L'ex presidente: «La Sicilia non si guida col bastone, da onnipotenti
Per l'Isola ci vuole un buon padre di famiglia, affettuoso e severo»
La politica di oggi. «È lontana dal rapporto con la gente.
Dubito che quella per Grillo sia una partecipazione diretta dei
cittadini. Renzi? Un "pgm", politico giornalisticamente modificato»
I
nodi della Regione. «Se il commissario dello Stato boccia l'80% della
Finanziaria, qualche perplessità a difenderla l'avrei. Bugie su precari e
forestali: neanche uno creato da me e Lombardo»
L'attuale
governo. «I tecnici sono positivi. Ma una segretaria è un tecnico... di
segreteria. E può essere tecnico una studentessa? Non sanno parlare con
partiti e dirigenti, c'è un clima di paura e di veleni»
Anticipiamo ampi brani dell'intervista realizzata da Michela
Giuffrida, direttore del tg di Antenna Sicilia, con l'ex governatore
Salvatore Cuffaro detenuto a Rebibbia. L'intervista verrà trasmessa
stasera alle 21.10 su Antenna Sicilia.Michela Giuffrida
Nel supercarcere di Rebibbia, isola di filo spinato e fotoelettriche nel cuore della Tiburtina, la trafila burocratica per ottenere il colloquio con la «matricola 87833» è la stessa che per gli altri. Firme, timbri, autorizzazioni, limitazioni.
Per lui come per lo spacciatore di droga. Per lui come per l'omicida. Non importa che lui fosse l'uomo più potente di Sicilia. Oggi è solo un numero tra 1.800 numeri-matricola. Oggi è il detenuto Cuffaro Salvatore.
Conta, l'ex governatore di Sicilia. Ma, nel contrappasso dantesco di chi in politica non conta più nulla, lui ora conta soltanto i giorni. Milletrecentosettantanove ne ha passati in carcere. E settecentaquarantasei ancora dovrà passarne qui. Quasi due anni al fine pena: 5 dicembre 2015.
Lei li conta, come il carcerato dell'iconografia letteraria, questi giorni. Li annota su un taccuino?
«Intanto li vivo, che è più difficile. Poi li conto su un grande foglio, in cui ho segnato con un pennarello tutti i giorni di cui è composta la mia pena. E cancello ogni giorno che passa. Ma mi interrogo se considerarlo positivo: è un giorno in meno che passo lontano dalla mia famiglia e dalla mia Sicilia, ma è anche un pezzo della mia vita che se ne va. E allora immagino che il tempo che sto qui sia una sorta di caparra che verso al futuro».
Dice che sta dando questa parte di vita al carcere, parla come se fosse una espiazione. La vede così nel revisionismo della sua vita?
«C'è una sentenza, va rispettata. Questo non significa che la condivido: la rispetto, l'accetto, perché fatta da una istituzione. Ma entrando in carcere si può scegliere. O subirlo pesantemente, ed è un inferno. Oppure affrontarlo, tentando di essere utili a se stessi: non solo espiazione ma anche riflessione e ripensamento sulla mia vita, sulle tante cose che tornando indietro non rifarei. Il modo migliore è aiutare chi è qui dentro, dove c'è talmente miseria e disperazione che essere utili è più facile rispetto a fuori».
Aiutare le persone è un principio della buona politica…
«Non si finisce mai di essere politico. I politici sono tutti quelli che contribuiscono a un progetto di bene comune. Ecco, anche in carcere si può essere politici».
Oggi la classe politica è etichettata come "casta" e la gente usa il voto come protesta.
«La politica ormai si è allontanata dal rapporto diretto con i cittadini. Si vive sui mass media, il politico è distante dai problemi veri e dal rapporto con la gente. E perde la misura del bisogno della gente, che non è solo risposte ma anche rapporto umano. Abbiamo fatto la legge sull'elezione diretta e ci siamo dimenticati di ciò che sta alla base: il rapporto diretto. La politica si è disumanizzata, sta perdendo la passione. La politica oggi mi sembra sterile, fatta dentro ai teleschermi, senza più ideali, bandiere, grandi battaglie di principio».
