti. Noi come Legambiente lo facciamo da tempo, ma siamo pochi e invece è uno sforzo che dovremmo fare e sostenere tutti. Si può, da una parte, isolare chi ‘si diverte’ ad appiccare gli incendi, dall’altra evitare che ci siano situazioni di rischio per tutti, anche in città. Ognuno può fare la sua parte ripulendo anche il davanzale di casa, il viale della propria abitazione. Non si brucia solo il verde, ma un’occasione di sviluppo, per questo sono convinto che se si lavora sul senso civico delle persone avremo meno incendi”.

Fonte: qds.it






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