di Raffaella Pessina
Cinque anni di annunci e impugnative, senza una vera maggioranza. Stallo politico-amministrativo che danneggia i siciliani
PALERMO - A pochi mesi dalle elezioni regionali, il bilancio sulle
riforme che dovevano essere attuate in Sicilia è deludente. I cosiddetti
“cavalli di battaglia” del governatore Rosario Crocetta, si sono
tradotti per lo più in un nulla fatto o, peggio ancora, in un clamoroso
ritorno al passato come ad esempio il ripristino dell’elezione diretta
per le Province, con tanto di indennità.
Della rivoluzione più volte annunciata, purtroppo non c’è traccia e i rapporti diffusi da Istat e Banca d’Italia fotografano sistematicamente una regione in grande affanno. C’è da dire che Crocetta non ha avuto vita facile in questi cinque anni e la responsabilità delle promesse, delle mancate riforme, dello spreco di risorse pubbliche, del pessimo utilizzo dei fondi europei, della mancata programmazione è da attribuire in gran parte anche al Parlamento siciliano, incapace di dare risposte concrete ai problemi dei cittadini.
Fin dall’inizio della XVI Legislatura, sono state annunciate congrande enfasi le riforme di tutto l’apparato siciliano (province, appalti, acqua, rifiuti, PA, ecc), ma alla fine dei conti le stesse sono rimaste sempre al palo. Provvidenziale l’arrivo da Roma di Alessandro Baccei, uomo di Delrio, che da assessore all’Economia ha lavorato duramente per “ripulire” i conti.
Quasi tutte le leggi di riforma approvate in questi cinque anni dall’Assemblea regionale sono state impugnate dal Consiglio dei Ministri, perché il commissario dello Stato non c’è più. O meglio, con la sentenza n. 255 della Consulta, gli è stata tolta la funzione principale, che era quella di impugnare le leggi o gli articoli ritenuti incostituzionali proponendo il ricorso alla Consulta e impedendo l’entrata in vigore. Al Commissario dello Stato resta invece il potere di proporre a Roma lo scioglimento dell’Ars in caso di gravi violazioni (come la mancata approvazione del bilancio).
Tornando alle riforme mancate, l’elenco è lungo e più volte in questi anni è stata invocata a gran voce la fine anticipata della legislatura, ma alla fine in Parlamento ha sempre prevalso la necessità di conservare lo scranno così faticosamente ottenuto, anche perchè la prossima legislatura ha falciato ben 20 posti, e quella a cui assisteremo nei prossimi mesi per le elezioni regionali sarà indubbiamente una guerra senza esclusione di colpi. E così sono rimaste al palo la riforma dell’assetto idrico della Regione, dei rifiuti, la sburocratizzazione, quella sul reddito minimo garantito, la legge di riforma della formazione professionale, dell’abolizione della maggior parte delle partecipate, i famosi carrozzoni mangiasoldi.
Di “Stallo politico-amministrativo” ha parlato più volte la Corte dei Conti siciliana, nei sui giudizi emessi di anno in anno, l’ultimo dei quali è stato addirittura sospeso come mai successo nella storia della Sicilia per problemi di bilancio. Alla fine colui che si era presentato come il governatore delle riforme si è ritrovato a scrivere sotto dettatura di Roma, firmando un accordo nel giugno del 2016 con il quale ha di fatto rinunciato all’Autonomia siciliana in termini di legiferazione. Con quella firma Crocetta ha ottenuto una somma utile a chiudere il bilancio del 2016, ma si è impegnato recepire non solo la riforma nazionale sulle partecipate, ma anche, ad esempio, quella sugli enti regionali in liquidazione e persino la cosiddetta “riforma Madia” contro i furbetti del cartellino.
19 agosto 2017 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: www.qds.it
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