26 febbraio 2018

LA NUOVA LEGGE FORESTALE: UN’AGGRESSIONE AI BOSCHI ITALIANI. IL TRIONFO DELLA MOTOSEGA


di Giovanni Damiani - 22 Feb 2018
In sordina, senza clamori mediatici quando invece avrebbe ben meritato una rivolta politica e morale e mobilitazioni di piazza, il Consiglio dei Ministri, il 1 dicembre 2017, ha approvato lo schema di decreto legislativo relativo al Testo Unico Forestale, che deve sostituire la norma vigente da 17 anni in materia di foreste e filiere produttive. Il testo, è attualmente all’esame della Commissione Parlamentare per la Semplificazione e poi avrà concluso l’iter e potrà essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Il suo contenuto è fuori dal tempo: come se nulla fosse mai stato detto o scritto in materia di ecologia generale e forestale, sul ruolo delle foreste nella difesa della biodiversità, sul contrasto al riscaldamento globale, sull’ambiente (clima, regimazione delle acque ecc..), sul paesaggio. Dai massimi esperti in materia (per tutti, cito Bartolomeo Schirone, professore ordinario di selvicoltura dell’Università della Tuscia, e il prof. Gianluca Piovesan, ordinario di selvicoltura e assestamento forestale dell’Università della Tuscia) che pure sono intervenuti inutilmente per scongiurare il varo della norma così com’è stata concepita, il decreto è stato definito un “assalto ai boschi italiani”.

Ma oltre all’attacco ai beni ambientali forse più preziosi del nostro Paese, la furia del legislatore ha messo sotto i piedi anche gli aspetti fondanti del nostro assetto democratico, tanto che il professor Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, non ha esitato ad affermare “che questo decreto è contro la costituzione e i diritti fondamentali dell’uomo”.

Il capolavoro è stato concepito dal Governo, dalla filiera del legno, da comunità locali e regioni e l’obiettivo unico che si pone è lo sfruttamento economico delle risorse forestali, con turni di taglio costanti e possibilità di realizzare strade di servizio e piste “temporanee” per facilitare l’azione albericida generalizzata.

La legge afferma la “gestione attiva dei boschi” che, tradotto, significa il taglio indiscriminato dei boschi. Non metto in discussione che i boschi vadano gestiti considerando anche gli aspetti produttivi: si tratta di una risorsa rinnovabile, di un flusso di materia da cui attingere per la sostenibilità. Sono per meno plastica e idrocarburi fossili e più legno! Quindi scevro da pozioni fondamentaliste. Quello che però sconvolge realmente è, scientificamente, che non si distinguano boschi di produzione e quelli di conservazione. Esistono boschi che assolutamente non dovrebbero essere toccati dall’uomo perché sono antichissimi o perché elementi fondamentali del paesaggio tutelato, vale la pena ricordarlo, dall’art. 9 della Costituzione. Basti pensare alla Val Cervara (in Abruzzo, tra Pescasseroli e Villavallelonga) con le sue foreste vetuste che annoverano i faggi più antichi conosciuti nell’emisfero nord del Pianeta, al Bosco sacro di S. Antonio, sempre in Abruzzo, oppure a tutti quei boschi che non vanno toccati per ragioni storiche (i lucus, boschi sacri dei Romani, pervenuti fino a noi) o per questioni di stabilità ambientale, come nel caso di quelli sopra Sarno. Quando elimini certi presìdi naturali, automaticamente si innescano processi erosivi senza controllo.

Se poi si guarda più in dettaglio la legge, articolo per articolo, ci si rende conto che l’obiettivo fondamentale è la possibilità di recuperare biomasse di cui hanno fame assoluta gli impianti dedicati alla produzione di energia elettrica, autorizzati e realizzati. Infatti, gli impianti a biomasse vengono autorizzati, anche di grandi dimensioni, a prescindere dalla disponibilità di combustibile. Non si tratta quindi, come afferma la legge, di produzione legnosa per cui, tra l’altro, non ci sono nemmeno le filiere, si tratterebbe di destinare la maggior parte del materiale recuperato alle stufe e alle centrali a biomasse.

