Infortunio sul lavoro, il datore verifica i presidi di sicurezza
Il datore di lavoro deve predisporre le misure antinfortunio, informare i lavoratori sul loro corretto utilizzo e verificare l’effettiva adozione, da parte di questi ultimi, degli strumenti di protezione. Di conseguenza, se per prassi, tollerata dal datore, i dipendenti non utilizzano tali strumenti e si verifica un incidente, è solo il datore di lavoro a risponderne e a dover risarcire il danno. È quanto chiarito dalla Corte di Appello di Trento con una recente sentenza
[1].
La vicenda
Un datore di lavoro è stato ritenuto responsabile dell’infortunio occorso a un suo dipendente, feritosi gravemente all’occhio mentre utilizzava una macchina chiodatrice pneumatica senza gli occhiali di protezione.
Il datore è stato così sottoposto a procedimento penale per lesioni personali e per la violazione di alcune norme poste dal Tu sulla sicurezza sul lavoro [2] per avere, con il suo comportamento negligente, determinato l’infortunio, omettendo di richiedere ai lavoratori l’utilizzo degli occhiali di sicurezza.
Datore di lavoro sanzionato per le prassi aziendali da lui tollerateSe la mancata adozione delle misure di protezione sul lavoro, da parte dei dipendenti, è una prassi consolidata e tale modo di operare è da sempre tollerato dal titolare della società, è quest’ultimo a risponderne. La prova della “tolleranza” di tali comportamenti irresponsabili dei lavoratori può essere, per esempio, dato dalla mancata adozione di sanzioni nei loro confronti per le violazioni commesse. In pratica, il datore deve dimostrare di aver concretamente contrastato e impedito – per quanto nel suo potere – comportamenti dei propri dipendenti volti ad aumentare il pericolo di infortuni.
Secondo la sentenza in commento, il datore non può limitarsi solo a fornire ai dipendenti tutti i dispositivi di protezione necessari, ma deve anche verificare concretamente l’utilizzo degli stessi, anche se non è sempre presente in cantiere. Questo significa che, laddove tale utilizzo non venga posto in essere, l’azienda deve adottare le sanzioni e disincentivare tali pratiche.
In materia di infortunio sul lavoro, vige il principio per il quale il datore è esente da responsabilità solo se il comportamento del dipendente può essere qualificato come “eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile, e non già quando l’irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo”. In sostanza, il fatto di sapere che i propri dipendenti non utilizzano i presidi di sicurezza (nel caso di specie gli occhiali antinfortunistici) prova la colpevolezza del datore. Quest’ultimo cioè deve controllare “fino alla pedanteria” che i lavoratori rispettino le norme antinfortunistiche. E la lamentata condotta negligente del lavoratore non vale a escludere la responsabilità penale del datore, “i cui obblighi sono mirati alla tutela dei lavoratori anche dai rischi che la loro stessa imprudenza concorra a causare”.
La sentenza
Corte d’Appello di Trento – Sezione penale – Sentenza 24 giugno 2015 n. 186
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI TRENTO
SEZIONE PENALEcomposta dai signori magistrati:
Dott. CARMINE PAGLIUCA PRESIDENTE
D.ssa DANIELA GENALIZZI CONSIGLIERE
D.ssa ANNA MARIA CREAZZO CONSIGLIERE
ha pronunciato in pubblica udienza la seguente SENTENZA
nei confronti di
PI.ST. nt. (…) residente a Montagna (BZ) via (…) (dom. det.) Non sofferta carcerazione preventiva
LIBERO – CONTUMACE
IMPUTATO
Corte d’Appello di Trento – Sezione penale – Sentenza 24 giugno 2015 n. 186
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI TRENTO
SEZIONE PENALEcomposta dai signori magistrati:
Dott. CARMINE PAGLIUCA PRESIDENTE
D.ssa DANIELA GENALIZZI CONSIGLIERE
D.ssa ANNA MARIA CREAZZO CONSIGLIERE
ha pronunciato in pubblica udienza la seguente SENTENZA
nei confronti di
PI.ST. nt. (…) residente a Montagna (BZ) via (…) (dom. det.) Non sofferta carcerazione preventiva
LIBERO – CONTUMACE
IMPUTATO
del reato p. e p. dagli artt. 40 cpv. e 590, comma 3, c.p. con riferimento all’art. 583, comma 1 n. 1) e 2) c.p., perché, in qualità di Amministratore unico della “Da. S.r.l.” con riferimento ai lavori in corso presso il cantiere edile “Ca.Si.” e relativi al risanamento di uno stabile con realizzazione di un piano interrato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché nella violazione degli artt. 18, comma 1 lett. f), e 71, comma 4 lett. a), D.lgs. n. 81/2008, cagionava a Bo.Me., dipendente della predetta società, lesioni personali consistite in una cataratta traumatica all’occhio destro con conseguente necessità di impianto di cristallino artificiale dalle quali derivava una malattia o comunque una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni e l’indebolimento permanente della vista.
