di Antonino Lomonaco - 15 giugno 2020
Il fuoco lo conosco bene.
Mi piace, lo ammiro nella dinamica dei suoi movimenti.
Vi è, nella sua espansione distruttiva, simile ad un attacco di cavalleria unna che non lascia scampo, molto da imparare, forse più che in ogni altro contesto.
Il fuoco, infatti, ricorda le dinamiche della vita. Anche la vita è, giust’appunto, un fuoco o, a seconda, un incendio.
Così, la mia, è una lotta fra pari, archetipica, cerco di estinguerlo, soffocandolo con le armi che mi ritrovo: flabello, pala, roncola, sudore.
Cerco di fermarlo, prima che il suo impeto arda ogni cosa, divorandola inesorabilmente.
Eppure il fuoco è un elemento portentoso che insegna il rispetto, il confine fra la vita e la morte, creazione e distruzione: da un lato le piante salvate, rigogliose, dall’altro la cenere.
Un confine voluto e delimitato da un solo forte sentimento, senza cui niente di umano sarebbe stato mai possibile: mi riferisco alla fede.
Senza un tale sentimento, capace di spingerci a incidere sulle cose, nessuno avrebbe mai fatto alcunchè, saremmo stati sempre alla mercè della deriva del tempo e degli eventi.
Invece siamo Uomini proprio perchè vogliamo ergerci ad affrontare gli inconvenienti.
Abbiamo una stazione eretta come a dire che non ci pieghiamo, che crediamo, malgrado tutto, di riuscire a combattere, opporci e, forse, infine, superare le avversità che si presentano come vampate di un fuoco antico che arde nell’incomprensibile.
Senza fede, senza credere alla bontà delle proprie azioni, ogni uomo crolla, ogni società si disgrega nella mancanza di senso.
E’ così che l’oblio sommergerebbe ogni sintomo di significato, ogni linguaggio votato a perpetuare la buona volontà del fare.
Succede che la recitazione nel simulare, che usurpa ruoli non confacenti, non creda alla bontà della propria azione, o pensiero, e tale è purtroppo la corruzione che dilaga. Essa è il principio della fine di ogni virtù propriamente virile e della ricchezza capace a incidere e lasciare il segno del significato riconosciuto e coltivato.
Ciò che distingue il calore del fuoco, in modo da favorire la vita, da un incendio che, al contrario, la distrugge disgregandola, è il credere nella possibilità di gestirlo.
Sembrerebbe inverosimile ma l’umanità inizia proprio da questa capacità di gestione del fuoco che continua ancora oggi negli altoforni, nei motori delle macchine... nelle bombe lanciate ai “nemici”.
Solo che il nemico è uno “specchio”, allo stesso modo di chi appicca un incendio, il quale non capisce che, nella reciprocità delle cose, in quel modo sconsiderato danneggia se stesso.
Ma il nemico forse che sia l’oggetto medesimo di un bisogno di credere ad un contrario inverso, da combattere sempre piuttosto che da comprendere.
Così preferisco combattere contro le fiamme degli incendi boschivi, salvare contesti ambientali arborei, arbustivi, dove anche la fauna vive. Preferisco credere di agire a favore di una terra che ci è madre e padre, che ci dona il cibo ed il piacere di vivere ancora.
Preferisco credere nel rispetto dell’alternanza delle cose e che ad ogni dono vi sia sempre un ritorno equivalente, senza sopprusi.
Mi discosto da quell’umanità accecata, mai appagata, sempre in cerca di altro da consumare consumando, in effetti, se stessa ed ogni cosa che le sta intorno, senza scrupolo, nè ritegno.
La stirpe sicula a cui appartengo adorava un dio dal nome ancora per noi significativo, Adrano, ovverosia “montagna di fuoco”.
Lavoriamo per proteggerla questa montagna vulcanica che periodicamente arde ma che rende fertile il terreno che abbiamo sotto i piedi.
Il fuoco ci insegna l’attenzione ed indica la scelta da fare fra la distruzione ed il calore che è, e dà, vita.
Porta a distinguere gli Uomini disposti a credere di riuscire ad affrontare gli eventi da quegli altri che si piegano ad una fede di rinuncia e sottomissione alla misera ovvietà, la quale corrompe e corrode la buona volontà.
Credo nel fuoco che riscalda le passioni e che insegna il limite attraverso cui si onora la possente delicatezza cui siamo, che si dona, ogni volta, nel semplice gesto della lotta.
Poichè siamo faville anche noi di un fuoco amico che, come un cordone sanitario, isola gli incendi distruttivi e li arresta con efficienza inconsueta in una terra più volte sconfitta, piegata a logiche meschine di uomini a metà.
Eppure si tratta di una terra mai davvero spezzata e per cui vale sempre la pena combattere.
Sotto la sua cenere vi è una di dignità inusuale in un mondo sempre più allo sbando.
Credo fermamente al valore inestimabile della mia attività di addetto allo spegnimento incendi boschivi della regione Siciliana: alla seria fierezza dei rischi corsi o che ancora affronterò.
Questo mio orgoglio sa bene che non tutti possono dire altrettanto nei loro ruoli poco amati, poco rispettati: senza alcun fuoco che insegni loro la passione della vita.
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