Deve corrispondere il risarcimento del danno chi era tenuto alla custodia del bene che è andato in fiamme, a meno che non dimostri il caso fortuito.
L’estate non è solo la stagione del sole e del mare, ma anche quella in cui siccità e incendi boschivi flagellano l’Italia da nord a sud, con conseguenze disastrose in molte Regioni. Questi episodi offrono lo spunto per affrontare un argomento delicato e giuridicamente importante come la responsabilità nel caso di incendio che si propaghi tanto da danneggiare le proprietà limitrofe. Chi risarcisce in caso di incendio vicino casa? Per rispondere al quesito occorre introdurre la giusta cornice giuridica.
Indice
La responsabilità nel codice civile
La legge obbliga al risarcimento colui che, intenzionalmente o soltanto per colpa, cagiona ad altri un danno ingiusto [1]. Trattasi di un principio di massima ampiamente riconosciuto in ogni ordinamento giuridico: chi ha cagionato il danno, paghi. Per ottenere il risarcimento, il povero danneggiato dovrà dimostrare: il danno patito, il nesso causale (cioè, in parole povere, il legame) tra la condotta del danneggiante e il danneggiamento, la colpevolezza dell’autore del fatto lesivo. Tale forma di responsabilità (denominata extracontrattuale perché non deriva da vincoli di natura negoziale) si prescrive in cinque anni: ciò significa che, se si ha interesse ad ottenere il risarcimento, non bisogna lasciar trascorrere, dal momento del fatto a quello in cui si agisce, più di cinque anni.
Affinché chi ha causato il danno venga costretto a pagare il risarcimento, occorre che sia dimostrata la sua colpevolezza. Cosa significa? La colpevolezza rappresenta l’aspetto soggettivo dell’evento o, potremmo dire, psicologico. Se Tizio rompe un prezioso vaso Ming urtandolo col braccio e facendolo rovinare al suolo, egli potrà aver commesso il fatto: colposamente, se cioè non aveva intenzione di commettere il fatto, eppure è accaduto perché è stato imprudente, incauto o negligente; dolosamente, se aveva la precisa intenzione di distruggere il prezioso cimelio. Colpa e dolo, dunque, rappresentano le due categorie della colpevolezza. Per il codice civile è indifferente che il danno sia cagionato volontariamente o meno: il danneggiante sarà comunque costretto a pagare il risarcimento.
Il danno cagionato da cose in custodia
La legge prevede delle eccezioni alla regola generale appena esposta: infatti, l’ordinamento contempla dei casi in cui si risponde del danno altrui anche quando non lo si è voluto o non si è violata nessuna regola di condotta (cioè, non si è stati imprudenti, negligenti o inesperti). Secondo il codice civile, ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito [2]. La funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti all’oggetto custodito. Si badi che per custodia non deve intendersi soltanto quel rapporto derivante da un contratto specifico (ad esempio, dal contratto di deposito, con cui una parte si impegna a custodire una determinata cosa e poi a restituirla a chi gliel’ha consegnata), bensì quel rapporto di fatto che sussiste tra un bene e chi ne dispone al momento del’evento. Si consideri questo esempio: Tizio presta l’auto a Caio, il quale la parcheggia in salita dimenticando il freno a mano; responsabile dei danni cagionati dallo spostamento dell’auto sarà Caio che, pur non essendone il proprietario, aveva la custodia del veicolo, cioè era nelle condizioni di poter impedire il danno. Altro elemento fondamentale della fattispecie è che vi sia una relazione diretta tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, intesa nel senso che la prima abbia prodotto direttamente il secondo e non abbia, invece, costituito lo strumento mediante il quale il soggetto ha causato il danno con la sua condotta [3]. Tra le cose che possono essere oggetto di custodia rientrano senza dubbio le case, le strade, le automobili, le foreste; custodi possono essere non solo le persone fisiche, ma anche le persone giuridiche (ad esempio, le società) e gli enti pubblici.