Condotta consistita nell’avere omesso di richiedere ai lavoratori l’osservanza dell’obbligo di indossare gli occhiali di sicurezza durante l’utilizzo della chiodatrice pneumatica “(…)”, in conformità alle istruzioni d’uso dell’attrezzatura e come riportato sul piano operativo di sicurezza, facendo si che il Bo., intento al fissaggio di alcune tavole sulle travi a sbalzo del tetto dello stabile, mediante l’utilizzo della suddetta chiodatrice pneumatica, venisse colpito all’occhio destro da un chiodo che, sparato dal macchinario, rimbalzava all’indietro dopo aver battuto su una superficie rigida, conficcandosi nell’occhio.
APPELLANTE
L’imputato avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto in composizione monocratico n. 350/13 del 05/11/2013 che dichiarava Pi.St. colpevole del reato contestatogli e, concesse le attenuanti generiche equivalente alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di giorni 20 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Sostituiva la pena detentiva con Euro 5.000,00 di multa.
Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal Consigliere D.ssa Anna Maria Creazzo
Sentito il Procuratore Generale dr. Gi.Fo. che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Sentito il difensore di fiducia avv. Ma.Br., di Bolzano anche in sostituzione dell’avv. Ca.Be. di Bolzano che chiede l’accoglimento dei motivi d’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa in data 5 novembre 2013 il Tribunale di Rovereto ha condannato Pi.St., concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di giorni 20 di reclusione ritenendolo responsabile del reato p. e p. dagli artt. 40 cpv. e 590, comma 3, c.p. con riferimento all’art. 583, comma 1 n. 1) e 2) c.p., per avere, quale Amministratore unico della “Da. Srl”, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché nella violazione degli artt. 18, comma 1 lett. t), e 71, comma 4 lett. a), Dlgs n. 81/2008, cagionato al dipendente Bo.Me. lesioni personali(cataratta traumatica all’occhio destro con conseguente necessità di impianto di cristallino artificiale) dalle quali derivava una malattia o comunque una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni e l’indebolimento permanente della vista), omettendo di richiedere ai lavoratori l’utilizzo di occhiali di sicurezza nell’uso dell’inchiodatrice “(…)”, cosicché il Bo., intento al fissaggio di alcune tavole sulle travi a sbalzo del tetto dello stabile, mediante l’utilizzo della suddetta chiodatrice pneumatica, veniva colpito all’occhio destro da un chiodo che, sparato dal macchinario, rimbalzava all’indietro dopo aver battuto su una superficie rigida, conficcandosi nell’occhio.
Il 2 marzo 2011 Bo.Me., operaio qualificato della S.r.l. “DA.”, mentre era intento al fissaggio di alcune tavole a sbalzo sul tetto di uno stabile in ristrutturazione mediante l’utilizzo di una pistola inchiodatrice ad aria compressa, era stato colpito all’occhio destro da un chiodo che era rimbalzato all’indietro dopo avere, verosimilmente, battuto contro la superficie (dura) di una delle tavole, subendo le lesioni personali gravi di cui all’imputazione.
