15 agosto 2019

GAP NORD-SUD, LA FORBICE SI È ROTTA. LO STALLO DELLA CRISI DI GOVERNO FA MALE AL SUD


Dal sito qds.it

Eleonora Fichera - 15 Agosto 2019
Autonomia differenziata, flat tax, infrastrutture: con la crisi del governo Lega-M5s tornano nel cassetto temi cruciali da cui poteva dipendere la rinascita (o la disfatta) del Mezzogiorno. Tra il 2013 e il 2017 il Pil della Sicilia è cresciuto di 1,3 miliardi, quello lombardo di 37

Quella della forbice che si allarga sempre più è l’immagine che ricorre con puntuale insistenza ogni volta che si dibatte del gap tra Nord e Sud d’Italia. Volendo restare nella metafora, potremmo dire che a forza di allargarsi, la forbice alla fine si è rotta: il divario che separa le due Italie appare ormai incolmabile e non è solo un fatto di “percezione” da parte dei cittadini della qualità della sanità, dei servizi della pubblica amministrazione, di benessere economico ma sono anche i numeri a certificare l’abisso.

Il Mezzogiorno continua a non svolgere alcun ruolo rilevante nel contesto internazionale, sotto nessun profilo, eppure il potenziale c’è. Lo sa bene il Presidente della Regione, Nello Musumeci, il quale ha sottolineato in più occasioni la necessità di un Piano Marshall per la Sicilia e per tutto il Mezzogiorno. Sindacati sulla stessa lunghezza d’onda, come anche il Direttore Svimez, Luca Bianchi che in una intervista rilasciata al QdS (leggi qui) ha espresso la sua bocciatura incondizionata nei confronti dell’azione svolta fino ad oggi dal governo nazionale: “Nel corso degli ultimi mesi – ha detto – non ha posto in essere una strategia credibile per il Mezzogiorno. Manca una strategia complessiva che valorizzi le potenzialità del Sud, pensiamo alla Sicilia che ha una dotazione di capitale produttivo naturale e soprattutto un capitale umano su cui si potrebbe costruire una strategia-Paese. Questo non è avvenuto negli ultimi anni e non avviene neanche adesso”.

La crisi del governo Lega-M5s, come se non bastasse, è destinata a tradursi in una lunga fase di stallo (possibile ritorno alle urne in ottobre) che non potrà che peggiorare le già precarie condizioni economiche in cui versa il Sud e, più in particolare, la Sicilia. Non che “il dialogo” con Roma fosse dei migliori, anzi, possiamo dire che quello che c’è stato tra Roma e Palazzo d’Orléans è stato un rapporto “ad alta tensione” e caratterizzato da pochi risultati concreti. Più di una volta il Presidente Musumeci ha perso il suo consueto aplomb, lamentando di non aver trovato nell’attuale governo GialloVerde un interlocutore “disponibile” ad affrontare concretamente le tante emergenze che attanagliano la Sicilia.

Secondo una rilevazione realizzata a livello globale da Ipsos qualche mese fa, solo il 17% degli italiani esprime un giudizio positivo sull’economia italiana. Il che la dice lunga sull’esistenza di un problema più ampio di insoddisfazione generale che investe tutto il nostro Paese. Il Sud, però, indubbiamente è messo peggio.

Tra il 2013 e il 2017, l’Istat certifica che il prodotto interno lordo siciliano è cresciuto di appena 1,3 miliardi, passando da 86,3 a 87,6 miliardi (valori a prezzi correnti). La ricchezza prodotta in Lombardia, invece, nello stesso intervallo di tempo è cresciuta di 37 miliardi. 

E ancora: nel 2017 il Prodotto interno lordo pro-capite siciliano ha superato di poco i 16 mila euro (precisamente si parla di 16.254 euro), contro i 35.732 della Lombardia. Un valore, quello dell’Isola, ben al di sotto della media meridionale (17.320 euro ad abitante) e il secondo dato più contenuto in Italia. Un Pil più basso, infatti, lo troviamo solo in Calabria (15.934 euro per cittadino).

Da ciò l’amara consapevolezza: affossata da assistenzialismo e clientelismo, il Mezzogiorno è sprofondato sempre di più nell’abisso della povertà e della desertificazione. In oltre trent’anni nessun governo, di nessun colore politico, ha fatto al Sud investimenti importanti sulla mobilità, sull’occupazione, sulla qualità della spesa pubblica. E, a proposito di investimenti, è importante ricordare che abbiamo ancora un livello di investimenti pubblici pro-capite al Sud che è al di sotto di quella soglia del 34% che rappresenta il livello di popolazione del Sud. Come specificato al QdS dallo stesso Bianchi: “Abbiamo un investimento pro-capite addirittura più basso di quello che si registra nelle altre aree del Paese quando invece la riduzione dei divari, soprattutto di quello infrastrutturale, richiederebbe una politica più specifica per il Mezzogiorno”.
Così, non si va da nessuna parte. (pp)

