Dal sito www.lasicilia.it
di Mario Barresi - 04 Luglio 2018
Il Ragioniere generale dello Stato trasmette ai ministeri le numerose «criticità» contenute nella legge di stabilità dell’Ars: dubbi su coperture finanziarie e legittimità costituzionale. Ma non è finita qui
Stabilizzazione di Pip e precari degli enti locali; promozioni e pensioni dei dipendenti regionali, ma anche alcuni impegni di spesa sui fondi nazionali e comunitari. Un lungo, lunghissimo, elenco di dubbi su coperture finanziarie e legittimità costituzionale. E, molto più che in controluce, una brusca frenata sulle aspettative “autonomistiche” di una nuova stagione nel rapporto Palermo-Roma.
Non è un verdetto definitivo, la relazione del Ragioniere generale dello Stato sulla finanziaria regionale 2018. Il documento, 13 pagine, è stato trasmesso all’Ufficio legislativo del ministero dell’Economia, che si coordinerà con tutti i ministeri a cui il massimo organo di controllo dei conti del Mef ha chiesto chiarimenti.
Un preavviso dell’ennesima “mannaia” di Roma? Lo scopriremo presto. Queste, nel dettaglio, le norme che hanno fatto storcere il naso.
Un primo dubbio accomuna due articoli della Finanziaria siciliana: il 4 (sulla dotazione organica dell’Irfis) e il 64 (l’attesissima stabilizzazione dei circa 2.800 ex Pip del “bacino Palermo”). Per il Ragioniere generale dello Stato entrambe le norme «sembrano porsi in contrasto» con il blocco delle assunzioni esteso, fino al 30 giugno 2018, anche alle società sottoposte al controllo delle pubbliche amministrazioni. Nella relazione si ammette che la Regione Siciliana ha «potestà legislativa esclusiva» in materia di ordinamento di uffici ed enti regionali e di status giuridico dei dipendenti, ma la conclusione è comunque il rinvio delle norme su Irfis e Pip ai Dipartimenti del Tesoro e della Funzione pubblica «circa eventuali profili di illegittimità costituzionale».
Anche altri rilievi colpiscono norme sui dipendenti di “mamma Regione”. Il primo riguarda l’articolo 22 della legge di stabilità, “Norme per il personale regionale e degli enti”. Roma storce il naso sui commi che disciplinano il pensionamento anticipato dei dipendenti regionali, con la possibilità di presentare istanza entro il 31 dicembre 2018 per chi maturerà i requisiti nel 2020. Si reputa che ciò comporti «maggiori oneri previdenziali e maggiori oneri per la finanza pubblica non quantificati né coperti». Dubbi di copertura finanziaria e richiesta di informazioni anche per i «nuovi benefici pensionistici con oneri qualificati» previsti all’articolo 45 della Finanziaria. Sostanziale bocciatura anche per la “promozione” (contestata anche da parte dell’opposizione durante il dibattito all’Ars) dei dirigenti tecnici dell’assessorato ai Beni culturali, in tutto circa 400 assunti col maxi-concorso del 2000, per i quali è stato disposto il passaggio alla categoria “D” del contratto regionale: circa 1.600 euro di aumento l’anno, con una previsione di 770 milioni. Una formulazione che, per il Ragioniere generale, «non appare di chiara lettura», con un «elemento di criticità» con le norme nazionali che - al netto della specialità dello Statuto siciliano - prevedono che «il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi». E, sempre in materia di personale dei Beni culturali, il Ragioniere generale dello Stato rinvia al Dipartimento della Funzione pubblica le perplessità sull’immissione nei ruoli generali dei “catalogatori” già stabilizzati alla Sas, anche perché l’operazione «determina un’incoerenza con le previsioni di prepensionamento dei dipendenti regionali». Di «criticità» si parla anche riguardo a un’altra stabilizzazione: quella del personale di sanità penitenziaria nelle Asp siciliane.