I testi escussi in giudizio, Bo.Me. e Th.Ma., avevano dichiarato di non esser soliti indossare gli occhiali quando utilizzavano la pistola inchiodatrice, anche se al teste Th. era stato altresì contestato dal P.M. di aver dichiarato, in sede di sommarie informazioni, di non avere visto nessuno dei colleghi utilizzare gli occhiali di protezione durante l’operazione di chiodatura (dichiarazione non confermata).
Era poi pacifico che l’imputato non aveva mai contestato, ex art. 20 e 59 DLgvo 81/2008, ai lavoratori l’omesso utilizzo degli occhiali antinfortunistici. Contrariamente a quanto sostenuto dal Pi., non potevano ritenersi assolti gli obblighi di legge a suo carico per l’avvenuta consegna ai dipendenti degli occhiali di protezione, dato che, per giurisprudenza, pacifica e consolidata, della Corte di Cassazione, il datore di lavoro era esente da responsabilità solo se il comportamento del dipendente poteva essere qualificato come “eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile, e non già quando l’irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo” (CASS. Sez. IV, 4 luglio 2007, n. 25532), data la “funzione primaria” delle norme in tema di sicurezza di evitare gli incidenti anche quando siano possibile conseguenza di “disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai” (Cass. sez. IV 1984 n. 11043: Giurisprudenza pressoché costante; vedi anche, ex plurimis, Cass. Sez. IV 2007/25502). Nel caso in esame, il comportamento imprudente dell’infortunato era “frutto di un modo di operare da sempre tollerato dai vertici della società” e, per quanto di interesse, anche dall’imputato che, pur conoscendolo, non aveva mai sanzionato le violazioni e non poteva, pertanto, affermare di “non averlo neppure immaginato e pensato”.
Quale amministratore unico della società, in assenza di delega sulla materia della prevenzione antinfortunistica ad altri, il Pi. doveva pertanto ritenersi responsabile dell’infortunio per cui è processo.
Avverso la sentenza Pi.St. ha proposto appello lamentandone l’erroneità con riferimento alla interpretazione delle risultanze istruttorie, e dei principi che regolano la materia della sicurezza dei lavoratori.
Il Tribunale aveva “selezionato le fonti di prova…estrapolando” dalle deposizioni “due sole risposte e solo su queste” aveva fondato il giudizio di colpevolezza, “disattendendo i contenuti favorevoli” all’imputato.
Dal complesso dell’attività istruttoria era infatti emerso che il Pi., amministratore unico di una piccola società, aveva investito in formazione e sensibilizzazione dei dipendenti al tema della sicurezza, propria e dei compagni e, date le dimensioni dell’impresa, che non consentivano la sorveglianza diretta di ogni cantiere, aveva “rimesso ad un controllo diffuso ed autoresponsabile l’utilizzo dei DPI”. Il Pi. non era mai rimasto “inerte di fronte ai casi di mancato utilizzo dei DPI”, procedendo a richiamare i suoi dipendenti ogni volta che si era potuto accorgere delle violazioni, anche se non aveva adottato “una sanzione disciplinare specifica diversa da un richiamo orale”.
A riprova di tale “costante attività di sensibilizzazione”, era stata chiesta l’acquisizione di un documento indicato come “Istruzioni per i collaboratori”, il Tribunale si era riservato di provvedere al riguardo ma non aveva poi sciolto la riserva assunta, così facendo venir meno un elemento di prova decisivo. Da alcune dichiarazioni rese dai testi Bo. e Th., il Giudice di primo grado aveva dedotto che il datore di lavoro aveva tollerato una prassi pericolosa e, su tale assunto, aveva fondato la valutazione di colpevolezza, senza considerare l’impossibilità per il Pi., date le dimensioni dell’impresa, di dar corso ad una “stretta sorveglianza in cantiere sull’uso dei DPI”, e all’adempimento dell’obbligo di cui all’art. 18 lett. f) D.lvo n. 81/08.
Era stato dimostrato che il Pi. impartiva ai dipendenti, ogni mattina, prima di indirizzarli ai vari cantieri, le direttive sul lavoro e forniva loro borse da lavoro complete di attrezzature in perfetto stato di manutenzione, e di tutti i necessari e regolamentari DPI; l’imputato non poteva essere presente su ogni cantiere e, “svolto un preliminare controllo sulla sicurezza”, li raggiungeva solo se chiamato per risolvere “questioni tecniche”.
