di Rosario Battiato
La strage di Casteldaccia ha responsabilità precise, ma qualcuno ne risponderà? Nell’Isola tra 2009 e 2016 è piovuto oltre mezzo miliardo: solo la metà è stato speso. Abusi edilizi: su quasi 7 mila ordinanze di demolizione, solo mille eseguite
Abusivismo e mancate demolizioni
Tra il 2004, anno successivo all’ultimo condono edilizio, e il 2018, sono state, nella sola Sicilia, definite 6.637 ordinanze di demolizione, ma soltanto poco più di un migliaio risultano eseguite (1.089). Numeri ufficiali che arrivano dagli enti locali siciliani chiamati in causa da Legambiente nel rapporto “Abbatti l’abuso”, che mappa i numeri delle ordinanze di demolizione nei comuni di tutta Italia che hanno raggiunto quota 71.450 (coinvolto il 22,6% dei comuni nazionali).
In Sicilia, considerando questa stima non esaustiva, si trova il 9,2% del totale delle ordinanze emesse a livello nazionale, ma il dato relativo alle demolizioni è inferiore di tre punti percentuali rispetto a quella italiana (19,6% delle ordinanze eseguite).
Tra le ordinanze da eseguire, a livello regionale, ce ne sono ancora 5.548 e tra queste ci sono 887 immobili, pari a poco meno del 16% del totale, che hanno visto la formalizzazione dell’acquisizione da parte dei comuni siciliani.
Più veloce delle demolizioni corre l’abusivismo
Nel 2016, secondo dati Istat, in Sicilia l’indice di abusivismo edilizio (costruzioni abusive per 100 costruzioni a uso residenziale autorizzate dai Comuni) ha toccato il dato record di 57,7, quasi quaranta punti in più della media nazionale che sfiora il 20 e di un dato relativo al Nord che si è assestato a 6,4.
I numeri del rischio
Un monitoraggio del dipartimento dell’Ambiente ha mappato le tre fasce più elevate del dissesto geomorfologico (da medio a molto elevato) che coinvolgono più dell’80% dei comuni isolani. Si tratta di singole aree e non dell’intera superficie, ma i numeri sono comunque clamorosamente elevati: ci sono più di 25 mila aree a rischio per la tipologia geormorfologica e quasi 5 mila per l’idraulica.
Su queste superficie ci sono realtà che hanno nomi e cognomi: il rischio idraulico abbraccia oltre 150 scuole, più di 170 beni culturali e circa 80 mila persone mentre i cinque livelli di rischio della pericolosità da frana incombono su oltre 5 mila imprese, 662 beni culturali e circa 100 mila persone.
Non manca il pericolo viabilità
Un report del Dipartimento regionale della Protezione civile ha realizzato il censimento dei “nodi”, cioè le “intersezioni tra viabilità e corsi d’acqua” che registrano “qualsivoglia situazione per la quale sia temibile una situazione di potenziale rischio relativa all’interferenza tra acque superficiali ed elementi antropici”. In Sicilia ce ne sono circa 13 mila, tra cui ben 12 mila considerati a rischio potenziale.
La manutenzione che non c’è
Sono stati appena 48 (il 13% dei comuni a rischio dell’Isola) a rispondere al questionario dell’ultimo Ecosistema rischio di Legambiente. Dati che confermano i pesanti ritardi sul fronte della manutenzione. Nell’ultimo anno soltanto un comune su tre di quelli intervistati ha effettuato la manutenzione ordinaria (31,3%), mentre sono stati 31 (64,6%) ad attivare opere di mitigazione del rischio. Nessuno ha effettuato il tombamento dei corsi d’acqua e soltanto due hanno dichiarato di aver compiuto la delocalizzazione di abitazioni, nessuno quello di fabbricati industriali. Ritardi anche sul fronte dei piani di emergenza: soltanto un comune su due, cioè 190 su 390, ce l’ha aggiornato.
Fondi non spesi
Sul fronte del dissesto, l’annuario dei dati ambientali dell’Ispra ha registrato, tra il 2009 e il 2016, poco più del 50% degli interventi conclusi, contro il 70% della media nazionale. Dei 650 milioni stanziati, soltanto 300 spesi per progetti finiti, a fronte di una richiesta ben più sostanziosa, infatti nel database del ministero le amministrazioni isolane hanno inserito progetti in istruttoria per 1,8 miliardi di euro.
Lo studio realizzato dall’Agenzia ministeriale fa riferimento a cinque tronconi principali di finanziamento: interventi, programmi e piani 1999-2008 ex dl 180/98; altre tipologie (om 3073/00); interventi accordi di programma mattm-regioni 2010-2011 e integrativi; interventi piano stralcio aree metropolitane (dpcm 15/09/2015) o piano nazionale 2015-2020; ddcle, interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici (2016).