Quando il danno è cagionato da una cosa di cui si aveva la custodia, il danneggiante potrà dimostrare la sua incolpevolezza solamente provando il caso fortuito. Per caso fortuito si intende un evento assolutamente imprevedibile ed inevitabile proveniente da un elemento esterno alla propria volontà. In altre parole, il custode della cosa che ha cagionato il danno dovrà dimostrare che il danno è avvenuto per un fatto totalmente estraneo alla sua volontà (ad esempio, continuando l’esempio di prima, una violenta tromba d’aria ha sollevato l’automobile e l’ha schiantata contro la vetrina di un negozio). Solo così potrà evitare di pagare il risarcimento. Quest’ultima affermazione, però, merita un approfondimento.
Incendio di una proprietà privata
Quanto finora detto è la necessaria premessa per capire cosa avvenga e chi sia il responsabile nel caso in cui un bene giuridico (auto, casa, motorino, ma anche la propria salute) venga danneggiato dalle fiamme propagatesi dall’incendio divampato nella proprietà altrui. Si immagini una combustione che, deflagrata in un appartamento, si propaghi in quello adiacente. Chi risarcirà il danno? Ebbene, la norma da applicarsi è quella sopra indicata inerente alle cose in custodia: responsabile è il proprietario dell’immobile da cui è divampato l’incendio, a meno che non dimostri il caso fortuito, cioè che le fiamme derivano da un evento del tutto eccezionale ed imprevedibile. Può rientrare in questa categoria il fatto del terzo: si pensi ad un incendio cagionato da un piromane. In questo caso non vi sono dubbi che a rispondere civilmente (oltre che penalmente) sarà il delinquente, non la vittima del suo barbaro gesto. Non scusa, invece, l’incendio divampato dall’esplosione di una bombola a gas: in tal caso, era obbligo del proprietario dell’appartamento controllare che il suo impianto fosse a norma.
Incendio boschivo
Gli eventi naturali, come le alluvioni, le frane, gli allagamenti e gli incendi, possono integrare, purché imprevedibili ed inevitabili, il caso fortuito.
La loro eccezionalità, tuttavia, va valutata insieme al comportamento
concreto del custode: questi è tenuto ad adottare tutte le misure
precauzionali che, in relazione allo cosa, alle sue qualità e alle
circostanze del caso concreto, appaiono normalmente idonee a tutelare i
terzi da eventuali danni. Di conseguenza, qualora dalla cosa in custodia
divampi un incendio, il custode sarà chiamato a risponderne, a meno che
non fornisca la prova del fortuito. Il fatto del terzo che abbia
appiccato il fuoco varrà quale prova liberatoria ogniqualvolta il
custode dimostri di non essersi trovato nella condizioni di impedire,
con una condotta diligente adeguata alle circostanze concrete, l’evento.
Così, a titolo esemplificativo, la Corte di Cassazione ha ritenuto
responsabile il proprietario per i danni arrecati dall’incendio
originato nel suo fondo e diffusosi a quello limitrofo [4].
Altra ipotesi è quella del danno alla propria abitazione (ma si ripete, potrebbe trattarsi di qualsiasi bene giuridico) derivante dall’incendio di un vicino bosco. Secondo il codice civile I boschi e le foreste, quando appartengono allo Stato o alle Regioni, fanno parte del patrimonio indisponibile, rispettivamente, dello Stato o delle Regioni [5]; invece, i boschi e le foreste, quando appartengono ai Comuni, fanno parte del loro patrimonio disponibile. Ora, sorvolando sulla disciplina giuridica dei demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, anche in questo caso si applicherà la norma sulla responsabilità delle cose in custodia. Quindi, la responsabilità per l’incendio divampato in un bosco sarà attribuibile all’ente che ne è titolare (ad esempio la Regione), a meno che non dimostri l’assoluta imprevedibilità dell’evento. Si capisce che, soprattutto nei periodi estivi, le condizioni climatiche non potranno essere addotte quale caso fortuito, in quanto la siccità è evento tutt’altro che imprevedibile in estate. Diversamente può accadere nel caso di incendio dolosamente appiccato: vale qui quanto detto sopra, in considerazione anche del fatto che l’incendio boschivo costituisce reato [6]. Si ricordi che molte Regioni mettono a disposizione delle vittime degli incendi fondi appositamente stanziati per tali calamità, risorse volte a ristorare il cittadino anche nel caso di incendio doloso.