Per adempiere all’obbligo di vigilanza sulla condotta dei dipendenti in tema di sicurezza, li sensibilizzava e li formava in modo da poter esigere un “autocontrollo personale ed un controllo diffuso sui colleghi sull’utilizzo dei DPI”. Il principio di diritto posto a base della decisione non coglieva nel segno, dovendosi considerare che il lavoratore aveva posto in essere una condotta imprudente “sua sponte, deliberatamente nonostante fosse perfettamente informato di dovere utilizzare gli occhiali, ammonito e responsabilizzato a farlo”. Il Giudice non aveva poi tenuto conto degli sforzi e gli investimenti applicati dal Pi. sull’utilizzo dei DPI.
La corretta applicazione del principio dell’affidamento, secondo cui, in assenza di segnali che rendano riconoscibile il pericolo dell’inosservanza, il datore di lavoro deve poter contare sul rispetto degli obblighi posti a garanzia della sicurezza, avrebbe dovuto condurre all’assoluzione.
Mancava, infatti, nel caso concreto la prova che l’imputato “avesse effettivamente riconosciuto e potuto riconoscere che il suo lavoratore non fosse solito utilizzare gli occhiali durante le fasi di chiodatura con la sparachiodi”, essendo invece emerso che non aveva mai omesso i controlli di sicurezza e, laddove si era accorto delle inosservanze, era intervenuto per reprimerle.
Si doleva, inoltre, del trattamento sanzionatorio e deduceva, in particolare, che, data la grave concorrente colpa del lavoratore, le attenuanti concesse avrebbero dovuto essere valutate prevalenti sulle aggravanti con conseguente applicazione della sola, pena pecuniaria.
Concludeva pertanto chiedendo, in via preliminare la riapertura dell’istruzione con acquisizione del documento allegato, l’assoluzione, in via subordinata, la prevalenza delle attenuanti generiche e la rideterminazione della pena in misura più congrua con i doppi benefici.
Osserva la Corte: con l’appello avanzato Pi.St. ha criticato la sentenza impugnata ritenendola fondata su una erronea e fuorviante interpretazione sia delle risultanze istruttorie, sia delle norme di legge in contestazione. L’appellante ha, in particolare, dedotto di avere fornito ai propri dipendenti, oltre che i DPI necessari, anche una “consistente formazione in materia” di sicurezza, rimettendo al “controllo diffuso ed auto – responsabile” la effettiva adozione dei DPI da parte dei lavoratori.
L’infortunio si era verificato per l'”azione imprudente .. compiut(a) sua sponte deliberatamente” dal lavoratore, benché “perfettamente informato di dovere utilizzare gli occhiali, ammonito e responsabilizzato a farlo”, che il Pi., non essendo a conoscenza della prassi contraria alle disposizioni in parola, non avrebbe potuto evitare.
Al riguardo, risulta dalle dichiarazioni dei testi escussi in giudizio che gli occhiali non venivano indossati quando si usava la pistola sparachiodi, anche se, come illustrato dalla teste Bu.Ni., ispettore del lavoro, era il solo presidio idoneo ad evitare l’incidente che si è verificato (“Questo è uno dei rischi …residui previsti…c’è la possibilità che un chiodo anziché penetrare nel tavolato rimbalzi e torni di ritorno, questo è definito rischio residuo perché non si può intervenire in altro modo che utilizzando gli occhiali di protezione” cfr. dep. Bu. udienza 8 ottobre 2013).
In particolare: il teste Ma.An., dipendente del Pi. dal 1987, ha affermato di utilizzare poco la pistola sparachiodi, perché addetto alla “preparazione del lavoro di quelli che inchiodano”, ma di non indossare gli occhiali quando la usa, di aver lavorato “spesso” con il Bo., e di non averlo mai visto indossare gli occhiali nell’esecuzione del lavoro con la suddetta pistola, così come non erano usati dagli altri dipendenti; Th.Ma. ha affermato di non usare gli occhiali e, su contestazione del P.M., di aver visto che anche gli altri dipendenti non li usavano; Bo.Me. ha dichiarato di non aver usato gli occhiali utilizzando la pistola perché non aveva mai visto “chiodi volare”, ed in quanto il tipo di lavoro eseguito “non (gli) sembrava pericoloso”.