Andando nel dettaglio, nell’Isola ci sono stati 400 interventi finanziati (circa il 10% del dato nazionale), per un importo complessivo da oltre mezzo miliardo di euro (650 milioni, per l’esattezza), ma soltanto 248 sono risultati conclusi, quindi circa il 56% del totale, a fronte di una media nazionale pari al 72% del totale: in Lombardia ben 441 interventi su 492 sono stati conclusi, in Piemonte 329 su 449, in Emilia-Romagna 269 su 319.
Le conseguenze
In quindici anni, tra il 2000 e il 2015, secondo i dati contenuti nel “rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia e ricadute nel sistema di protezione civile”, il dissesto ha fatto registrare 168 eventi, 58 morti e danni per poco meno di 4 miliardi di euro. Numeri che vanno tristemente aggiornati con le vittime dei giorni scorsi.
Responsabilità: tutti contro tutti
Le tragedie moltiplicano responsabilità e responsabili, annegando tutto in un mare di niente. Per il governatore Musumeci, che ha parlato al CorSera, “sono decenni che gli alvei dei fiumi dei torrenti non vengono puliti” e “chi doveva farlo non lo ha fatto con l’aggravante di avere tollerato che proprio nei pressi o sugli alvei di quei fiumi i privati costruissero le case di villeggiatura”. Nel mirino del governatore ci sono “tutte le istituzioni: dalla Regione alle Province, ai Comuni”.
Per il ministro Costa, secondo quanto riferito al Messaggero, come governo “stiamo agendo su due fronti: quello emergenziale, perché bisogna dare delle risposte immediate ai cittadini in difficoltà, e quello strutturale, avviando un piano contro il dissesto idrogeologico che renda il Paese più sicuro” in quanto “il contrasto del dissesto idrogeologico previene le catastrofi a patto che tutti gli attori di tutela del territorio lavorino all’ unisono” e in questo senso “lo Stato mette a disposizione i fondi e finanzia i progetti, ma chi esercita le attività di progettazione e realizzazione delle opere sono le Regioni con le Province e i Comuni”. A disposizione ci sono 6 miliardi su base triennale.
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Nessuno stop dal Tar di Palermo
“A Casteldaccia si poteva demolire”
ROMA - L’Ufficio stampa del Consiglio di Stato e della Giustizia amministrativa precisa in una nota che “il Tar Sicilia - Palermo non ha mai sospeso l’ordinanza di demolizione del sindaco dell’immobile sito in contrada Cavallaro a Casteldaccia travolto dall’esondazione del fiume Milicia (decreto n. 1602 del 2011). Né può sostenersi che la semplice presentazione di ricorso sia di per sé sufficiente a bloccare l’efficacia dell’ordine di demolizione”.
In ogni caso, spiega la nota, “nel 2011 il giudizio al Tar si è concluso e l’ordinanza di demolizione del sindaco non è stata annullata; né il Comune si è mai costituito in giudizio. Quindi, in questi anni l’ordinanza di demolizione poteva - e doveva - essere eseguita. Ogni altra ricostruzione dei fatti, in merito a questa tragedia in cui hanno perso la vita 9 persone, è falsa e volta a delegittimare l’Istituzione della giustizia amministrativa”.
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Il ministro Costa: “Serve una norma che renda gli abbattimenti più veloci”
MILANO - “È un problema grosso che abbiamo in Italia, quello dell’abusivismo edilizio, che ha una storia antichissima”. Lo ha detto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. “Ho costituito un gruppo di lavoro fatto da magistrati, forze dell’ordine e giuristi per studiare e proporre al Parlamento e al Governo una norma più veloce per gli abbattimenti perché dobbiamo tutelare il bene collettivo”, ha aggiunto.
In particolare, per quanto riguarda il caso in Sicilia, “il procuratore della Repubblica ha rappresentato che quella casa era abusiva e questo fa riflettere: se una casa è in un luogo in cui non si può costruire non è per un vincolo apodittico, per il gusto di metterlo, ma quel vincolo serve a tutelare quelle persone che, ahimè, non ci sono più e per tutelare il bene collettivo”, ha poi aggiunto il ministro. “Ci sarà un motivo per cui si dice ‘no’ in alcuni casi, quindi se qualcuno malgrado il ‘no’ tende comunque a costruire ci deve essere una norma più veloce e speditiva, garantista per tutti i cittadini e per il bene collettivo che quella casa poi non rimanga imperitura per anni”.
Sulle risorse per fronteggiare i danni, il ministro ha parlato di un “piano pluriennale”, in base al quale ogni tre anni verranno stanziati “900 milioni di euro”.
Il problema, però, non sono le risorse quanto la mancanza dei progetti da parte degli enti locali. “In questo momento i fondi che diamo – ha precisato Costa - sono collegati alle progettazioni che ci sono. Quindi se mancano i progetti e prendo altri soldi dal bilancio dello Stato o dalla Bei, sono sempre soldi presi in prestito, dunque su cui si pagano gli interessi. Prenderli se non ci sono i progetti non ha molto senso”, ha concluso il ministro.
06 novembre 2018 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: www.qds.it
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