L'EDITORIALE DEL DIRETTORE RESPONSABILE
di Alberto Samonà - 15 Aprile 2019
La pubblicazione, avvenuta la scorsa settimana ad opera de Il Sole 24 Ore della classifica di gradimento dei governatori regionali che vede il presidente della Regione Siciliana ultimo, dovrebbe indurre qualcosa in più rispetto a ciò che – almeno visibilmente – ha prodotto fino ad ora.Nei giorni scorsi si è assistito a ripetute dichiarazioni del presidente Nello Musumeci, che, però, sono sembrate più come il segno di una sua insofferenza personale e politica che non le linee programmatiche di un’azione di governo. Su tutte, la frase che desta più perplessità è quella, apparentemente inappellabile e conclusiva, che sembra non dare alcuna speranza sul futuro della politica, specie in una terra complessa come la Sicilia: “A fine mandato non mi ricandiderò – aveva detto Musumeci – Sono un presidente fuori moda, abituato ad altre regole, ma siccome voglio guardare in faccia le persone ed essere a posto con la mia coscienza non cambio, sono convinto che tra un paio d’anni quello che stiamo seminando emergerà. Questa è la stagione dell’odio in cui il tuo avversario diventa nemico e questa non è la mia cultura e neanche quella di alcuni rappresentanti della sinistra che si sono formati nelle stesse palestre e ambienti”.
Parole che hanno un sapore amaro, soprattutto per chi conosce bene la coerenza di Musumeci e il suo essere sempre stato un uomo politico corretto e dai fermi riferimenti etici e culturali, con una visione fortemente istituzionale del proprio ruolo. Quella stessa visione che, fin dal primo momento del suo mandato alla presidenza della Regione, gli fece dire che sarebbero stati necessari alcuni anni per porre rimedio ai disastri dei suoi predecessori. Tutto questo è storia ed è bene non dimenticarlo, ma se si guarda all’oggi si ha l’impressione di un presidente quasi vinto dallo scoramento per una situazione difficile da mutare, vittima – suo malgrado – degli umori di una non maggioranza parlamentare che in più di un’occasione ha mostrato tutta la propria debolezza e incoerenza. Il tutto mentre – eccezion fatta per la campagna antivitalizi – l’opposizione 5 stelle non sembra brillare per azione di contrasto al governo, mentre quella Pd non è pervenuta.
Non sappiamo a chi fossero rivolte quelle parole cariche di amarezza, se ai suoi fedelissimi, se a se stesso, se a tutti i Siciliani, oppure ai colleghi parlamentari “di maggioranza” (ammesso che all’Ars ve ne sia una). Quel che vorremmo aggiungere è che a nostro parere Nello Musumeci – che ha ancora davanti a sé tre anni e mezzo di mandato presidenziale – dovrebbe mutare atteggiamento e non offrire un segnale di scoramento, di chi cioè appare vinto dagli accadimenti, che non fa bene a nessuno e apre al baratro di una Sicilia irredimibile di sciasciana memoria e senza speranza: e non ci si può nemmeno arrendere alla considerazione che viviamo in una terra “buttanissima” per dirla con Pietrangelo Buttafuoco, che gioca a lamentarsi ma poi continua a vendere se stessa per tirare avanti. La soluzione, poi, non può certo essere il pannicello caldo dell’affidarsi a strateghi della comunicazione o assumere più giornalisti nel proprio ufficio stampa.
A nostro parere, invece, per Nello Musumeci è giunto il momento di battere i pugni sul tavolo, rivendicando un “progetto di futuro” e quella autonomia d’azione politica che un governatore eletto direttamente dai cittadini deve necessariamente avere. Autonomia, in primis proprio rispetto alle forze politiche che lo sostengono, sempre pronte nel cercare di imbrigliare l’azione di governo nelle trame degli accordi di palazzo o suggerire (se non provare ad imporre) i nomi dei propri fedelissimi per occupare questa o quella poltrona di sottogoverno: cosa che si continua a verificare con uomini provenienti dalle stantie paludi del lombardismo e del crocettismo per nulla disposti a mollare la presa e perciò convertiti a questo centrodestra in salsa sicula.
Ecco, tutto questo è proprio ciò di cui i cittadini siciliani non hanno bisogno, perchè puzza tanto di vecchia politica e Musumeci sa fin troppo bene che la sua elezione è stata, invece, voluta dai Siciliani proprio per dare un segnale di discontinuità con quel passato, rispetto al quale lui – il fondatore di Diventerà Bellissima – non ha alcun debito, né tanto meno affinità culturali o eredità politiche.
Discontinuità con il passato che il presidente Musumeci deve pretendere dai propri assessori, da se stesso e dalle forze parlamentari di centrodestra, altrimenti sarà sempre la solita musica a cui i Siciliani sono fin troppo abituati e difficilmente ci si potrà poi lamentare se da una parte aumenta la percentuale dei critici e dei delusi e dall’altra quella di coloro pronti a bussare alla porta del governatore col piattino in mano, per chiedere ogni genere di favore o privilegio. Se non si dà un segnale chiaro e netto, il rischio è che trionfi l’autoreferenzialità da un lato e l’immobilismo dall’altro.
Vero è che – come dice lo stesso Musumeci – che “occorre decidere tutti insieme come andrà a finire: basta pensare, e chiedere, cosa fa la Regione per noi. Ogni tanto chiediamoci cosa faccio io per la Regione, per il mio Comune, per la Provincia” (sono parole sue). Eppure, è altrettanto vero che la Regione Siciliana ha strumenti formidabili che – come egli stesso sa bene per aver condotto importanti battaglie parlamentari su questi temi – nei decenni sono stati sottoutilizzati o asserviti a logiche clientelari che ne hanno depotenziato, se non annichilito, gli effetti. Per non parlare di quella classe di dirigenti e colletti bianchi che spesso poi, nel caso concreto, rallentano a ritmi di lumaca l’azione di governo, imbrigliandola nelle farraginose maglie della più odiosa, e a volte connivente, burocrazia.
Rispetto a tutto questo, l’alternativa non può essere la “minaccia-promessa” di non ricandidarsi – che è semmai segno di lettura depressiva dell’esistente e pessimo segnale per il futuro – ma le strade possibili sono due: o l’ammissione dell’impossibiltà di cambiare una situazione oramai incancrenita da troppi egoismi di parte e le conseguenti dimissioni da presidente della Regione, oppure un deciso cambio di passo, soprattutto nei rapporti interni con le forze politiche che lo sostengono e dunque, nell’azione di governo.
Di certo, per il bene della Sicilia, è di gran lunga preferibile questa seconda opzione, perchè la nostra terra non può più attendere e perchè Nello Musumeci – per la sua storia sempre rivendicata con orgoglio – può rappresentare ancora con forza quella discontinuità che nasce da una visione etica della politica, della pubblica amministrazione e della vita.
Fonte: www.ilsicilia.it
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