Emerge con palmare chiarezza dalle riferite deposizioni che il mancato uso degli occhiali di protezione, sola cautela utilizzabile contro il rischio dell’evento che si è verificato, era prassi comune e generalizzata, essendo stato dimostrato che nessun dipendente ne faceva uso.
I testi escussi hanno affermato di non essere “sicuri” che il datore di lavoro li avesse visti usare la pistola senza essere muniti degli occhiali (il teste Th. non ha confermato le dichiarazioni rese agli ispettori di lavoro secondo cui “personalmente (era) stato visto più volte dal datore di lavoro senza occhiali, mentre chiodavo, ma non sono mai stato ripreso”), ma alla circostanza non può essere assegnato il valore attribuitogli dall’appellante, che dalla stessa vorrebbe far discendere l’esonero da ogni responsabilità.
Com’è noto compete al datore di lavoro non solo la valutazione dei rischi, la predisposizione delle misure di sicurezza, e la corretta informazione dei lavoratori, ma anche la verifica dell’effettiva adozione da parte dei lavoratori dei presidi di sicurezza predisposti, come costantemente affermato dalla Corte di cassazione, secondo la cui giurisprudenza: “In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile della sicurezza (sia, o meno, datore di lavoro) deve attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche nella ordinaria prassi di lavoro…” (Cass. 27 maggio 2011 n. 27738).
Se possono sussistere dubbi in ordine alla consapevolezza da parte del Pi. del mancato uso degli occhiali da parte dei dipendenti, anche se l’usualità dell’utilizzazione della pistola sparachiodi nell’esecuzione dell’attività può far pensare che l’appellante l’abbia conosciuta e tollerata, le risultanze dell’istruttoria svolta, dimostrano, come correttamente affermato dal Giudice di primo grado, che quest’ultimo non ha esercitato il doveroso controllo al riguardo. La diffusione della prassi di non usare gli occhiali (è emerso che nessun dipendente li usava) a fronte di una lavorazione che richiedeva l’utilizzo della pistola non certo residuale riscontro insuperabile della assoluta carenza di vigilanza da parte del datore di lavoro.
Invero la mancata conoscenza dei rischi che una simile condotta comportava, provato dalle risposte fornite dal Bo. (che ha affermato che i “chiodi non volano”), fa pensare anche ad una informazione deficitaria, e la totale omissione della cautela da parte da parte dell’intera forza lavoro dimostra, altresì, come il sistema di reciproco controllo dell’adozione delle misure di sicurezza pensato fosse fallimentare.
Come correttamente affermato dal Giudice di primo grado, la condotta negligente e disattenta del lavoratore non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, i cui obblighi sono mirati alla tutela dei lavoratori anche dai rischi che la loro stessa imprudenza concorra a causare quando, come nel caso in esame, il loro comportamento non possa essere ritenuto abnorme.
L’appello avanzato sul punto non può pertanto essere accolto.
L’imputato ha anche chiesto di rivedere il trattamento sanzionatorio, previa valutazione di prevalenza sulla contestata aggravante delle concesse attenuanti generiche.
Ritiene la Corte che le determinazioni al riguardo del Tribunale vadano confermate, tenuto conto, in particolare, della gravità della condotta accertata che ha consentito una prassi di lavoro in netto e serio contrasto con le norme di sicurezza. Possono essere invece concessi, stante l’incensuratezza dell’imputato, i doppi benefici di legge.
P.Q.M.
Visto l’art. 605 c.p.p.
In parziale riforma della sentenza impugnata concede all’imputato i doppi benefici di legge. Conferma nel resto.
Fissa il termine di giorni 40 per il deposito della sentenza.
Così deciso in Trento il 15 maggio 2015.
Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2015.
[1] C. App. Trento sent. n. 186/2015 del 24.06.2015.
[2] Dlgs 81/2008.
07 Gennaio 2016
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