Ora però c'è la partecipazione diretta, sui social network e su internet, che ha portato Grillo a un'affermazione dirompente e Renzi alla segreteria del Pd. Lei la contesta?
«A me non piace questa politica. E ho qualche dubbio che sia partecipazione diretta dei cittadini. Non dico che l'esperienza dei 5 Stelle sulla rete non sia significativa ma resta senz'anima. Non riesco a immaginare una politica fatta soltanto sulla rete, senza un volto che si faccia guardare e che guardi in faccia le persone. La politica oggi è sempre più condizionata dai giornalisti che hanno il potere di costruire leggende. Belle e buone. Miti e mostri, hanno costruito. La politica è un ibrido ed è sempre più frequente un nuovo soggetto, il Pgm: il politico giornalisticamente modificato. Io credo che Renzi sia questo. Non è né buono né cattivo. Solo più utile a raggiungere l'obiettivo».
Lei è stato distrutto mediaticamente da una foto con un vassoio di cannoli e investito dall'effetto-boomerang del suo soprannome "vasa-vasa". E la sua politica, il cuffarismo, ha una accezione tutta negativa…
«La vicenda dei cannoli è falsa, come testimoniato dagli stessi giornalisti presenti. Io spostai una guantiera di cannoli e quella foto fu più forte delle precisazioni degli stessi giornalisti che erano lì. Ma quella fu solo la ciliegina sulla torta, suggellò un percorso precostruito che ha condizionato pesantemente la mia vicenda giudiziaria. Il "cuffarismo" era diventato sinonimo del peggio. Invece era il rapporto con la gente, probabilmente con una passione insistente, esagerata: stare ore a parlare con la gente, non disdegnare un abbraccio o un bacio, anzi cercarlo. Non avere paura di stringere una mano, anche a costo di sbagliare».
Dopo di lei c'è stato Raffaele Lombardo e oggi Rosario Crocetta. Come vede la Sicilia di oggi?
«La nostra terra non può essere governata col bastone: quando qualcuno pensa di poterlo fare la gente reagisce. E' la storia che lo dice. Io credo che la Sicilia per essere ben governata abbia bisogno di un buon padre di famiglia. Bisogna essere severi e io mi prendo le mie responsabilità: non sono stato un padre severo. Ma c'è bisogno anche di affetto, disponibilità e responsabilità, senza bastone. Per governare la Sicilia non si possono mettere le vesti di tiranno…».
Sta parlando di Crocetta?
«Sto parlando in generale. Tutti quelli chesi comportano da tiranno vengono puniti. Quelli che dicono "o si fa così o niente". Non funziona nei rapporti con gli altri partiti, con l'amministrazione regionale, con la gente, con le imprese. Bisogna capire, rapportarsi con gli altri. Non mi riferisco solo a Crocetta, anche Raffaele Lombardo ha ritenuto di usare dei diktat per imporre le sue condizioni. E non ha funzionato».
Quindi, per lei, Lombardo e Crocetta hanno peccato di tirannia?
«Hanno avuto un atteggiamento non consono rispetto alle aspettative dei siciliani».
Tirannia o senso di onnipotenza?
«Di solito uno che fa diktat lo fa perché ritiene di poterselo permettere e quindi pensa di essere onnipotente. Altra cosa che un buon padre di famiglia non deve mai fare è entrare a casa e dire: "Oggi faremo questo, domani faremo ancora altro". Questa cosa di fare annunci dura sei mesi, se ti va bene un anno. Perché quello è il tempo che ti dà la gente. Ma quando passa un anno e mezzo e nessuna delle cose che hai annunciato è minimamente portata a compimento, allora la gente capisce».
Vuole dire che il tempo del governatore Crocetta, che è stato eletto meno di un anno e mezzo fa, è scaduto?