Preoccupa in questa legge, altresì, la non chiarezza su chi dovrebbe gestire gli inventari forestali, e con quali criteri. La gestione, infatti, faceva capo al Corpo Forestale dello Stato, autorità in materia che ha meritato fiducia in quanto ha garantito equilibrio, terzietà e rigore. Ora i Forestali sono stati accorpati all’arma dei Carabinieri e quando usciranno di scena nella gestione … con nuovi soggetti responsabili di essa, potrà accadere qualsiasi cosa. Del resto, i prodromi ci sono: la stesura di una legge simile affidata in via privilegiata alla filiera del legno…è come affidare la disciplina della tutela delle galline alle associazioni delle volpi. E anche i comuni, a corto di soldi, non si sono fatti tanti scrupoli a “valorizzare” il proprio patrimonio boschivo. Preoccupa non poco, in merito, anche il tema degli inventari forestali, argomento cardine affrontato superficialmente solo in uno degli ultimi capitoli in cui si parla di statistiche e dati. Con quanta scientificità, accuratezza e veridicità verranno realizzati?

Questa legge rappresenta non solo uno schiaffo alla cultura ecologista e scientifica degli ultimi trent’anni, ma persino un salto all’indietro di 95 anni, se si pensa che la legge, detta “Serpieri”, del 1923, istituiva categorie di boschi che, salvo casi eccezionali, non potevano essere usati né toccati, perché era chiaro il problema del dissesto idrogeologico. Nella nuova legge, invece, si parla di cedui per protezioni idrogeologiche, cosa assurda, un controsenso a livello scientifico.

Negli Stati Uniti, in Australia e in molti Paesi dell’Europa, oramai è adottata la rewilding strategy, che consiste nel “naturalizzare senza l’intervento dell’uomo”, lasciando degli spazi alla riconquista dell’ambiente da parte della natura. È necessario farlo per ragioni strettamente ecologiche, ma anche per ragioni culturali e turistiche. Ve lo immaginate come potranno attrarre turismo luoghi caratterizzati da ceppaie di boschi cedui? Chi mai andrà a fare turismo in zone di taglio, spelacchiate, al canto delle motoseghe?

La legge è ricca perfino di controsensi: un esempio eclatante è quello dell’articolo 2, in cui si parla di garantire l’estensione della foresta, e in cui, quindi, si promuove la foresta. Però, poi, si scopre che tutte quelle aree abbandonate dove il bosco sta ritornando nel nostro Paese, non sono ritenute boschive, ma terreni incolti. Escluse dalla categoria “boschi” vuol dire che tali aree possono essere eliminate, che lì puoi tagliare. E cosa ancora peggiore sono le aree di rimboschimento artificiale, che in Italia rappresentano il 40% della nostra superficie forestale attuale, la cui riforestazione è stata fatta con risorse pubbliche, che possono essere tagliate.

Ma c’è di peggio: la legge afferma che si può eliminare, trasformare, il bosco in una determinata area, a condizione che questo intervento venga “compensato”. La prima cosa che si pensa è che si debba “compensare” con un rimboschimento. La cosa è contemplata offrendo, però, anche la possibilità di “compensare” queste opere con dei servizi assolutamente diversi e impattanti, come l’apertura di una strada, la realizzazione di un parcheggio per il comune o, cosa peggiore, si può “compensare” economicamente, se autorizzato dalla Regione. Soldi che essa accantonerà in un fondo forestale.

L’ex direttore (scomparso) della rivista “Fotografare”, un mio amico conosciuto un po’ tardi, con quel che si è guadagnato nella vita con il suo lavoro, ha acquistato in Abruzzo una intera collina che guarda l’Adriatico e realizzato in decenni, partendo da zero, una pineta a Pinus halepensis, oggi matura. Un altro mio amico di Penne (Pescara) ha investito tutto quello che aveva per acquistare un bosco collinare superstite, di diversi ettari, solo e soltanto per poterlo conservare.

Per situazioni come queste, il bosco è considerato dalla nuova legge come “abbandonato”, la prateria considerata “terreno incolto” e via dicendo, e può essere gestito dalla Regione se il proprietario non interviene (a tagliarlo). A quel punto, la Regione può agire affidando la responsabilità del terreno a consorzi o cooperative di giovani. In pratica, se tu sei proprietario di un bosco e non lo tagli, viene data autorizzazione a cooperative, che possono anche essere cooperative di persone non competenti in fatti della natura, né amanti di essa. L’applicazione di questa legge nel bosco del mio amico è piuttosto difficile: occorrerà un battaglione di poliziotti per riuscirci e io lo aiuterei a resistere.

Vi rendete conto di cosa sono riusciti a portare (praticamente) a termine nell’assordante silenzio dei media, decisori politici (on. Realacci) che hanno ignorato sostanzialmente appelli, allarmi… Adesso si tratta di vedere cosa altro si può fare per fermare un mostro simile che si nutre della sinfonia delle motoseghe. Non può finire così.


Già direttore generale dell’Anpa

Fonte: ilfoglietto.it





1 commento:

  1. DA IMPARARE A MEMORIA.
    alla faccia del "bosco produttivo" aldorizza

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