La Sicilia che brucia rammenta, per libera associazione di catastrofi, Roma antica in fiamme: il teatro di un disfacimento che, nel fuoco finale, rintraccia la sua tragica compiutezza.
E certo non diremmo mai che il noto Rosario Crocetta – per quanto politicamente incapace – abbia in sé un atomo che lo renda simile al famoso Nerone. Saro non ha appiccato mai nessun incendio, come una tradizione malevola vorrebbe per Nerone che avrebbe pure suonato la lira sulle macerie fumanti.
Saro non è un reprobo velleitario come era invece l'imperatore. E non ha alcuna responsabilità materiale diretta e indiretta nell'inferno bollente che sta spianando l'Isola che è opera di un disegno criminale chiarissimo e diffuso. Ma il grande rogo siciliano, come la devastazione romana, è a suo modo una metafora, una cartolina che verrà tramandata ai posteri per fornire, in via del tutto suggestiva, il simbolo di una desolazione, la descrizione di un'epoca. E la suggestione è appunto tutta qui e si ferma: nel bagliore che rimarrà negli occhi, forse anche oltre i fatti, e che descriverà, nella sua coda fiammeggiante, una sintesi indimenticabile dello sfascio.
Le colpe concrete, ovviamente non mancano, metafore a parte. La Regione arriva impreparata a un atteso appuntamento con l'emergenza. Pochi mezzi, uomini valorosi ma insufficienti. Immagini che raccontano la dinamica di uno sfacelo: turisti che fuggono in ciabatte, vigili del fuoco stanchi, canadair che solcano i cieli in un tempo di guerra. Una tragedia che chiama in causa un governo regionale, attentissimo nel distribuire incarichi, nel preservare i suoi cerchietti magici, nel salvaguardare politicamente clienti e sodali, ma assai superficiale nel fare quello che ci si aspettava che facesse: governare.
Questa Sicilia che fisicamente va in fumo è la drammatica cronaca che segue altre dissipazioni meno visibili. Chi verrà a Palazzo d'Orleans dopo Crocetta troverà davanti a sé il panorama di una terra desolata, col lavoro che non c'è, con i cinquantenni a ingrigire in casa, dopo avere perso il posto, con i conti in bilico, secondo il giudizio proprio della Corte dei Conti che ha sospeso la parifica per vederci chiaro, con le sue strade dissestate, con i deboli privati dei servizi essenziali, con i suoi ospedali lager – intanto la Sanità è ancora terreno di caccia e di carriera – con un senso immanente di rovina che permea i sogni dei giovani e i capelli bianchi dei vecchi.
E mentre questo accadeva, il presidente Crocetta che faceva? Suonava lo spartito della retorica nei salotti televisivi di Massimo Giletti, impancando crociate, denunciando senza risolvere, attaccando il potere che lui stesso rappresentava. Perché Rosario è così: criminalizza ciò che non sa sistemare.
Anche nel caso in specie – nell'orrenda storia dei piromani e della distruzione – Saro si è esibito nella specialità della casa: l'atto di accusa contro i complotti criminali, contro chi appicca le fiamme – giusto, giustissimo – senza, però, dire nulla in merito alle responsabilità politiche nei ritardi e nella disorganizzazione. Copione noto. Non è mai colpa sua, lui non c'entra niente, lui è casomai la vittima della cattiveria altrui. Eppure, nulla rimarrà degli alibi e delle discolpe del Crocettismo, se non l'ombra triste di una speranza in fumo.
13 Luglio 2017
Fonte: livesicilia.it
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