12 Settembre 2017
L’adattamento al mutamento climatico è la vera grande sfida del tempo in cui viviamo. Non è più rinviabile l’approvazione del Piano nazionale di adattamento al clima: un punto di riferimento essenziale per gli interventi di messa in sicurezza del territorio e per lo stanziamento dei finanziamenti nei prossimi anni, in modo da riuscire in ogni città a intensificare le attività di prevenzione, individuando le zone a maggior rischio, e a realizzare gli interventi di adattamento al clima e di protezione civile. L’esatta conoscenza delle zone urbane a maggior rischio rispetto alle piogge è fondamentale per salvare vite umane e limitare i danni.
Dal 2010 alla fine di agosto sono 126 i Comuni italiani dove si sono registrati impatti rilevanti con 242 fenomeni meteorologici che hanno colpito l’Italia, provocato danni al territorio e causati impatti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini.
Ma ancora più rilevante è il tributo che si continua a pagare in termini di vite umane e di feriti: dal 2010 al 2016 sono oltre 145 (non contando le povere vittime di Livorno) le persone morte a causa di inondazioni e oltre 40mila quelle evacuate.
Dati preoccupanti se si pensa che l’Italia è un Paese ad elevato rischio idrogeologico con 7.145 comuni italiani (l’88% del totale) che hanno almeno un’area classificata come ad elevato rischio idrogeologico, e con oltre 7 milioni gli italiani che vivono o lavorano in queste aree.
Legambiente chiede di introdurre la chiave dell’adattamento al clima nella pianificazione di bacino e negli interventi di messa in sicurezza dei fiumi nelle aree urbane; di stabilire una regia unica per gli interventi sulla costa; introdurre il tema dell’adattamento nella progettazione, valutazione e gestione delle infrastrutture; di approvare delle Linee Guida per l’utilizzo di materiali che riducono l’impatto dei cambiamenti climatici all’interno dei quartieri e di approvare dei piani di monitoraggio e tutela degli ecosistemi più delicati rispetto ai cambiamenti climatici nel territorio italiano.
Inoltre, occorre avviare una politica di delocalizzazione degli edifici a rischio, monitorare e tutelare le misure di vincolo con l’obiettivo di evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio in aree allagabili. L’apertura dei 56 stati di emergenza nei diversi territori colpiti da eventi estremi, ha permesso di censire i danni provocati da frane e alluvioni e di stimare il fabbisogno necessario per fronteggiare l’emergenza: di fronte ad un danneggiamento accertato di circa 7,6 miliardi di euro, lo Stato ha risposto stanziando circa il 10% di quanto necessario, 738 milioni di euro, ed erogandone fino ad oggi circa 618milioni.
Cifre dettate dall’emergenza che non ammettono ulteriori ritardi in termini di prevenzione sulla quale quelle cifre avrebbero potuto essere stanziate in anticipo e non pagate a danno avvenuto.
Ecco ci piacerebbe vedere su questo anche una politica diversa: da giugno ad oggi abbiamo attraversato diverse emergenze, dalla siccità agli incendi, dal terremoto all’abusivismo edilizio ed ora le alluvioni. Non ci sembra che la politica si occupi di questi temi se non per polemizzare nel momento di visibilità mediatica del tema.
Ci piacerebbe vedere una campagna elettorale dedicata anche a questi temi, che sono anche temi sociali, economici, di tenuta democratica di un Paese.
Ci piacerebbe che la strategia delle alleanze, a destra come a sinistra, si giocasse su un programma che parli di messa in sicurezza del territorio e della riconversione ecologica dell’economia italiana.
Ecco ci piacerebbe! Ma ha ragione papa Francesco che ieri ha detto che l’uomo stenta a comprendere i mutamenti climatici e le loro conseguenze perché «è stupido».
Noi non vogliamo essere stupidi e speriamo che gli italiani che andranno a votare si ricordino di quello che è successo da giugno a settembre in questo Paese e di quanto le risposte non arrivino da almeno 20 anni.
* Presidente nazionale Legambiente
Fonte: ilmanifesto.it
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