Politica – Nella stessa piazza in cui il candidato di Forza Italia Riccardo Pellegrino ha difeso le sue discusse amicizie e le sue parentele, Fava si rivolge ai residenti del quartiere che però sono rimasti lontani. «Non ci interessa quello che pensa il signor Pellegrino, perché è un ragionamento perdente». Guarda il video
Il primo dei cento passi di Claudio Fava è, per sua stessa ammissione, «il più difficile e il più impegnativo». Lo ammette il candidato della sinistra alla presidenza della Regione Sicilia dal cuore di San Cristoforo, piazza Santa Maria delle Salette, dallo stesso palco in cui, tre sere prima, Riccardo Pellegrino urlava al suo quartiere di dover essere orgogliosi di Carmelo Mazzei, suo fraterno amico che ha scelto la strada del sacerdozio e figlio del capomafia Nuccio Mazzei. A fare da cornice alla piazzetta c'è l'oratorio dei salesiani. «Da ragazzo - racconta Fava - venivo qui, due volte la settimana, a giocare a pallavolo. Non ero uno straordinario alzatore, ma condividevo con gli amici quei lunghi pomeriggi». Molti anni dopo anche il ragazzo Pellegrino ha frequentato l''oratorio e tra quelle pareti è cresciuta l'amicizia con Carmelo Mazzei. «Giocavamo insieme a pallone, Riccardo è figlio del quartiere, per questo qua tutti lo votiamo», spiega un giovane che si mantiene ai margini della piazza in attesa del comizio di Fava.
Di residenti a San Cristoforo ieri sera in piazza delle Salette non c'era quasi nessuno, al netto dei volontari del Gapa, l'associazione che da anni è baluardo di legalità e socialità nel quartiere per bambini e ragazzi. Quella che Fava definisce «la supplenza civile».
A sentire loro, è chiaro perché Pellegrino riscuote più consensi. «Fare
un comizio qui per finalità politiche, può avere le sue ragioni e io
per primo sono venuto a sostenerlo - spiega Mario Libertini, volontario
19enne -. Se invece la finalità è sociale possiamo dire che neanche abbiamo diritto a essere qui, se non operiamo dentro al quartiere. Sembra quasi che sia venuto un alieno.
Pellegrino ha più consenso perché paradossalmente vive il quartiere,
aiuta le persone nei modi anche sbagliati e che non condivido, ma le
aiuta».
Sono tanti i destinatari delle parole di Fava. Un discorso sferzante, alto, che punta tutto sul concetto di libertà.
Fava si rivolge a chi è rimasto nelle vie limitrofe a osservare, ai
professori e ai presidi che ogni giorno lavorano a San Cristoforo, ai
genitori che continuano a educare i figli. «Se qualcuno pensa di venire
in questo quartiere a pretendere voti come fatto di obbedienza, come un'elemosina dovuta, noi vogliamo rispondere che c'è un solo voto utile in Sicilia, è il voto libero.
L'unico voto che conta è il voto dentro il quale ci sia responsabilità e
passione, ci sia la verità delle nostre convinzioni. Non siete
costretti a obbedire, nemmeno in questo quartiere, anche perché in questo quartiere chi vi ha chiesto obbedienza, vi ha dimenticato, vi ha utilizzato, vi ha sfruttato, si è preso i vostri diritti e li ha trasformati in potere».
E se in mattinata Fabrizio Micari, parlando di liste pulite,
sottolineava che «le colpe dei padri non possono cadere sui figli»,
Fava corregge il tiro: «Sono i figli che devono decidere da che parte
stare, nessuna proprietà transitiva, ma l'idea che i figli devono essere assolti a prescindere mi dà fastidio, mi piacerebbe che qualcuno dicesse “non ho nulla a che fare con quello che ha fatto mio padre”, il problema allora non è il rapporto padri-figli ma il rapporto tra questa gente e la verità». Per poi tornare anche sull'email inviata dal rettore di Palermo a docenti, studenti e personale amministrativo. «Una cosa un po' miserabile», chiosa Fava.
Tanti destinatari, dunque: i residenti di San Cristoforo, i rivali
candidati - «i Cinque stelle ammiccano alle cose che qualche voto in più
lo possono portare, come l'abusivismo di necessità» - ma anche il suo
zoccolo duro, la sinistra che ieri, in salsa catanese, è corsa ad
ascoltarlo in circa 150 persone: «Non ci interessa quello che pensa il signor Pellegrino, quali siano i suoi idoli, non ci interessa che lui rimpianga il tempo in cui i Santapaola, i Cappello, i Mazzei, erano punti di riferimento della nostra società. Non ci interessa perché è un ragionamento perdente,
perché siamo oltre, ma vogliamo che tutti sappiano che quel
ragionamento è stato sconfitto, che di quegli idoli Catania, San
Cristoforo, la Sicilia non hanno bisogno. Ma non sono io a dirlo, è la battaglia che voi avete fatto in questi anni.
E allora riprendetevi l'orgoglio di questa battaglia, le cose fatte,
vissute, anche le sconfitte che però qualche segno importante addosso a
noi lo hanno lasciato».
Fonte: meridionews.it
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