Erice, recupero e identità
L'agronomo Filippo Salerno e l'architetto Giovanni Vultaggio denunciano lo stato di abbandono del lato orientale di monte Erice, dove sorge il bosco dei Runzi, al confine tra i Comuni della Vetta e di Valderice
Al bosco dei «runzi» piantati pini
al posto dei lecci distrutti dall'incendio
Foto lasicilia-it
Erice. Mantenere l'identità dei luoghi vuol dire conservare l'appartenenza culturale di un popolo per tramandarla alle future generazioni. È questa la convinzione di due professionisti, l'agronomo Filippo Salerno e l'architetto Giovanni Vultaggio i quali, dopo avere constatato, al termine di un sopralluogo, lo stato di abbandono sul lato orientale di monte Erice, dove sorge il bosco dei Runzi, al confine tra i Comuni della Vetta e di Valderice, hanno deciso che chiederanno alle due amministrazioni comunali la convocazione di una conferenza di servizio da tenersi con altri soggetti, tra i quali la Soprintendenza ai beni culturali di Trapani e la forestale.
Nella loro "passeggiata" Vultaggio e Salerno hanno constatato che la forestale, in un'area che nel 1996 è stata percorsa da un incendio, sta mettendo a dimora pini e cipressi colonnari al posto dei lecci che vi erano in precedenza, mentre i sentieri, in parte distrutti dalla strada realizzata negli anni Cinquanta, adesso stanno scomparendo definitivamente sotto una fitta coltre di vegetazione varia. «I pini - afferma Filippo Salerno - hanno un ciclo vitale di circa cento anni, mentre i lecci sono più longevi. L'ideale sarebbe piantare questi alberi nella stessa zona perchè nel periodo giovanile il leccio soffre il sole e le conifere potrebbero fare loro da ombra. Sappiamo benissimo che le amministrazioni comunali hanno scarse risorse economiche a disposizione, ma almeno potrebbero coordinarsi con la forestale sulle essenze da mettere a dimora. Inoltre, il Comune di Erice al momento sta attuando il programma Leader e l'Università di Monaco sta realizzando ricerche sullo sviluppo urbanistico di Erice, però, da quel che sembra, ognuno va per conto proprio. Sarebbe auspicabile un coordinamento tra i vari enti in modo da rendere concrete iniziative che consentano la fruibilità del monte a tutti. E' necessario anche ripristinare i sentieri oltre che piantare alberi e altra flora utili agli aspetti paesaggistici e di tenuta del versante».
I sentieri, in parte ricoperti da rovi e altro tipo di vegetazione, rischiano tra qualche tempo di non essere più visibili. Uno, in particolare, quello che da Valderice sale verso Erice e che si percorre in circa venti minuti a piedi, potrebbe essere reso fruibile, ad esempio, per i turisti o anche le persone della zona che amano il trekking.
«L'intervento della forestale - aggiunge Giovanni Vultaggio - arriva oltre vent'anni dopo la pubblicazione della Carta dei sentieri del versante orientale di Monte Erice che fu realizzata anche da me facendo campi archeologici con il Kalat. I sentieri risalgono a tutte le epoche, pure elima e romana. La forestale sta recuperando un sentiero che da Capo delle Scale, nel territorio di Valderice, arriva alla chiesa di S. Ippolito, che con quella di Santa Maria Maddalena risale al 1300 circa».
Entrambe le chiesette rurali non sono valorizzate e nel tempo sono state "visitate" da ladri e vandali. Negli anni addietro la chiesa di S. Ippolito, che sorge nelle vicinanze del percorso della strada asfaltata, fu acquistata dalla Provincia regionale di Trapani e vi si conservano affreschi di pregio che stanno venendo alla luce in quanto l'umidità sta erodendo lo strato di intonaco il quale alla fine del 1600 fu applicato per contrastare l'epidemia di peste all'epoca dilagante.
«È necessario - prosegue Vultaggio - che la Soprintendenza, l'Università di Monaco, i Comuni di Erice e Valderice e la forestale, invece di realizzare progettualità ognuno per conto proprio, si siedano attorno allo stesso tavolo per ragionare su come potere fare sistema e salvare questo patrimonio storico, artistico e ambientale di cui ancora disponiamo. L'unico che realizzò una progettualità esemplare in questa zona fu il conte Agostino Pepoli che con lungimiranza vi fece tra l'altro piantumare lecci e altre piante autoctone. Con i cipressi avremo sì viali alberati ma sembrerà di stare in uno dei cimiteri descritti da Ugo Foscolo, in qualche zona della Toscana, ma non nella nostra terra, in Sicilia. Certo le cose vanno fatte, ma sempre utilizzando del buon senso e con l'obiettivo di mantenere l'identità dei luoghi».
Nella zona, inoltre, è presente un sito archeologico del periodo alto medievale (VI-VIII secolo) che si è in parte conservato ma che se non verrà tutelato andrà completamente perduto.
13 Aprile 2014
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