I rivoluzionari di Crocetta, candidati nel 2012 e indagati.
L'ombra della mafia, i comitati d'affari e la truffa all'Ue
Cronaca – «Lavoro e legalità». Con questo slogan il governatore girava le piazze quattro anni fa. Intanto alcuni dei più votati del Megafono (e non solo) sono finiti nelle indagini dei pm. Da Alcamo a Vittoria, passando per Messina, Palermo e Siracusa. C'è un problema nella selezione di chi dovrebbe rappresentare il cambiamento?
Salvo Catalano
«Per la prima volta dal dopoguerra abbiamo la possibilità di dar vita a un governo regionale che si fonderà su due elementi centrali: lavoro e legalità». Così parlava Rosario Crocetta dal palco di Messina il 20 ottobre del 2012, nel pieno della campagna elettorale che, pochi giorni dopo, lo avrebbe visto diventare governatore. Secondo gli inquirenti, tra gli organizzatori di quel comizio ci sarebbe stato anche Angelo Pernicone, arrestato lo scorso maggio con l'accusa di associazione mafiosa. Insieme a lui pure il figlio Giuseppe che, in quell'evento elettorale, avrebbe curato il servizio d'ordine.
Entrambi avrebbero procacciato voti per Franco Rinaldi che, tra le fila del Pd, con oltre 18mila preferenze contribuì all'elezione di Crocetta. A quattro anni di distanza dall'annunciata rivoluzione crocettiana, il caso Messina non sembra isolato. Sono diversi i sostenitori dell'attuale presidente a essere finiti nelle maglie della magistratura. La maggior parte di questi nel 2012 erano candidati nelle liste del Megafono, il movimento personale di Crocetta.
Come Pasquale Perricone, ex vicesindaco di Alcamo, arrestato pure lui a maggio per associazione a delinquere nell'ambito dell'operazione Dirty Affairs. Secondo la Procura di Trapani, sarebbe stato l'uomo a disposizione della cosca Melodia all'interno dell'amministrazione comunale. Perricone, intercettato nel novembre del 2014, si vantava delle sue amicizie: «Io ho conosciuto il gotha. Bagarella ho incontrato». Alle elezioni regionali del 2012 è il più votato del Megafono nella provincia di Trapani, ma le 2.769 preferenze ottenute non gli bastano per sedere a palazzo dei Normanni.
Un altro rimasto fuori dal portone dell'Ars, nonostante sia il più votato del Megafono nel Palermitano, è Giuseppe Faraone, ex consigliere comunale di Palermo ed ex assessore provinciale. Già candidato con il Mpa di Lombardo alle regionali del 2006, Crocetta lo inserisce nella sua lista nel 2012. Viene arrestato nel febbraio del 2015 durante l'operazione Apocalisse 2, con l'accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Faraone nei comizi professava «legalità e giustizia», ma poi avrebbe chiesto il pizzo e fatto accordi con il boss del suo quartiere, Francesco D’Alessandro, capo mandamento di Resuttana e San Lorenzo, in cella dopo l’operazione Apocalisse.
L'ombra della mafia torna anche a Vittoria. Stavolta a essere accusato è Fabio Nicosia, fratello del sindaco uscente del Pd Giuseppe. Per entrambi, l'ipotesi di reato è voto di scambio politico-mafioso perché, secondo gli inquirenti, hanno ricevuto l'appoggio dell'organizzazione mafiosa della Stidda (in particolare del clan Dominante-Carbonaro) in più tornate elettorali. E tra queste anche le Regionali del 2012, quando Fabio Nicosia riceve tremila preferenze nella lista del Megafono, ma che non gli bastano a far scattare il seggio. Nello scambio con la Stidda, la contropartita sarebbero stati favori e assunzioni di soggetti vicini ai clan nella partecipata del Comune per la gestione dei rifiuti.
Chi all'Ars invece ci è finito, per poi essere indagato, è Giambattista Coltraro, notaio di Siracusa eletto nel 2012 nelle liste del Megafono, poi transitato in Articolo 4, infine in Sicilia democratica, sempre a sostegno del presidente Crocetta. Secondo la Procura aretusea il deputato avrebbe contribuito a mettere in atto una truffa da centinaia di migliaia di euro all'Unione europea da parte di un'associazione a delinquere che si appropriava di migliaia di ettari di terreni tra Catania e Siracusa, all'insaputa dei legittimi proprietari, specie «persone molto anziane o in condizioni di debolezza socio economica». Per allontanare questi ultimi, le terre venivano avvelenate, incendiate, invase dalle mandrie. Poi sarebbe entrato in gioco Coltraro, accusato di aver falsificato gli atti per ottenere i fondi europei. Al vertice dell'associazione ci sarebbe il lentinese Antonino Carcione, ritenuto uomo del clan dei Tortoriciani, lo stesso a cui hanno dichiarato guerra il presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, scampato a un agguato, e il sindaco di Troina, Fabio Venezia, sotto scorta.
C'è un problema nella selezione dei candidati che dovrebbero rappresentare la rivoluzione della legalità proclamata dal presidente Crocetta e dalla coalizione che lo sostiene? Abbiamo provato a chiederlo al presidente della Regione che, al momento, non ha risposto. A replicare è l'attuale coordinatore del Megafono, Salvatore Calleri, in carica da circa sei mesi. «I candidati citati - spiega - al momento delle elezioni non risultavano in alcun modo indagati e provenivano da un accordo di coalizione. Coltraro, tra l'altro, è di dominio pubblico che è stato tra i primi a lasciare il gruppo parlamentare del Megafono». Sull'opportunità di effettuare verifiche che precedano l'intervento della magistratura, Calleri precisa: «Purtroppo gli strumenti di controllo a disposizione di un privato sono pochi. Ci si deve affidare all'istinto, che in qualche caso funziona. Tant'è che alle ultime elezioni comunali, a Vittoria ed in molti altri Comuni, non abbiamo presentato liste a sostegno dei sindaci. Scelta imposta da me dopo aver sentito i riferimenti provinciali. Nel caso in cui poi l'istinto sbagli - conclude il coordinatore - conta il tempo di reazione successivo: fuori subito se c'è odore di mafia».
28 Giugno 2016
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