Pietrangelo Buttafuoco: «Cari grillini la Sicilia è già vostra, ma sarà inutile»
Il giornalista fra nuovo libro e relax siculo «Alle Regionali i cinque stelle vinceranno a man bassa, ma non sapranno governare Ci vuole un commissario che azzeri tutto»
È un Pietrangelo Buttafuoco a cinque stelle,
quello che sta girando nella sua Sicilia per le presentazioni del Il mio
Leo Longanesi (edizioni Longanesi), prima di arrivare, come in ogni
agosto, nel suo buen retiro in provincia di Ragusa.
Un Buttafuoco a cinque stelle che della Sicilia non salverebbe nulla, nemmeno i cinque stelle: «Auguro loro di trovare una Chiara Appendino siciliana. Ma non ce la faranno. Possono governare bene nella civile Torino, ma già a Roma si vede come stanno annaspando. Figurati in Sicilia che è ancora più a sud». E allora succederanno che Vinceranno a man bassa, prenderanno la regione, e finirà loro come finì a Pajetta quando prese la prefettura di Milano, lo comunicò a Togliatti e questo gli disse “e adesso che te ne fai?”».
È un Buttafuoco incendiato, in tour per un'isola incendiata, barba rasata e capello corto, l'eloquio che incede con passo militaresco combattendo una battaglia che prevede persa in partenza: forse anche per questo sembra in forma e felice mentre le donne gli svengono sugli stivali, per dire.
«Io gliel'ho detto, ma quelli, i cinque stelle, non mi vogliono ascoltare, ci vuole un commissario prefettizio alla Cesare Mori, sarebbe l'unica soluzione per quest'isola allo sbando, senza presente, senza futuro, che si è dimenticata della propria storia. Bisogna azzerare tutto e semplicemente non può farlo la politica, lo deve fare un Commissario. Gli uomini di buona volontà non bastano per la gravità della situazione in cui versa l'isola».
Nella visione di Buttafuoco (che è difficile non condividere) in Sicilia non ci sono né sinistra, «dovranno nascondersi, dovranno rendere conto per questa funesta esperienza crocettiana della quale hanno la responsabilità». Né destra, perché «c'è un solo uomo di destra pulito, splendido, brillante, specchiato ed è Nello Musumeci, ma si è messo in testa di fare il governatore della Sicilia senza rendersi conto che la battaglia è persa in partenza». E cioè: «Vinceranno i cinque stelle, non ce n'è per nessuno, sarebbe soltanto una lunga campagna elettorale senza risultato e la Sicilia non ha bisogno di una campagna elettorale per risollevarsi, quest'isola è il tumore non solo dell'Italia, ma dell'intero Mediterraneo, ci vuole la chirurgia non la sociologia». E allora? «Musumeci dovrebbe occuparsi di Catania, una città perduta. La destra, alla regione, deve saltare un giro».
Tra una elegante tavolata al Circolo Canottieri Jonica, una capatina a Linguaglossa, una puntata a Brolo (rigorosamente senza salame, è musulmano), Buttafuoco, abito blu, profilo da aquilotto, occhio ceruleo sferza i siciliani (entrambi concordiamo: bell'impresa): «Ma cosa ci dobbiamo aspettare da un popolo che ha visto Matteo Renzi inaugurare un ponte che non era stato colpito da alcuna calamità, sul quale non si era posato neanche l'ombra di una cazzuola, un ponte funzionante, esistente, sereno, Renzi lo inaugura e nessuno gli fa neanche una pernacchia, una pernacchietta, anzi lo hanno applaudito».
Ma adesso arriverà in pompa magna a Catania per la festa delle feste delle ultrafeste del Pd.
«C'è un equivoco. Sgombriamo il campo dell'errata interpretazione. Tutti dicono che la festa del Pd a Catania è un omaggio a Enzo Bianco, una investitura ufficiale per la candidatura a presidente della Regione. Ma quale. La verità è che hanno scelto Catania perché è l'unica grande città d'Italia dove non ci sono i cinque stelle. Cosa festeggiano? Una città dove, ne sono testimone, arrivi all'aeroporto e alle porte dei parcheggi ci sono decine e decine di cani randagi. Sembrava Bucarest dopo la caduta del regime. Ecco, questo è diventata Catania: una città randagia».
