16 Novembre 2018
In base al principio di libertà sindacale, il lavoratore e l’azienda sono liberi di decidere se applicare o meno un contratto collettivo al proprio rapporto di lavoro.
Sentiamo spesso parlare di contratti collettivi di lavoro, di trattative per rinnovarli, di aumenti contrattuali legati ai contratti collettivi. Tuttavia, per i non addetti ai lavori, la parola contratto collettivo evoca, nella maggior parte dei casi, molta confusione. Non si capisce bene cosa siano, chi li approva, se siano vincolanti o meno. In particolare in molto si chiedono: a chi si applica il contratto collettivo?
Indice
1 Cos’è il contratto collettivo?
2 Cosa prevedono i contratti collettivi di lavoro?
3 A chi si applica il contratto collettivo?
Cos’è il contratto collettivo?
Il contratto collettivo di lavoro non è altro che un normale contratto di diritto privato. La particolarità è che a sottoscrivere il contratto collettivo di lavoro sono le parti sociali, ossia, da un lato le organizzazioni sindacali che rappresentano collettivamente gli interessi dei lavoratori e, dall’altro lato, le associazioni datoriali ovvero le organizzazioni che rappresentano collettivamente gli interessi delle aziende. I contratti collettivi sono, essenzialmente, di tre tipi:
- gli accordi interconfederali: sono gli accordi collettivi firmati dalle organizzazioni sindacali con le associazioni delle imprese. Questi accordi valgono per tutte le imprese ed i lavoratori che sono iscritti alle relative associazioni e non sono limitati a singoli comparti o settori. Per essere più chiari, a differenza dei contratti collettivi di settore, che riguardano uno specifico comparto (come, ad esempio, il comparto chimico, quello metalmeccanico, quello farmaceutico, etc.), gli accordi interconfederali sono firmati direttamente dalle organizzazioni sindacali (e non dalle federazioni di categoria) Cgil, Cisl, Uil, etc. e dalle associazioni datoriali (e non dalle relative associazioni di categoria) Confindustria, Confcommercio, Legacoop, etc. Questi accordi si occupano delle regole del gioco, dei diritti sindacali, delle norme sulla rappresentanza delle organizzazioni e hanno un contenuto maggiormente “politico” e programmatico;
- i contratti collettivi nazionali di lavoro: questi contratti, al contrario degli accordi interconfederali, riguardano specifici settori e comparti (come, ad esempio, il comparto chimico, quello metalmeccanico, quello farmaceutico, quello del commercio, etc.) e sono sottoscritti dalle federazioni dei sindacati e delle associazioni datoriali dello specifico comparto. Ad esempio, il contratto collettivo del commercio non è firmato da Cgil, Cisl, Uil ma dalle relative federazioni di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs;
- i contratti aziendali: questi contratti riguardano questioni legate alla singola azienda in cui vengono sottoscritti. Vengono firmati dalle rappresentanze sindacali presenti in azienda e dall’azienda stessa (di solito rappresentata dal Direttore del Personale) e si occupano di questioni strettamente aziendali come, ad esempio, l’organizzazione dell’orario di lavoro in azienda, l’erogazione di un premio di risultato legato al raggiungimento di determinati risultati, l’attribuzione dei buoni pasto, la banca ore, etc.
Nell’ambito dei contratti aziendali ci sono, poi, dei contratti collettivi con cui azienda e sindacati gestiscono situazioni particolari, di solito legate alla crisi dell’azienda.
Si pensi agli accordi sindacali che possono essere sottoscritti nell’ambito di una procedura di riduzione del personale [1] oppure ai contratti aziendali con cui azienda e sindacati avviano l’utilizzo della Cassa Integrazione o del contratto d solidarietà [2] o ancora agli accordi sindacali che vengono stipulati in occasione di un trasferimento di azienda o di un ramo d’azienda [3]. Questi accordi aziendali sono chiamati contratti gestionali e, di solito, è la legge stessa a prevedere la possibilità che in queste procedure di riorganizzazione, le parti sociali stipulino degli specifici accordi.
Cosa prevedono i contratti collettivi di lavoro?
Nella gran parte dei casi quando si parla di contratti collettivi di lavoro ci si riferisce ai contratti collettivi nazionali di lavoro, ossia alla seconda tipologia di contratti collettivi di cui abbiamo parlato. Sono questi contratti, infatti, a stabilire i diritti e i doveri dei dipendenti di un determinato settore. Il contratto collettivo nazionale di lavoro viene, infatti, di solito applicato al rapporto di lavoro del singolo lavoratore ed è dunque la fonte a cui bisogna guardare per capire quali diritti e quali doveri sono attribuiti al dipendente.
Per fare un esempio concreto, se un dipendente opera nel settore dell’industria metalmeccanica, dovrà consultare il contratto collettivo nazionale di lavoro dell’industria metalmeccanica per essere pienamente cosciente dei suoi diritti e dei suoi doveri. Se, infatti, è vero che la gran parte dei diritti che spettano ai lavoratori subordinati sono stabiliti direttamente dalla legge è anche vero che molti altri diritti sono invece frutto del contratto collettivo di lavoro. Ciò in quanto il contratto collettivo di lavoro può prevedere solo trattamenti migliorativi per il dipendente rispetto alla legge e non anche trattamenti peggiorativi (principio della inderogabilità in peius della legge).
