L'ANALISI
I soldi falsi di Crocetta (e Baccei)di Accursio Sabella
Il governo prevede nell'esercizio provvisorio alcune entrate che verrebbero realmente incassate solo se Roma darà l'ok. Le somme congelate ammontano a quasi tre miliardi. Senza di queste, sarebbe impossibile chiudere il bilancio. E i sindacati attaccano parlando di "cifre simboliche" e conti che poggiano su "belle speranze".
PALERMO - Non saranno soldi falsi. Ma si tratta, quantomeno, di somme “virtuali”. Eteree. Eppure, proprio su quelle poggia il presente e l'immediato futuro del bilancio della Regione siciliana. E non si tratta di “spiccioli”. Quasi tre miliardi di euro, iscritti nel disegno di legge sull'esercizio provvisorio praticamente non esistono. Per far quadrare i sempre più disastrati conti della Regione, per il momento, si è fatto ricorso a qualche forzatura e una massiccia dose di speranza.
“So già che questo non si può fare” ha detto del resto poche settimane fa l'assessore all'Economia Alessandro Baccei. Era il giorno dell'approdo a Palazzo dei Normanni del testo che prevede l'utilizzo del bilancio “in dodicesimi”. E il responsabile delle finanze della Regione in quei giorni non esitava a rincarare la dose: “Io questo bilancio non lo certificherei”.
Quello che, secondo Baccei, “non si può fare”, non è cosa da poco. Si tratta di un articolo dell'esercizio provvisorio con il quale il governo ha individuato la copertura per il “concorso al risanamento della finanza pubblica”. Si tratta della quota che ogni Regione versa come contributo ai conti dello Stato. Nel caso dell'Isola si tratta di 1,112 miliardi di euro. Che l'esecutivo ha deciso di andare a coprire, appunto, con una buona dose di immaginazione. Nella relazione al disegno di legge, infatti, Baccei ammette che “la critica situazione finanziaria della Regione in atto non consente di assicurare con risorse regionali il contributo alla finanza pubblica posto a carico della Regione e via via incrementato dalle leggi statali”.
Le casse regionali piangono. Così, ecco che l'esecutivo ha trovato l'escamotage. La mossa “che non si può compiere”. Cioè l'utilizzo, per quel capitolo di bilancio, delle somme previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione. Ciò che resta, insomma, degli ex Fondi per le aree sottosviluppate (Fas). Un utilizzo vietato, in linea di principio, per quelle finalità. A meno che la decisione non sia il frutto di un accordo tra la Regione e i ministeri competenti. Tra la Sicilia e Roma.
E a questo punto, la domanda è d'obbligo: il governo Crocetta ha trovato tempo e modo – tra la rinuncia di un contenzioso e l'accensione di un mega-mutuo – per accordarsi col governo Renzi? La risposta è nella relazione di accompagnamento all'esercizio provvisorio esitata dalla commissione bilancio: “Né la disposizione in esame né la relazione tecnica – si legge - fanno riferimento ad intese o interlocuzioni, già realizzate o in corso, fra il Governo regionale e quello nazionale che autorizzino la destinazione delle risorse della programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione al concorso agli oneri di finanza pubblica a carico della Regione. In assenza di tali presupposti, - prosegue il documento - non può che evidenziarsi come la previsione normativa in esame, qualificata dalla stessa relazione tecnica come copertura meramente formale, risulti insuscettibile di rispondere ai canoni di corretta copertura previsti dall’articolo 81 della Costituzione e dalla vigente legge di contabilità”. Per farla breve, quella norma sarebbe incostituzionale perché la copertura finanziaria è inesistente. Così ecco che governo e Ars hanno pensato al “salvagente”: il cosiddetto “accantonamento”. Per farla breve, se si chiuderà l'accordo con Roma, potranno essere utilizzati gli ex Fas. Altrimenti, si vedrà. Quei soldi, quindi, ci sono. Ma non ci sono.
Così come un'altra somma inserita all'articolo 15 dell'esercizio provvisorio. Questa persino più “corposa” della prima. Si tratta di un miliardo e settecento milioni che la Sicilia iscrive in bilancio sotto forma di “banconote congelate”. Anche in questo caso si parla di “accantonamento negativo”. E anche in questo caso, per questa per entrare in possesso realmente dei soldi, il governo regionale dovrà ricevere il benestare dallo Stato che a sua volta dovrebbe riconoscere alla Sicilia il diritto di incassare le somme derivanti dalle imposte sugli stipendi dei dipendenti pubblici che prestano servizio in Sicilia, ma che oggi vengono riscosse a Roma. “La scelta di mettere quelle somme in bilancio come accantonamento – attacca il capogruppo di Forza Italia Marco Falcone – è chiaramente un autogol del governo. Se quei soldi ci spettano, andavano iscritti in bilancio, costringendo il governo centrale, eventualmente, a impugnare la norma. La scelta del governo, invece, - aggiunge Falcone – ha finito col demandare allo Stato la facoltà di liberare o meno quelle risorse. Che invece sono risorse nostre”. Eppure, due giorni fa in Aula, la “mossa” di Baccei era stata salutata come un atto di coraggio, quasi di sfida nei confronti del governo romano, anche da big di lungo corso della maggioranza di Crocetta come Antonello Cracolici e Lino Leanza.
Ma i conti non tornano a molti. A cominciare dai sindacati, con la Cgil, che auspica, attraverso le parole del segretario generale Michele Pagliaro, che quello stanziamento non sia “un fatto puramente simbolico. Se queste risorse non arriveranno – l'allarme di Pagliaro - la Regione non potrà chiudere il bilancio di previsione del 2015”. La Cisl sceglie anche l'arma dell'ironia: “Con quella previsione in bilancio – dice il segretario generale Mimmo Milazzo - siamo solo nell’iperuranio delle belle speranze”.
E tra le speranze, anche quella di approvare in breve tempo il mutuo da due miliardi di euro. Che secondo l'assessore Baccei era una pre-condizione alla manovra. Di certo c'è che quei due miliardi serviranno per dare liquidità alla Regione. Le casse sono aride. E senza quella immissione di soldi freschi non sarebbe possibile nemmeno portare avanti la macchina per i prossimi quattro mesi. Anche questi soldi, però, ancora non ci sono. Martedì la commissione bilancio dovrà apportare qualche aggiustamento “tecnico”. Poi, si potrà brindare: se non si riuscirà, dal 2016, a recuperare un po' di soldi con i tagli alle spese, per i prossimi trent'anni i siciliani pagheranno quel mutuo grazie al mantenimento delle tasse al livello più alto d'Italia. Un successone.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
10 Gennaio 2015
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