Una città e un'isola dove nelle edicole torna Il Foglio, fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa, del quale Pietrangelo è firma dalle origini: «Ne sono felice. Il Foglio ha una identità fortemente siciliana, oltre me sono siciliani il direttore, Peppino Sottile che in questi anni ha sempre ripreso gli articoli del giornale che si occupavano dell'isola rilanciandoli in rete su LiveSicilia, anche Giuliano Ferrara è siciliano, il suo bisnonno era di Piana degli Albanesi. E non dimentichiamo Vincino». Quotidiano di pensiero, di opinione, di grandi battaglie, di scontri funambolici, Il Foglio, speriamo, ci porterà fuori dalla marginalità: «La Sicilia è periferia estrema. Se guardi un atlante e lo confronti con le notizie internazionali, ti puoi rendere conto di come la Sicilia sia al centro di tutte le questioni che contano. Eppure la sua voce non è ascoltata».
Andiamo sui quotidiani nazionali soltanto per le macchiette, o per gli aneddoti.
«Una volta c'erano gli Sciascia, i Guttuso, Elvira Sellerio, che facevano sentire la loro voce. Ed era una voce che veniva ascoltata. Oggi sembra di urlare al vento. E dire che sono siciliani il presidente del Senato Piero Grasso, il ministro dell'Interno Angelino Alfano, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, eppure la Sicilia è come se non esistesse, sul piano internazionale, su quello nazionale, su nessun piano. E non era così negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta e non era così durante la presidenza di Rino Nicolosi, era un luogo presente, attivo, sullo scenario italiano, europeo, transatlantico, adesso è un'isola che proprio non c'è».
È un fuoco d'artificio di felice pessimismo, o forse di realismo, questo Buttafuoco quasi posseduto dallo spirito frondista di Leo Longanesi, all'opposizione di tutto, persino della speranza, infuocata dalla pars destruens la visione di Pietrangelo rimanda la pars costruens a un intervento esterno, commissariale, così non posso esimermi dal provocarlo: i commissari, almeno in Sicilia, sono oramai famosi per comportarsi secondo le indicazioni del potere politico che li ha messi lì, non sembra che manifestino una particolare indipendenza (recente la questione per il rinnovo della dirigenza Sac).
«Hai ragione. Certamente non dovrebbe essere un commissario espressione delle parrocchiette, dei consigli di quartiere. Mi augurerei un intervento diretto del presidente della Repubblica, sotto l'egida magari dell'Unione Europea. Non ti sembri esagerato. La Sicilia occupa una posizione altamente strategica, siamo di fronte alla Libia, al centro dei flussi migratori, il nostro mare è attraversato dai disperati, abbiamo Sigonella, abbiamo urgenza di un'alta assunzione di responsabilità, per questo mi rivolgo direttamente al presidente Sergio Mattarella».
Note le tue battaglie per i beni culturali in Sicilia, non ultima quella per la salvezza di Villa Piccolo.
«Bisogna fare passare un messaggio. Si dice sempre ma nessuno lo vuole mettere in pratica o capirlo veramente. Il nostro patrimonio culturale è la nostra prima risorsa economica. D'estate gli operatori turistici dovrebbe lavorare quattro o cinque volte di più che nel resto del Paese, invece non accade. Bisogna capire che se un turista viene, sempre che sopravviva alla muta di cani randagi dell'aeroporto, deve trovare i musei e i parchi aperti. Bisogna togliere questo deposito di ricchezza dalle mani della burocrazia, della mentalità impiegatizia, i beni vanno resi disponibili».
Cosa direbbe il tuo Leo Longanesi se oggi dovesse fare un viaggio in Sicilia?
«Si metterebbe a canticchiare una qualche canzone ribelle romagnola invocando gli anarchici. E voterebbe cinque
stelle».
