Beppe Grillo (foto d'archivio)
Il destino delle regionali siciliane è tracciato. Trionferà l'antipolitica. Per colpa della politica.
Ogni mattina, i siciliani si alzano disperati per disperarsi ancora di più. Prende un amarissimo caffè il cinquantenne della Formazione, espulso dal sistema grazie ai prodigi del Crocettismo. Sa che non avrà più un lavoro e che non andrà mai in pensione. E da quel pensiero tremendo comincia la sua lotta epica tra sopravvivenza e dignità, con una vita ridotta a fondo della tazzina.
Lo accompagna la moglie che ha un marito a casa, sputato fuori dalla tranquillità come un nocciolo ormai inservibile. Segue, nella tintura nera di una tragedia domestica, il figlio che vede i genitori con le lacrime agli occhi, mentre si sforzano di sorridere egualmente, e bestemmia la Sicilia, la politica e la Regione. E maledice tutti coloro che si sono ammantati di privilegio, solo per esibire noncuranza e menefreghismo, mentre – loro, i patrizi di una casta decotta, ma ben salda nelle sue guarentigie – se ne restano eternamente in vacanza, lontani dal dolore della gente minuta, baciati da una fortuna che non avrebbero meritato.
Eppure, questi siciliani derelitti, abbandonati e arrabbiati hanno un fucile caricato con i pallettoni della democrazia. E lo useranno. Anzi, non stanno più nella pelle. Il 5 novembre prossimo andranno a votare, solo per sparare contro il vecchio. Così, incoroneranno il nuovo presidente, nella persona di Giancarlo Cancelleri, unto del web e di Beppe Grillo.
Sarà insomma – come scrivono i sapienti – il trionfo dell'antipolitica. Ma nessuno potrà scagliare la pietra del commento puntuto e tracotante contro il risultato delle urne e i freschi padroni del Palazzo, poiché sarà stata proprio la politica – l'orrenda politica siciliana, con le sue ombre malmesse – ad avere edificato la trazzera pentastellata, dritta e sicura verso le stanze di Palazzo d'Orleans. E i responsabili sono tutti lì, in fila, con nome e cognome.
C'è Saro Crocetta da Gela, la caricatura politica di un governatore. Con la sua antimafia da esibizione, con la sua incapacità di amministrare, con quei suoi spropositi nel salotto dell'amico Giletti, con la sua semina di niente e il suo raccolto di nulla: è lui il principale costruttore di quella trazzera.
Accanto, spicca un centrosinistra esangue che vede nel 5 novembre la madre di ogni apocalisse. Il Pd di Renzi che si ricorda della Sicilia solo quando deve presentare il suo libruccio a Mondello. Il Pd dei siculi renziani che non hanno saputo prendere le distanze da Saro, nonostante i friabili distinguo tra critici e consenzienti. L'informe Pd che non ha rottamato alcunché ed è stato il garante della conservazione. Il Pd che rincorre Alfano, manco fosse Neymar e già mostra quanto sia irrilevante.
C'è poi – nell'albo della colpa - il centrodestra che avrebbe avuto l'occasione di ricominciare a parlare di cose politiche, nonostante gli errori commessi quaggiù e l'afflizione di classi dirigenti quasi mai all'altezza. Sarebbe stato sufficiente ricopiare la formula del 'tutti uniti' che ha registrato un importante successo alle scorse amministrative.
Invece no. Angelino Alfano ha fatto quello che fa da sempre: il pendolo per esigenze tattiche, una volta blandito da una scelta di campo, una volta innamorato dell'opzione contrapposta. Nello Musumeci avrebbe dovuto, magari, intavolare una discussione, prima della fuga in avanti che tanto ha indispettito i potenziali alleati. Gianfranco Miccichè avrebbe, forse, potuto gestire meglio la difficile transizione, non 'alfanizzandosi' fino al punto di apparire ossessionato dalle alchimie più che dai sentimenti delle persone.
Ecco perché anche il miope centrodestra è responsabile della trazzera dell'antipolitica e del suo trionfo venturo che, quasi sicuramente, prenderà le mosse da Palermo per piantare i suoi vessilli sulle guglie di Palazzo Chigi.
La linea del 'Vaffanculo' sembra tracciata. I padri, le madri, i mariti, le mogli, i figli, non trovando più la tavola apparecchiata dalla politica, si rivolgeranno alle suggestioni delle brillantissime cinque stelle che si appannano soltanto se incontrano avversari all'altezza, altrimenti si pappano in un vorace boccone le caste decotte.
Giancarlo Cancelleri vincerà, prometterà, regnerà a Palazzo d'Orleans. Infine, fallirà, come la sindaca Raggi in Campidoglio. Certo, Giancarlo non è Virginia. Ha pelo sullo stomaco, esperienza e il praticantato all'Ars non è stato da buttare. Tuttavia, da quelle parti, la contraddizione inestirpabile non muta e conduce, appunto, al fallimento.
O segui la teocrazia del sacro blog e cadi, perché con quelle leggine inconsistenti e suggestive non si può governare. O ti inventi una condotta indipendente, governi e cadi egualmente, perché ti accuseranno di altissimo tradimento e ti mascarieranno, rendendo ogni passo impossibile. Chissà, il buon Giancarlo, che tipo di sconfitta sceglierà.
Fonte: livesicilia.it
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