Dal sito ilbolive.unipd.it
di Monica Panetto 24 Luglio 2018
Qualche dato aiuterà a circoscrivere le dimensioni del fenomeno. In un articolo apparso recentemente (Il bosco brucia: un’occasione per riflettere sulla politica forestale in Italia) Davide Pettenella e Giulia Corradini, del dipartimento di Territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova, sottolineano che il 2017 è stato uno degli anni più devastanti per gli incendi boschivi in Europa, con quasi 700.000 ettari bruciati fino a inizio settembre. E anche per l’Italia è stato uno dei peggiori degli ultimi 30 anni. Nel decennio 2006-2015 il nostro Paese, con più di 73.700 ettari di bosco bruciati mediamente all’anno, si colloca terza dopo Spagna e Portogallo per superficie forestale interessata dalle fiamme. E se si guarda al triennio che ci sta alle spalle (2014-2016) in Italia si calcolano in media 4.500 incendi all’anno: le regioni più colpite in termini di superficie forestale bruciata sono state la Sicilia, la Calabria e la Sardegna. La Campania ha avuto invece il numero maggiore di incendi e la Sardegna gli incendi con ampiezza media maggiore.
Diverse le cause alla base di questa situazione, a partire dai cambiamenti climatici in atto. Le alte temperature, l’aridità, la frequenza di eventi estremi come le ondate di calore sono fattori che favoriscono l’insorgere di incendi e che sono destinati ad aumentare in futuro quanto a frequenza e intensità, soprattutto nella regione del Mediterraneo. Ci sono incendi provocati volontariamente, non tanto (o non solo) da piromani, quanto da operai forestali in cerca di impiego nell’antincendio, da pastori desiderosi di pascoli più puliti, da agricoltori che bruciano resti vegetali o da turisti distratti. Un altro aspetto da considerare è la scarsa attenzione riservata alla prevenzione degli incendi condotta attraverso pratiche come i diradamenti, interventi di pulizia del sottobosco, realizzazione di fasce tagliafuoco, solo per citare alcuni esempi. Nonostante siano economicamente meno vantaggiosi, si confida in misura maggiore sugli interventi di spegnimento che vedono coinvolti mezzi aerei e mezzi anti-incendio a terra, in parte legati all’industria militare. L’Italia possiede la più grande flotta antincendio in Europa e questo fa riflettere.
“Il vero nodo strutturale che influenzerà la prevenzione degli incendi – sottolineano Pettenella e Corradini – sarà quello della gestione attiva delle risorse forestali. Una risorsa abbandonata è una risorsa per la quale non viene riconosciuto un valore e che per questa ragione non viene monitorata e protetta. La prevenzione a costi minori è quella connessa alla rivitalizzazone dell’economia del settore: un bosco che produce valore (legname, biomassa, funghi, tartufi, castagne, ma anche servizi turistici, ricreativi, culturali) è un bosco che viene difeso e che difficilmente brucia”.
“Nonostante un terzo del territorio nazionale sia coperto da foreste – spiega Pettenella a Il Bo Live – si assiste a uno scarso utilizzo delle risorse forestali interne. L’aspetto ancora più negativo è che il legname prelevato dai boschi non è impiegato nel settore industriale o per lavorazioni ad alto valore aggiunto, come segati, travi, tranciati, ma nella gran parte dei casi è utilizzato come legna da ardere, per produrre bioenergia”. Così l’Italia, pur avendo guadagnato dal 1990 ad oggi in media 800 metri quadrati di nuove foreste al minuto (oltre un milione di ettari) e nonostante possieda una superficie forestale che è uguale a quella della Germania e tre volte quella dell’Austria, è il secondo importatore europeo di legname e probabilmente il primo di legname illegale. Il Testo unico riafferma dunque la necessità di una pianificazione, soprattutto su scala locale, perché è con piani di gestione locale che possono essere definite esattamente quali risorse boschive sfruttare e in che modo e come contemperare le funzioni produttive con gli altri servizi ecosistemici.
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Il vero nodo strutturale che influenzerà la prevenzione degli incendi sarà quello della gestione attiva delle risorse forestali
“Un altro aspetto da considerare – sottolinea Pettenella – è il problema dell’abbandono. Moltissimo del patrimonio forestale soprattutto di proprietà privata è diventato ‘res nullius’, non è andato incontro a successione ereditaria e si è persa la conoscenza dei proprietari. In altri casi, si tratta invece di piccoli proprietari, magari lontani dalle loro proprietà che non sono in grado di gestire”. L’abbandono forestale espone a rischi naturali e tra questi anche agli incendi. “Ora quando l’abbandono comporta effetti negativi di carattere ambientale – continua il docente – il Testo unico prevede la creazione di forme di gestione conto terzi: gli enti pubblici possono intervenire quando ne intravedono la necessità e affidare la gestione a imprese private e associazioni”. La nuova normativa, inoltre, mette le basi per la professionalizzazione del settore. Chiede che le ditte boschive siano correttamente qualificate e adeguatamente attrezzate e che siano protette rispetto a chi opera informalmente, attraverso albi di imprese boschive o patentini per gli operatori del settore ad esempio.
Fonte: ilbolive.unipd.it
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