Anche se è inutile senza commissariamento?
«Citando il nostro Nino Martoglio messo in scena da quel gigante di Angelo Musco, in Sicilia fa scuru, scuru scuru
e scuru. Ci vuole una stella che ci illumini. Anzi, ce ne vogliono cinque».
Un Buttafuoco a cinque stelle che della Sicilia non salverebbe nulla, nemmeno i cinque stelle: «Auguro loro di trovare una Chiara Appendino siciliana. Ma non ce la faranno. Possono governare bene nella civile Torino, ma già a Roma si vede come stanno annaspando. Figurati in Sicilia che è ancora più a sud». E allora succederanno che Vinceranno a man bassa, prenderanno la regione, e finirà loro come finì a Pajetta quando prese la prefettura di Milano, lo comunicò a Togliatti e questo gli disse “e adesso che te ne fai?”».
È un Buttafuoco incendiato, in tour per un'isola incendiata, barba rasata e capello corto, l'eloquio che incede con passo militaresco combattendo una battaglia che prevede persa in partenza: forse anche per questo sembra in forma e felice mentre le donne gli svengono sugli stivali, per dire.
«Io gliel'ho detto, ma quelli, i cinque stelle, non mi vogliono ascoltare, ci vuole un commissario prefettizio alla Cesare Mori, sarebbe l'unica soluzione per quest'isola allo sbando, senza presente, senza futuro, che si è dimenticata della propria storia. Bisogna azzerare tutto e semplicemente non può farlo la politica, lo deve fare un Commissario. Gli uomini di buona volontà non bastano per la gravità della situazione in cui versa l'isola».
Nella visione di Buttafuoco (che è difficile non condividere) in Sicilia non ci sono né sinistra, «dovranno nascondersi, dovranno rendere conto per questa funesta esperienza crocettiana della quale hanno la responsabilità». Né destra, perché «c'è un solo uomo di destra pulito, splendido, brillante, specchiato ed è Nello Musumeci, ma si è messo in testa di fare il governatore della Sicilia senza rendersi conto che la battaglia è persa in partenza». E cioè: «Vinceranno i cinque stelle, non ce n'è per nessuno, sarebbe soltanto una lunga campagna elettorale senza risultato e la Sicilia non ha bisogno di una campagna elettorale per risollevarsi, quest'isola è il tumore non solo dell'Italia, ma dell'intero Mediterraneo, ci vuole la chirurgia non la sociologia». E allora? «Musumeci dovrebbe occuparsi di Catania, una città perduta. La destra, alla regione, deve saltare un giro».
Tra una elegante tavolata al Circolo Canottieri Jonica, una capatina a Linguaglossa, una puntata a Brolo (rigorosamente senza salame, è musulmano), Buttafuoco, abito blu, profilo da aquilotto, occhio ceruleo sferza i siciliani (entrambi concordiamo: bell'impresa): «Ma cosa ci dobbiamo aspettare da un popolo che ha visto Matteo Renzi inaugurare un ponte che non era stato colpito da alcuna calamità, sul quale non si era posato neanche l'ombra di una cazzuola, un ponte funzionante, esistente, sereno, Renzi lo inaugura e nessuno gli fa neanche una pernacchia, una pernacchietta, anzi lo hanno applaudito».
Ma adesso arriverà in pompa magna a Catania per la festa delle feste delle ultrafeste del Pd.
«C'è un equivoco. Sgombriamo il campo dell'errata interpretazione. Tutti dicono che la festa del Pd a Catania è un omaggio a Enzo Bianco, una investitura ufficiale per la candidatura a presidente della Regione. Ma quale. La verità è che hanno scelto Catania perché è l'unica grande città d'Italia dove non ci sono i cinque stelle. Cosa festeggiano? Una città dove, ne sono testimone, arrivi all'aeroporto e alle porte dei parcheggi ci sono decine e decine di cani randagi. Sembrava Bucarest dopo la caduta del regime. Ecco, questo è diventata Catania: una città randagia».