La giurisprudenza, a proposito di boschi non appartenenti ad enti pubblici, ha riconosciuto la responsabilità del proprietario di un bosco per i danni cagionati da un incendio sviluppatosi al suo interno [7]. Un discutibile orientamento, frequente soprattutto nella giurisprudenza di merito meno recente, ha stabilito che l’accertamento della natura dolosa dell’incendio non è, di per sé, sufficiente a sollevare da responsabilità il custode, qualora il relativo procedimento penale sia stato archiviato perché i responsabili sono rimasti ignoti [8]. Per fortuna, la Corte di Cassazione non ha sposato tale convincimento, preferendo assolvere il custode, anche in mancanza di identificazione del responsabile, quando sia raggiunta la prova dell’intervento doloso di un terzo [9].
In particolare: l’incendio doloso
Si è detto che, di norma, l’incendio appiccato da terzi è elemento idoneo ad integrare il cosiddetto caso fortuito in quanto elemento esterno alla volontà del custode. Questa regola, però, non è sempre valida. Si è ricordato che il caso fortuito è un evento eccezionale ed imprevedibile: ebbene, può essere definito imprevedibile il rogo causato da un piromane in un’area boschiva soggetta ad incendi naturali oppure a condotte criminose di questo tipo? In questi casi non può senz’altro dirsi che l’incendio sia un evento imprevedibile o eccezionale e, pertanto, dovrà ravvisarsi comunque la responsabilità del custode. È chiaro che ogni circostanza è irripetibile e merita una valutazione ad hoc: ad esempio, l’incendio doloso appiccato ad una proprietà “chiusa” (un’abitazione, un’automobile) o difficilmente raggiungibile (perché delimitata o protetta) scagionerà il custode molto più facilmente rispetto ad una proprietà “aperta” (bosco o foresta) o comunque facilmente accessibile (il custode di un capannone contenente materiale infiammabile e lasciato aperto difficilmente potrà dire che il fatto del terzo costituisca caso fortuito). Molto dipende, quindi, anche dal comportamento prudente effettivamente tenuto dal custode.
La pericolosità della cosa
Un altro aspetto da valutare e da porre sul piatto della bilancia della responsabilità custodiale è la pericolosità intrinseca della cosa custodita. Il carattere della pericolosità, sebbene non prevista dal codice civile, rileva ai fini della prova liberatoria, incorrendo il custode in maggiori difficoltà nella dimostrazione del caso fortuito, dal momento che la pericolosità dell’oggetto implica necessariamente una maggiore prevedibilità delle possibili ripercussioni negative che possono principiare dalla stessa. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha condannato l’Ente regionale per lo sviluppo agricolo per aver lasciato incustodito e senza tappo un recipiente contenente acido solforico in un luogo di transito, obbligandolo a risarcire i danni patiti da un passante che vi era inciampato, sulla considerazione della prevedibilità di un simile accadimento [10]. Perché il caso fortuito valga a liberare il custode, quindi, occorre verificare il suo grado di diligenza in riferimento soprattutto all’adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno.
[2] Art. 2051 cod. civ.
[3] Cass., sent. n. 11275/2005 del 27.05.2005.
[4] Cass., sent. n. 2962/2011 del 07.02.2011.
[5] Art. 826 cod. civ.
[6] Art. 423-bis cod. pen.
[7] Cass., sent. N. 981/1964 del 23.04.1964.
[8] Tribunale Venezia, 05.01.2001.
[9] Cass., 15.2.1982, n. 365.
[10] Cass., sent. N. 6616/2000 del 22.05.2000.
Fonte: www.laleggepertutti.it
Altra ipotesi è quella del danno alla propria abitazione (ma si ripete, potrebbe trattarsi di qualsiasi bene giuridico) derivante dall’incendio di un vicino bosco. Secondo il codice civile I boschi e le foreste, quando appartengono allo Stato o alle Regioni, fanno parte del patrimonio indisponibile, rispettivamente, dello Stato o delle Regioni [5]; invece, i boschi e le foreste, quando appartengono ai Comuni, fanno parte del loro patrimonio disponibile. Ora, sorvolando sulla disciplina giuridica dei demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, anche in questo caso si applicherà la norma sulla responsabilità delle cose in custodia. Quindi, la responsabilità per l’incendio divampato in un bosco sarà attribuibile all’ente che ne è titolare (ad esempio la Regione), a meno che non dimostri l’assoluta imprevedibilità dell’evento. Si capisce che, soprattutto nei periodi estivi, le condizioni climatiche non potranno essere addotte quale caso fortuito, in quanto la siccità è evento tutt’altro che imprevedibile in estate. Diversamente può accadere nel caso di incendio dolosamente appiccato: vale qui quanto detto sopra, in considerazione anche del fatto che l’incendio boschivo costituisce reato [6]. Si ricordi che molte Regioni mettono a disposizione delle vittime degli incendi fondi appositamente stanziati per tali calamità, risorse volte a ristorare il cittadino anche nel caso di incendio doloso.