«No, non dico questo. Crocetta è stato eletto dai siciliani e deve governare. Ma non deve fare annunci. Deve portare avanti la difficile macchina della Regione col dialogo, senza diktat».
La popolarità mediatica di Crocetta era altissima al momento della sua elezione…
«Ma accanto ai numeri mediatici ce ne sono altri. Io sono stato eletto con un milione e novecentomila voti, Crocetta con meno della metà. E con un altissimo astensionismo: quando la gente non andava a votare io la consideravo una sconfitta peggiore che se votasse per un altro. Crocetta dovrebbe averlo presente ogni giorno. Se fa un fronte su ogni cosa poi è sempre costretto a fare marcia indietro. Pensava di fare la guerra agli Stati Uniti ed è tornato indietro. Ha lanciato la guerra al commissario dello Stato ed è tornato indietro… E mi limito a questi due episodi».
Anche lei lanciò la guerra al commissario, il più duro fu Lombardo con una manifestazione contro il commissario. Oggi la Sicilia è in situazione di impasse per l'impugnativa del commissario dello Stato che ha distrutto la Finanziaria...
«Ogni presidente ha il diritto di difendere le proprie scelte. Ma quando le perplessità del commissario dello Stato riguardano l'80 per cento di quelle scelte, io qualche perplessità a difenderle tutte l'avrei… Io non ho mai fatto guerre al commissario dello Stato, ho solo difeso le prerogative del Parlamento regionale non su bilanci ma su elementi istituzionali. Non farò più politica, però se io fossi al posto di Crocetta proverei a ragionare, a parlare con gli altri partiti, con i dipendenti regionali per motivarli. Io ho sempre tentato di seminare fiducia e speranza. Invece ho l'impressione che oggi in Sicilia si stia spargendo veleno. E questo non fa bene: le imprese non vengono da noi, chi deve firmare un atto ormai ha paura…».
Crocetta le rimprovera il lascito di precari e forestali…
«Crocetta parla senza conoscere la realtà regionale. Perché se la conoscesse saprebbe benissimo che i forestali non glieli ho lasciati io, come non ne ha aggiunti Lombardo. Li abbiamo soltanto riorganizzati. Se Crocetta dice così o non sa le cose o è in malafede. Quindi la smetta di dire cose non vere: se lo dice perché non le conosce lo posso capire ma se lo dice per scaricare le sue responsabilità sugli altri, così come fa su ogni cosa e anche sulla più banale, alla fine i nodi vengono al pettine».
Nel supercarcere di Rebibbia, isola di filo spinato e fotoelettriche nel cuore della Tiburtina, la trafila burocratica per ottenere il colloquio con la «matricola 87833» è la stessa che per gli altri. Firme, timbri, autorizzazioni, limitazioni.
Per lui come per lo spacciatore di droga. Per lui come per l'omicida. Non importa che lui fosse l'uomo più potente di Sicilia. Oggi è solo un numero tra 1.800 numeri-matricola. Oggi è il detenuto Cuffaro Salvatore.
Conta, l'ex governatore di Sicilia. Ma, nel contrappasso dantesco di chi in politica non conta più nulla, lui ora conta soltanto i giorni. Milletrecentosettantanove ne ha passati in carcere. E settecentaquarantasei ancora dovrà passarne qui. Quasi due anni al fine pena: 5 dicembre 2015.
Lei li conta, come il carcerato dell'iconografia letteraria, questi giorni. Li annota su un taccuino?
«Intanto li vivo, che è più difficile. Poi li conto su un grande foglio, in cui ho segnato con un pennarello tutti i giorni di cui è composta la mia pena. E cancello ogni giorno che passa. Ma mi interrogo se considerarlo positivo: è un giorno in meno che passo lontano dalla mia famiglia e dalla mia Sicilia, ma è anche un pezzo della mia vita che se ne va. E allora immagino che il tempo che sto qui sia una sorta di caparra che verso al futuro».