Una città e un'isola dove nelle edicole torna Il Foglio, fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa, del quale Pietrangelo è firma dalle origini: «Ne sono felice. Il Foglio ha una identità fortemente siciliana, oltre me sono siciliani il direttore, Peppino Sottile che in questi anni ha sempre ripreso gli articoli del giornale che si occupavano dell'isola rilanciandoli in rete su LiveSicilia, anche Giuliano Ferrara è siciliano, il suo bisnonno era di Piana degli Albanesi. E non dimentichiamo Vincino». Quotidiano di pensiero, di opinione, di grandi battaglie, di scontri funambolici, Il Foglio, speriamo, ci porterà fuori dalla marginalità: «La Sicilia è periferia estrema. Se guardi un atlante e lo confronti con le notizie internazionali, ti puoi rendere conto di come la Sicilia sia al centro di tutte le questioni che contano. Eppure la sua voce non è ascoltata».
Andiamo sui quotidiani nazionali soltanto per le macchiette, o per gli aneddoti.
«Una volta c'erano gli Sciascia, i Guttuso, Elvira Sellerio, che facevano sentire la loro voce. Ed era una voce che veniva ascoltata. Oggi sembra di urlare al vento. E dire che sono siciliani il presidente del Senato Piero Grasso, il ministro dell'Interno Angelino Alfano, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, eppure la Sicilia è come se non esistesse, sul piano internazionale, su quello nazionale, su nessun piano. E non era così negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta e non era così durante la presidenza di Rino Nicolosi, era un luogo presente, attivo, sullo scenario italiano, europeo, transatlantico, adesso è un'isola che proprio non c'è».
È un fuoco d'artificio di felice pessimismo, o forse di realismo, questo Buttafuoco quasi posseduto dallo spirito frondista di Leo Longanesi, all'opposizione di tutto, persino della speranza, infuocata dalla pars destruens la visione di Pietrangelo rimanda la pars costruens a un intervento esterno, commissariale, così non posso esimermi dal provocarlo: i commissari, almeno in Sicilia, sono oramai famosi per comportarsi secondo le indicazioni del potere politico che li ha messi lì, non sembra che manifestino una particolare indipendenza (recente la questione per il rinnovo della dirigenza Sac).
«Hai ragione. Certamente non dovrebbe essere un commissario espressione delle parrocchiette, dei consigli di quartiere. Mi augurerei un intervento diretto del presidente della Repubblica, sotto l'egida magari dell'Unione Europea. Non ti sembri esagerato. La Sicilia occupa una posizione altamente strategica, siamo di fronte alla Libia, al centro dei flussi migratori, il nostro mare è attraversato dai disperati, abbiamo Sigonella, abbiamo urgenza di un'alta assunzione di responsabilità, per questo mi rivolgo direttamente al presidente Sergio Mattarella».
Note le tue battaglie per i beni culturali in Sicilia, non ultima quella per la salvezza di Villa Piccolo.
«Bisogna fare passare un messaggio. Si dice sempre ma nessuno lo vuole mettere in pratica o capirlo veramente. Il nostro patrimonio culturale è la nostra prima risorsa economica. D'estate gli operatori turistici dovrebbe lavorare quattro o cinque volte di più che nel resto del Paese, invece non accade. Bisogna capire che se un turista viene, sempre che sopravviva alla muta di cani randagi dell'aeroporto, deve trovare i musei e i parchi aperti. Bisogna togliere questo deposito di ricchezza dalle mani della burocrazia, della mentalità impiegatizia, i beni vanno resi disponibili».
Cosa direbbe il tuo Leo Longanesi se oggi dovesse fare un viaggio in Sicilia?
«Si metterebbe a canticchiare una qualche canzone ribelle romagnola invocando gli anarchici. E voterebbe cinque
stelle».
Anche se è inutile senza commissariamento?
«Citando il nostro Nino Martoglio messo in scena da quel gigante di Angelo Musco, in Sicilia fa scuru, scuru scuru
e scuru. Ci vuole una stella che ci illumini. Anzi, ce ne vogliono cinque».
30 Luglio 2016
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