E da Via XX Settembre arriva una bordata di gelo anche su un’altra attesissima stabilizzazione “made in Ars”: quella dei precari degli enti locali, stimati in circa 13mila in tutta l’Isola. Nella Finanziaria dell’Ars la stabilizzazione è assicurata «nei limiti delle autorizzazioni di spesa per l’esercizio finanziario 2018». E questa previsione normativa, «in assenza della relazione tecnica», per il Ragioniere non è «idonea a garantire la neutralità finanziaria degli interventi in questione, che potrebbero generare nuovi e maggiori oneri privi di copertura». E dunque in contrasto con l’articolo 81 della Costituzione. Dubbi, inoltre, sulla copertura finanziaria del comma 15, che autorizza a stipulare contratti a tempo determinato (fino al 21 dicembre 2018) ai precari per cui «la risoluzione unilaterale dei contratti è stata dichiarata illegittima con sentenza».
Ma il passaggio politicamente più pesante riguarda uno dei cavalli di battaglia del governo regionale: la riapertura della partita degli accordi Stato-Regione sottoscritti in epoca crocettiana (2014, 2016 e 2017). Il Ragioniere generale dello Stato entra a gamba tesa su una delle norme-clou della Finanziaria, fortemente voluta dall’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao e più volte sbandierata dal governatore Nello Musumeci. Quasi irridente, nella sobrietà della formula, la premessa: il massimo organo di vigilanza dei conti statali «non è a conoscenza di alcun negoziato aperto finalizzato alla revisione degli accordi finanziari per gli anni pregressi». E poi, «in ogni caso non si comprende la portata della norma». Di conseguenza arriva il contrattacco sulla norma che accantona dei fondi (si parlò di 600 milioni da iscrivere nel bilancio della Regione) in attesa della revisione dei patti con Roma. L’organo tecnico del Mef fa presente che «la retrocessione delle accise a favore della Regione in assenza del contestuale incremento della compartecipazione regionale alla spesa sanitaria rispetto alla quota del 49,11%» comporta «oneri a carico dello Stato privi di copertura finanziaria».
In pratica, per il «principio del progressivo trasferimento» la compensazione con le accise petrolifere è possibile soltanto se si aumenta la quota di compartecipazione alla sanità. Dubbi, inoltre, sulla costituzionalità della destinazione ad altra finalità di «somme riconosciute per spesa sanitaria» e anche sulla presenza di un «presupposto giuridico» della “sfida autonomista” della Regione.
Significativo anche il giudizio sul vantaggio, in termini di budget sanitario, previsto (all’articolo 82) per strutture sanitarie private accreditate vittime di estorsione. Il Ragioniere mette in allerta il ministero della Salute, poiché «la disposizione appare di dubbia legittimità» perché di fatto «risente di criteri ulteriori ed estranei alla verifica dei fabbisogni sanitari». E la scure del Ragioniere dello Stato frena anche sulla proposta, prevista all’articolo 52 della Finanziaria, di estendere in Sicilia la platea dei beneficiari del Rei (Reddito d’inclusione): c’è il via libera soltanto per il 2018. Se in futuro s’intendesse allungare il periodo di copertura c’è uno stop preventivo, legato ai «maggiori oneri pluriennali e strutturali per la cui quantificazione è necessario acquisire la relazione tecnica».
Nella relazione si esprimono perplessità anche sulla riforma del sistema di controllo degli enti locali (articolo 7 della Finanziaria), sulla soppressione della Tesoreria unica della Regione (articolo 21), sul fondo per i giornalisti minacciati dalla mafia (articolo 57), sulla concessione di credito agli Iacp (articolo 79) e su numerose norme comprese all’articolo 99 fra gli “Interventi nell’ambito della programmazione regionale unitaria” segnalando complicazioni sulla copertura finanziaria nel Piano di Azione e Coesione e in altri plafond comunitari.
Ma non è detta l’ultima parola. Potrebbe esserci una “sanatoria” dei dubbi, grazie ai contributi che arriveranno dai ministeri e dalla Regione. E adesso parte anche un confronto - tecnico, ma anche politico - fra il governo nazionale e Palazzo d’Orléans. Senza tempo da perdere, da parte di nessuno, perché se Palazzo Chigi volesse impugnare alcune norme della legge di stabilità siciliana ha tempo fino all’11 luglio.
Twitter: @MarioBarresi
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