Dice che sta dando questa parte di vita al carcere, parla come se fosse una espiazione. La vede così nel revisionismo della sua vita?
«C'è una sentenza, va rispettata. Questo non significa che la condivido: la rispetto, l'accetto, perché fatta da una istituzione. Ma entrando in carcere si può scegliere. O subirlo pesantemente, ed è un inferno. Oppure affrontarlo, tentando di essere utili a se stessi: non solo espiazione ma anche riflessione e ripensamento sulla mia vita, sulle tante cose che tornando indietro non rifarei. Il modo migliore è aiutare chi è qui dentro, dove c'è talmente miseria e disperazione che essere utili è più facile rispetto a fuori».
Aiutare le persone è un principio della buona politica…
«Non si finisce mai di essere politico. I politici sono tutti quelli che contribuiscono a un progetto di bene comune. Ecco, anche in carcere si può essere politici».
Oggi la classe politica è etichettata come "casta" e la gente usa il voto come protesta.
«La politica ormai si è allontanata dal rapporto diretto con i cittadini. Si vive sui mass media, il politico è distante dai problemi veri e dal rapporto con la gente. E perde la misura del bisogno della gente, che non è solo risposte ma anche rapporto umano. Abbiamo fatto la legge sull'elezione diretta e ci siamo dimenticati di ciò che sta alla base: il rapporto diretto. La politica si è disumanizzata, sta perdendo la passione. La politica oggi mi sembra sterile, fatta dentro ai teleschermi, senza più ideali, bandiere, grandi battaglie di principio».
Ora però c'è la partecipazione diretta, sui social network e su internet, che ha portato Grillo a un'affermazione dirompente e Renzi alla segreteria del Pd. Lei la contesta?
«A me non piace questa politica. E ho qualche dubbio che sia partecipazione diretta dei cittadini. Non dico che l'esperienza dei 5 Stelle sulla rete non sia significativa ma resta senz'anima. Non riesco a immaginare una politica fatta soltanto sulla rete, senza un volto che si faccia guardare e che guardi in faccia le persone. La politica oggi è sempre più condizionata dai giornalisti che hanno il potere di costruire leggende. Belle e buone. Miti e mostri, hanno costruito. La politica è un ibrido ed è sempre più frequente un nuovo soggetto, il Pgm: il politico giornalisticamente modificato. Io credo che Renzi sia questo. Non è né buono né cattivo. Solo più utile a raggiungere l'obiettivo».
Lei è stato distrutto mediaticamente da una foto con un vassoio di cannoli e investito dall'effetto-boomerang del suo soprannome "vasa-vasa". E la sua politica, il cuffarismo, ha una accezione tutta negativa…
«La vicenda dei cannoli è falsa, come testimoniato dagli stessi giornalisti presenti. Io spostai una guantiera di cannoli e quella foto fu più forte delle precisazioni degli stessi giornalisti che erano lì. Ma quella fu solo la ciliegina sulla torta, suggellò un percorso precostruito che ha condizionato pesantemente la mia vicenda giudiziaria. Il "cuffarismo" era diventato sinonimo del peggio. Invece era il rapporto con la gente, probabilmente con una passione insistente, esagerata: stare ore a parlare con la gente, non disdegnare un abbraccio o un bacio, anzi cercarlo. Non avere paura di stringere una mano, anche a costo di sbagliare».
Dopo di lei c'è stato Raffaele Lombardo e oggi Rosario Crocetta. Come vede la Sicilia di oggi?
«La nostra terra non può essere governata col bastone: quando qualcuno pensa di poterlo fare la gente reagisce. E' la storia che lo dice. Io credo che la Sicilia per essere ben governata abbia bisogno di un buon padre di famiglia. Bisogna essere severi e io mi prendo le mie responsabilità: non sono stato un padre severo. Ma c'è bisogno anche di affetto, disponibilità e responsabilità, senza bastone. Per governare la Sicilia non si possono mettere le vesti di tiranno…».