FLAT TAX
Così com’è stata concepita danneggia la Sicilia 
Flat tax sì – Flat tax no: in 17 mesi il Governo giallo-verde non è riuscito a trovare una riposta. Tra le mille polemiche che hanno accompagnato la riflessione sulla misura economica cavallo di battaglia di Matteo Salvini, l’ipotesi sostenuta da più parti è che la tanto agognata Tassa piatta (almeno per come è stata ad oggi concepita) possa contribuire ad accrescere il divario economico tra Nord e Sud del Paese. A lanciare l’allarme, l’ufficio studio della Uil, secondo il quale la tassa piatta avrà un impatto negativo sui redditi più bassi. “Con 13.490 euro di reddito disponibile – ha calcolato l’ufficio studi coordinato da Domenico Proietti – ci saranno 136 euro di tasse al mese in più, con 22.830 euro annui, invece, +76 euro al mese. L’introduzione di una flat tax al 15% per redditi familiari fino a 55.000 euro, generebbe un effetto negativo sui redditi fino a 26.600 euro lordi all’anno: una flat tax generalizzata, infatti, che superi tutte le attuali deduzioni e detrazioni è fortemente penalizzante per i redditi più bassi. Il rischio, è che ci siano figli e figliastri”. La Sicilia, è la regione in cui il reddito a disposizione delle famiglie è tra i più bassi del Paese. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dalla Banca d’Italia nel rapporto “Economie regionali – l’economia della Sicilia”, infatti, nel 2017 il reddito a disposizione della famiglie isolane è stato di 13.266 euro, fascia che risulterebbe tra le più svantaggiate con l’introduzione dalla Flat tax. Ma non è tutto. Con l’accantonamento (almeno momentaneo) della misura a seguito della crisi di Governo, potrebbero aprirsi scenari ancor più catastrofici. Il rischio, infatti, è quello di un vertiginoso aumento dell’Iva con preoccupanti ripercussioni su tutto il tessuto economico. “L’aumento dell’Iva – ha dichiarato a tal proposito la presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise – in questo momento, lo abbiamo detto in tutte le salse, produrrebbe un’ulteriore frenata dei consumi che sappiamo hanno un’influenza sul Pil, perché il 60% del Pil è fatto dai consumi”. A subire maggiormente la catena di conseguenze che ne deriveranno, saranno, ancora una volta le regioni con reddito e Pil più bassi, Sicilia in primis.

AUTONOMIA
Senza meccanismi perequativi, sarà disastro 
A tornare in stand by con l’avvio della crisi di governo, anche l’eterno dibattito sull’Autonomia differenziata. Da un lato le richieste avanzate dal “ricco Nord” che, forte di buone pratiche e gestione efficiente, chiede più risorse e competenze. Dall’altro il pessimo esempio del “povero Sud”, del quale la Sicilia è il simbolo per eccellenza. Lo Statuto speciale, usato come scudo dai governi di turno per difendere i privilegi, non ha fatto altro che rendere la nostra regione povera tra le più povere. Con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che chiedono di cambiare registro, la situazione potrebbe addirittura aggravarsi.
L’allarme, lanciato da più fronti, è che, senza i giusti accorgimenti, l’Autonomia differenziata, finirebbe per trasferire più risorse al Nord, rendendo di conseguenza il Sud sempre più povero. Perplessità di cui si è fatta portavoce la Corte dei Conti durante l’ultima audizione in Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. Nel documento depositato in audizione, la Corte sottolinea che senza la previsione di un fondi di perequazione, l’autonomia differenziata, così come è stata concepita, risulterebbe contraria alla Costituzione. “L’art. 116, comma 3 – sottolineano i tecnici – nel prevedere che le forme di autonomia rafforzata debbano essere coerenti con i principi dell’art. 119 della Costituzione […] non sembra consentire una diversa modalità di finanziamento delle materie aggiuntive né la loro sottrazione al meccanismo di perequazione interregionale”. 
Condizioni necessarie, secondo la Corte, sono l’individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni e dei diritti sociali e civili da garantire in maniera uniforme a tutti i cittadini, da Nord a Sud. “Imprescindibile – si legge ancora nel documento – è il richiamo al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, il cui effettivo rispetto comporta che, almeno per le prestazioni essenziali, ai cittadini siano garantite su tutto il territorio nazionale pari condizioni in termini di accesso, qualità e costi”. 
Quando il tema Autonomia tornerà tra i tavoli del Governo (è difficile immaginare che le tre Regioni capofila si arrenderanno facilmente), non si potrà prescindere da queste considerazioni.

INFRASTRUTTURE
Catania-Ragusa attesa da 32 anni
Priva di infrastrutture adeguate, la Sicilia resta inevitabilmente indietro anche sul fronte “grandi opere”. Tra mille disastri, però, qualcosa sembrava si stesse muovendo sul fronte della realizzazione dell’autostrada Catania-Ragusa, attesa da 32 lunghi anni. Il Cipe ha dato il via libera all’accordo che permetterà l’avvio dei lavori necessari al completamento dell’arteria. “Ho ringraziato Conte – aveva commentato il presidente Musumeci – per aver mantenuto l’impegno con la Sicilia e riconfermato la volontà della Regione di sostenere la Catania-Ragusa con i 217 milioni già programmati e con la disponibilità ad aumentare lo stanziamento, se serve”. 
Per avere contezza concreta di quante e quali risorse metterà in campo lo Stato, però, l’appuntamento era stato fissato al prossimo 5 settembre, data in cui era attesa la delibera del Cipe ma la crisi del governo Lega-M5s adesso pone inevitabilmente degli interrogativi sul futuro dell’opera.

Fonte: qds.it






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