PALERMO. Ripristinare il tetto dei 240 mila euro annui ma considerare extra, e quindi sommabili allo stipendio, le indennità di funzione, di lavoro notturno e nei festivi. È questo l’accordo che sta maturando all’Ars sul taglio dei maxi compensi scattati a gennaio. Un accordo che porta con sè un nuovo mini-esodo perchè è probabile che prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti di stipendio chi oggi è sopra i 240 mila euro scelga di andare in pensione per mantenere un assegno di quiescenza quasi analogo alla busta paga.
I sindacati e i vertici dell’Ars torneranno a sedersi attorno al tavolo martedì mattina. Nel frattempo nei giorni scorsi un incontro informale fra i rappresentanti delle principali sigle ha permesso di mettere a punto la controproposta dei dipendenti. Un passo indietro. A dicembre è scaduto il primo accordo, siglato nel 2014, che ha limitato gli stipendi a 240 mila euro. Da gennaio si è quindi tornati a buste paga annuali che in qualche caso (per circa 5 dirigenti) arrivano a sfiorare i 340 mila euro e in altri casi superano i 200 mila. Questo perchè sono caduti anche i tetti intermedi, quelli che regolavano i limiti per le varie qualifiche dei 180 dipendenti a tempo indeterminato del Parlamento.
A questo punto - dopo le polemiche e soprattutto dopo i ripetuti appelli dei vescovi e dei sacerdoti palermitani guidati da padre Cosimo Scordato - l’Ars ha deciso di riproporre integralmente i tetti scaduti a dicembre. E con questa proposta Giorgio Assenza, delegato dal presidente Gianfranco Miccichè, si è presentato martedì scorso al tavolo sindacale.
A caldo la controproposta del sindacato Sada - il più rappresentativo costituito da ex iscritti della Cisl che hanno lasciato per protesta il sindacato confederale proprio dopo il via libera ai tagli nel 2014 - è stata quella di attendere che si muovano prima Camera e Senato, rinviando di fatto all’estate i tagli e continuando a incassare le maxi busta paga fino ad allora. Maxi buste paga che all’Ars costano ogni anno poco oltre 900 mila euro in più. Ma martedì si punterà su una sorta di mediazione alla quale - anticipano alcuni rappresentanti del Sindacato consiglieri parlamentari - aderiranno tutte o quasi le sette sigle.
La Uil ha già anticipato il suo sì ai tagli, così come la Cisl che però non ha più iscritti. La proposta prevede di reintrodurre i vecchi tetti e di considerare extra le indennità. Quando vale tutto ciò? I calcoli li stanno facendo in questi giorni. Assenza anticipa che «per l’Ars accettare questa proposta potrebbe costare fra i 200 mila e i 250 mila euro in più all’anno. Ma siccome reintroducendo il taglio risparmieremmo quasi un milione, la convenienza c’è. È una proposta però che, se verrà confermata, devo portare in consiglio di presidenza. Solo dopo darò risposta ai sindacati». Qualche calcolo si può già fare. Gli assistenti parlamentari, la categoria più bassa, possono incassare anche 150 euro al mese in più per le sole indennità di lavoro notturno e festivo. A queste andrebbe aggiunta l’indennità di funzione. In proporzione è facile intuire che per le categorie più alte l’extra può valere qualche centinaio di euro al mese in più. Per un totale, appunto di 250 mila euro a carico dell’Ars.
Le somme extra si aggiungerebbero a stipendi base che, tornando ai livelli del 2017, sarebbero di 240 mila euro per i consiglieri e di 204 mila euro annui per gli stenografi (mentre oggi quelli più anziani arrivano anche a 235 mila). E ancora: i segretari non potranno oltrepassare i 193 mila euro mentre oggi arrivano fino a 201 mila, i tecnici avranno un tetto di 133 mila mentre adesso guadagnano fino a 148 mila euro annui, i coadiutori devranno fermarsi a 148 mila euro invece dei 169 mila attuali. Infine, gli assistenti avranno un limte di 122 mila euro invece di 143 mila. E va detto anche che i sindacati volevano proporre di escludere dal tetto anche l’indennità di contingenza (la più pesante). Ma Assenza su questo ha già detto no: «Costerebbe troppo». Se finirà così, lo vedremo fra tre giorni.
Di certo però si prepara la fuga: chi a gennaio è riuscito a scavalcare i tetti in vigore fino al 2017 (cioè i dipendenti con più di 24 anni di servizio) ha la possibilità di andare in pensione facendo conteggiare l’assegno di quiescenza, per la parte retributiva, sulla base della busta paga maggiorata. Significa, calcolano a taccuini chiusi alcuni dirigenti, che la pensione sarà di circa il 90-95% dello stipendio attuale (quello maggiorato) a fronte di un taglio della busta che sarà in qualche caso di alcune decine di migliaia di euro. Tra l’altro all’Ars la finestra di pensionamento è sempre aperta e quindi la fuga è data per scontata. Ciò preoccupa Miccichè: nelle conversazioni informali il presidente si mostra allarmato per il fatto che già nel 2014 i dirigenti di maggiore esperienza hanno lasciato gli incarichi per sfuggire al tetto e ora potrebbe accadere lo stesso per i pochi rimasti in servizio. Inoltre Miccichè si dice preoccupato dal fatto che le pensioni dei superburocrati sono a carico dell’Ars e una eventuale fuga sposterebbe da una voce di bilancio all’altra i costi degli stipendi azzerando o quasi il risparmio frutto della trattativa.
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Fonte: gds.it
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