Sta parlando di Crocetta?
«Sto parlando in generale. Tutti quelli chesi comportano da tiranno vengono puniti. Quelli che dicono "o si fa così o niente". Non funziona nei rapporti con gli altri partiti, con l'amministrazione regionale, con la gente, con le imprese. Bisogna capire, rapportarsi con gli altri. Non mi riferisco solo a Crocetta, anche Raffaele Lombardo ha ritenuto di usare dei diktat per imporre le sue condizioni. E non ha funzionato».
Quindi, per lei, Lombardo e Crocetta hanno peccato di tirannia?
«Hanno avuto un atteggiamento non consono rispetto alle aspettative dei siciliani».
Tirannia o senso di onnipotenza?
«Di solito uno che fa diktat lo fa perché ritiene di poterselo permettere e quindi pensa di essere onnipotente. Altra cosa che un buon padre di famiglia non deve mai fare è entrare a casa e dire: "Oggi faremo questo, domani faremo ancora altro". Questa cosa di fare annunci dura sei mesi, se ti va bene un anno. Perché quello è il tempo che ti dà la gente. Ma quando passa un anno e mezzo e nessuna delle cose che hai annunciato è minimamente portata a compimento, allora la gente capisce».
Vuole dire che il tempo del governatore Crocetta, che è stato eletto meno di un anno e mezzo fa, è scaduto?
«No, non dico questo. Crocetta è stato eletto dai siciliani e deve governare. Ma non deve fare annunci. Deve portare avanti la difficile macchina della Regione col dialogo, senza diktat».
La popolarità mediatica di Crocetta era altissima al momento della sua elezione…
«Ma accanto ai numeri mediatici ce ne sono altri. Io sono stato eletto con un milione e novecentomila voti, Crocetta con meno della metà. E con un altissimo astensionismo: quando la gente non andava a votare io la consideravo una sconfitta peggiore che se votasse per un altro. Crocetta dovrebbe averlo presente ogni giorno. Se fa un fronte su ogni cosa poi è sempre costretto a fare marcia indietro. Pensava di fare la guerra agli Stati Uniti ed è tornato indietro. Ha lanciato la guerra al commissario dello Stato ed è tornato indietro… E mi limito a questi due episodi».
Anche lei lanciò la guerra al commissario, il più duro fu Lombardo con una manifestazione contro il commissario. Oggi la Sicilia è in situazione di impasse per l'impugnativa del commissario dello Stato che ha distrutto la Finanziaria...
«Ogni presidente ha il diritto di difendere le proprie scelte. Ma quando le perplessità del commissario dello Stato riguardano l'80 per cento di quelle scelte, io qualche perplessità a difenderle tutte l'avrei… Io non ho mai fatto guerre al commissario dello Stato, ho solo difeso le prerogative del Parlamento regionale non su bilanci ma su elementi istituzionali. Non farò più politica, però se io fossi al posto di Crocetta proverei a ragionare, a parlare con gli altri partiti, con i dipendenti regionali per motivarli. Io ho sempre tentato di seminare fiducia e speranza. Invece ho l'impressione che oggi in Sicilia si stia spargendo veleno. E questo non fa bene: le imprese non vengono da noi, chi deve firmare un atto ormai ha paura…».
Crocetta le rimprovera il lascito di precari e forestali…
«Crocetta parla senza conoscere la realtà regionale. Perché se la conoscesse saprebbe benissimo che i forestali non glieli ho lasciati io, come non ne ha aggiunti Lombardo. Li abbiamo soltanto riorganizzati. Se Crocetta dice così o non sa le cose o è in malafede. Quindi la smetta di dire cose non vere: se lo dice perché non le conosce lo posso capire ma se lo dice per scaricare le sue responsabilità sugli altri, così come fa su ogni cosa e anche sulla più banale, alla fine i nodi vengono al pettine».
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Non entriamo nel merito, ma alcune leggi che hanno mortificato i forestali sono state approvate dal Governo Cuffaro.
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