Se, ad esempio, la legge prevede che il lavoratore abbia diritto ad un numero di giorni di ferie pari a 28 giornate annue, il contratto collettivo non potrebbe prevedere un numero di ferie pari a 25 giornate. Potrebbe, invece, prevedere un numero maggiore, pari ad esempio a 35 giorni di ferie. Molti diritti dei dipendenti trovano come loro unica fonte il contratto collettivo di lavoro.
In particolare (tra i tanti):
tredicesima e quattordicesima mensilità: il diritto del dipendente a queste mensilità ulteriori di retribuzione non spetta per legge ma solo se previsto dal contratto collettivo di lavoro;
pagamento dei primi tre giorni di malattia: non tutti lo sanno ma l’Inps eroga l’indennità di malattia solo dal 4° giorno di malattia in poi. I primi tre giorni (cosiddetto periodo di carenza) spettano al dipendente solo se lo prevede il contratto collettivo di lavoro;
elemento di garanzia retributiva: alcuni contratti collettivi prevedono l’erogazione di una somma di denaro a quei dipendenti che non percepiscono, in azienda, un premio produzione.
Inoltre, spesso nei contratti collettivi sono previste le regole disciplinari che il dipendente deve seguire e le sanzioni che possono scattare in caso di mancato rispetto delle regole.
I contratti collettivi, inoltre, stabiliscono, come richiesto dalla legge [4] per quanto tempo il lavoratore malato ha diritto alla conservazione del posto di lavoro (cosiddetto periodo di comporto). Sono sempre i contratti collettivi a stabilire per quanto tempo può durare al massimo il periodo di prova, qualora al contratto di lavoro venga apposto il cosiddetto patto di prova.
È dunque evidente che nessun dipendente può essere perfettamente consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri se non consulta il contratto collettivo di lavoro del suo settore. Ai contratti collettivi, infine, è attribuita, ed è questa la più importante funzione, la facoltà di stabilire la retribuzione spettante ai dipendenti. Si tratta dei cosiddetti minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi i quali prevedono, nel proprio settore di riferimento, lo stipendio minimo che spetta al dipendente in base al suo livello di inquadramento.
È proprio per questo che il rinnovo dei contratti collettivi è sempre un evento molto atteso. Venuto meno qualsiasi meccanismo che adegua gli stipendi all’aumento del costo della vita, infatti, è solo il rinnovo dei contratti collettivi a poter far sperare ai dipendenti in un aumento del proprio stipendio.
A chi si applica il contratto collettivo?
Considerata l’importanza dei contratti collettivi verrebbe da pensare, in modo abbastanza logico, che i contratti collettivi si applicano a tutti i dipendenti che operano nel comparto o settore a cui il contratto si riferisce. Non è affatto così. La nostra Costituzione prevedeva un meccanismo [5] attraverso il quale i sindacati, registrandosi in appositi uffici pubblici, avrebbero potuto stipulare contratti collettivi applicabili a tutti i dipendenti, indipendentemente dall’iscrizione del singolo dipendente o della singola azienda all’associazione sindacale o datoriale firmataria. Questo meccanismo, però, non è mai stato attuato.
I contratti collettivi restano dunque contratti di diritto privato che, in base alle regole generali, non potrebbero applicarsi al di fuori dei soggetti firmatari. Sulla base di queste premesse è possibile affermare che i contratti collettivi di lavoro si applicano:
- ai lavoratori che aderiscono alle organizzazioni sindacale firmatarie dei contratti collettivi;
- alle aziende che aderiscono alle associazioni datoriali firmatarie dei contratti collettivi;
- al di là dell’adesione alle organizzazioni firmatarie, quando azienda e lavoratore, nel contratto individuale di lavoro, dichiarano di applicare al rapporto di lavoro un certo contratto collettivo;
- al di là dell’adesione alle organizzazioni firmatarie o del richiamo nel contratto quando, per prassi, viene data applicazione ad un determinato contratto collettivo di lavoro.
Il principio di libertà sindacale [5], infatti, non potrebbe consentire che ad un lavoratore non iscritto ad alcun sindacato venga automaticamente applicato un contratto collettivo stipulato da una organizzazione alla quale egli non ha inteso aderire. Occorre fare, invece, un ragionamento diverso per i contratti aziendali. In questo caso, infatti, i contratti, come abbiamo detto, sono firmati dalle rappresentanze sindacali aziendali e non dalle organizzazioni sindacali e, secondo la giurisprudenza, questo fa sì che i contratti aziendali siano applicabili a tutti i dipendenti dell’azienda, indipendentemente dall’adesione o meno alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo aziendale stesso.
È stato tuttavia specificato che [6] i contratti collettivi aziendali come regola di carattere generale sono efficaci nei confronti di tutti, ma a patto che venga rispettata la libertà dei lavoratori che, aderendo ad un’organizzazione sindacale diversa da quelle che hanno stipulato l’accordo aziendale, ne condividano l’esplicito dissenso.
note
[1] L. n. 223/1991.
[2] D. Lgs. n. 148/2015.
[3] Art. 47 L. n. 428/1990.
[4] Art. 2110 cod. civ.
[5] Art. 39 Cost..
[6] Cass. sent. n. 27115/2017.
Fonte: www.laleggepertutti.it
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