La giurisprudenza, a proposito di boschi non appartenenti ad enti pubblici, ha riconosciuto la responsabilità del proprietario di un bosco per i danni cagionati da un incendio sviluppatosi al suo interno [7]. Un discutibile orientamento, frequente soprattutto nella giurisprudenza di merito meno recente, ha stabilito che l’accertamento della natura dolosa dell’incendio non è, di per sé, sufficiente a sollevare da responsabilità il custode, qualora il relativo procedimento penale sia stato archiviato perché i responsabili sono rimasti ignoti [8]. Per fortuna, la Corte di Cassazione non ha sposato tale convincimento, preferendo assolvere il custode, anche in mancanza di identificazione del responsabile, quando sia raggiunta la prova dell’intervento doloso di un terzo [9].
In particolare: l’incendio doloso
Si è detto che, di norma, l’incendio appiccato da terzi è elemento idoneo ad integrare il cosiddetto caso fortuito in quanto elemento esterno alla volontà del custode. Questa regola, però, non è sempre valida. Si è ricordato che il caso fortuito è un evento eccezionale ed imprevedibile: ebbene, può essere definito imprevedibile il rogo causato da un piromane in un’area boschiva soggetta ad incendi naturali oppure a condotte criminose di questo tipo? In questi casi non può senz’altro dirsi che l’incendio sia un evento imprevedibile o eccezionale e, pertanto, dovrà ravvisarsi comunque la responsabilità del custode. È chiaro che ogni circostanza è irripetibile e merita una valutazione ad hoc: ad esempio, l’incendio doloso appiccato ad una proprietà “chiusa” (un’abitazione, un’automobile) o difficilmente raggiungibile (perché delimitata o protetta) scagionerà il custode molto più facilmente rispetto ad una proprietà “aperta” (bosco o foresta) o comunque facilmente accessibile (il custode di un capannone contenente materiale infiammabile e lasciato aperto difficilmente potrà dire che il fatto del terzo costituisca caso fortuito). Molto dipende, quindi, anche dal comportamento prudente effettivamente tenuto dal custode.
La pericolosità della cosa
Un altro aspetto da valutare e da porre sul piatto della bilancia della responsabilità custodiale è la pericolosità intrinseca della cosa custodita. Il carattere della pericolosità, sebbene non prevista dal codice civile, rileva ai fini della prova liberatoria, incorrendo il custode in maggiori difficoltà nella dimostrazione del caso fortuito, dal momento che la pericolosità dell’oggetto implica necessariamente una maggiore prevedibilità delle possibili ripercussioni negative che possono principiare dalla stessa. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha condannato l’Ente regionale per lo sviluppo agricolo per aver lasciato incustodito e senza tappo un recipiente contenente acido solforico in un luogo di transito, obbligandolo a risarcire i danni patiti da un passante che vi era inciampato, sulla considerazione della prevedibilità di un simile accadimento [10]. Perché il caso fortuito valga a liberare il custode, quindi, occorre verificare il suo grado di diligenza in riferimento soprattutto all’adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno.
note
[1] Art. 2043 cod. civ.[2] Art. 2051 cod. civ.
[3] Cass., sent. n. 11275/2005 del 27.05.2005.
[4] Cass., sent. n. 2962/2011 del 07.02.2011.
[5] Art. 826 cod. civ.
[6] Art. 423-bis cod. pen.
[7] Cass., sent. N. 981/1964 del 23.04.1964.
[8] Tribunale Venezia, 05.01.2001.
[9] Cass., 15.2.1982, n. 365.
[10] Cass., sent. N. 6616/2000 del 22.05.2000.
Fonte: www.laleggepertutti.it
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