Se il dipendente è assente a causa di un infortunio o di una malattia professionale e supera il periodo di comporto può essere licenziato?
Normalmente, le assenze del lavoratore dovute ad un infortunio sul lavoro o a una malattia professionale sono computabili nel periodo di comporto, cioè di conservazione del posto di lavoro. Queste assenze, difatti, anche se connesse all’attività lavorativa, sono riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nel codice civile [1].
Non basta, dunque, che l’infermità abbia un’origine professionale, per poter detrarre l’assenza per malattia dal periodo di comporto: la malattia, perché non sia conteggiata nel periodo massimo di conservazione del posto, deve invece essere collegata a una responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi in materia di salute e sicurezza[2].
Questo principio è stato confermato da una recente sentenza della Cassazione [3]: la disposizione chiarisce, da un lato, che la responsabilità del datore di lavoro, in caso di malattia del dipendente connessa all’attività svolta, non è automatica, ma deve essere provata; nel caso in cui la responsabilità sia accertata, però, l’assenza per malattia non può essere computata nel periodo di comporto, dunque il lavoratore non può essere licenziato per il superamento del periodo di conservazione del posto.
Ma procediamo per ordine e cerchiamo di fare chiarezza sui casi in cui l’infermità del dipendente è connessa alla responsabilità del datore di lavoro e sulle modalità con cui deve essere provato il nesso tra la responsabilità dell’azienda e il danno subito dal lavoratore.
Malattia e infortunio del dipendente: responsabilità del datore di lavoro
Il codice civile [2] non prevede una responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, nel caso in cui il dipendente subisca un infortunio o si verifichi una malattia professionale; il datore, per essere considerato responsabile dell’infermità, deve violare:- un obbligo di comportamento imposto da norme di legge;
- un obbligo suggerito dalle conoscenze sperimentali o tecniche più recenti.
- l’esistenza di un danno alla sua salute;
- la dannosità dell’ambiente di lavoro o delle attività svolte;
- il collegamento tra il danno e la nocività dell’attività o dell’ambiente.
- di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno;
- che l’infermità non è connessa all’inosservanza degli obblighi in materia di salute e sicurezza.
Misure di sicurezza definite o indefinite
Per quanto riguarda l’inosservanza degli obblighi in materia di salute e sicurezza, se le misure sono specificamente definite da una legge, per il datore è sufficiente dimostrare l’inesistenza della violazione e del collegamento tra questa e il danno.Se le misure di sicurezza, invece, non sono definite da una norma, ma rientrano nel generico obbligo di tutela dei lavoratori negli aspetti concernenti la salute e la sicurezza, il datore deve provare di aver adottato i comportamenti che, pur non essendo prescritti dalla legge:
- sono raccomandati da conoscenze sperimentali e tecniche;
- sono raccomandati dagli standard di sicurezza normalmente osservati o da fonti analoghe.
Malattia causata dal datore di lavoro
Se viene accertata la responsabilità del datore di lavoro per la mancata attuazione delle misure in materia di salute e sicurezza, e l’inadempimento è collegato alla malattia del lavoratore, il periodo di assenza dovuto all’infermità non può essere conteggiato nel periodo di comporto.In buona sostanza, se la malattia dipende dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, causata dall’inadempimento, da parte del datore, degli obblighi in materia di salute e sicurezza, il periodo di assenza non rileva nella soglia massima di conservazione del posto di lavoro.
Nel caso in cui, dunque, il lavoratore sia licenziato a causa della prolungata assenza per infermità, il licenziamento si considera ingiustificato.
note
[1] Art. 2110 cod. civ.[2] Art. 2087 cod. civ.
[3] Cass. sent. 15972/2017.
Fonte: www.laleggepertutti.it
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